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I LIBRI

Seppure gli uomini di cultura non mancassero delle capacità e degli strumenti per affrontare la co-

struzione di discorsi orali, continuavano a essere fondamentalmente uomini del libro e della parola

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scritta, soprattutto agli occhi dei contemporanei. Non è un caso che nelle sommosse cittadine bi -

blioteche, libri, registri e documenti erano i primi bersagli della vendetta popolare. Per questo è

importante provare a misurare lo spazio occupato dal libro nella vita dei letterati.

L’accesso al libro

Nel Medioevo, il libro era poco accessibile per ostacoli che ne rallentavano la realizzazione e la dif-

fusione. Il primo, e il più grande, era di ordine economico.

Il libro costava per il valore del supporto. Richiedeva grandi quantità di costosa pergamena. La

diffusione della carta in stracci consentì di ridurre i prezzi, ma l’uso di questo materiale non si ge-

neralizzò prima del XIV sec., e il risparmio era comunque contenuto: il 10, 20% in meno.

Soprattutto, il prezzo dei libri era dovuto al costo della copiatura: alla fine del Medioevo gli

scriptoria monastici avevano perso importanza, e gli scribi erano ormai artigiani di professione. Il

lavoro era lento, e i buoni copisti erano rari. Per questo, molti cominciarono a rivolgersi a copisti di-

lettanti, mentre altri arrivavano a copiare personalmente i testi desiderati.

A parte i sovrani e i membri dell’aristocrazia, gli uomini di cultura erano i soli a possedere raccolte

di libri consistenti. Nelle classi sociali più basse, anche alfabetizzate, i libri erano praticamente as -

senti. In genere, gli stessi studenti non avevano più che una dozzina di libri.

Il proprietario di una biblioteca la considerava come un tesoro: i libri, chiusi in forzieri o armadi,

testimoniavano la sapienza del proprietario. I libri avevano un valore materiale e simbolico, que-

st’ultimo legato agli studi e ai diplomi: la consegna di un libro era uno dei gesti della cerimonia di

conferimento del dottorato. Ma le biblioteche avevano anche un consistente valore economico, un

capitale intellettuale da lasciare in eredità ai propri eredi, a una chiesa o un collegio. Il valore era

tale che molti uomini di legge si batterono affinchè i libri non fossero inclusi nella stima dei beni

mobili: questi potevano rappresentare un valore pari alla metà del capitale mobiliare.

È possibile che il ricorso a biblioteche «pubbliche» compensasse la relativa povertà delle raccolte

private? Tre tipi di biblioteche potevano aspirare a questa qualifica:

1) Le biblioteche dei principi.

Alcuni sovrani avevano più di un migliaio di volumi nelle proprie biblioteche, ma queste era-

no aperte al pubblico? Dalla documentazione si può supporre che almeno le persone più vi-

cine al sovrano (i consiglieri politici e i visitatori di riguardo) avessero la possibilità di acce-

dervi.

2) Le biblioteche delle cattedrali, dei monasteri e dei conventi.

Spesso si trattata di collezioni antiche che, alla fine del Medioevo, avevano smesso di arric-

chirsi. Queste raccolte contenevano soprattutto testi religiosi e liturgici, non necessaria-

mente utili agli uomini di sapere. Inoltre non è detto che potessero accedervi liberamente

altri studiosi oltre ai canonici e ai monaci.

3) Biblioteche più «moderne»: degli ordini mendicanti, dei collegi e delle università.

I principali collegi universitari ebbero una loro biblioteca il cui nucleo originario, di solito co-

stituito dai libri del fondatore, si arricchiva nel tempo grazie alle donazioni di benefattori.

Queste biblioteche contenevano testi di studio riferibili alle discipline tradizionali dei pro-

grammi universitari, e quindi erano rispondenti alle esigenze degli uomini di cultura; ma gli

statuti non sembrano indicare che visitatori esterni fossero ben accetti. Probabilmente,

questa esclusione riguardava anche le biblioteche universitarie, che si formarono soltanto

nel XV sec. 9

La difficoltà di accedere alla consultazione di testi rari spiega la fortuna delle antologie, chiamate

florilegi.

Il contenuto delle biblioteche

Ancora oggi si conservano centinaia di testi relativi alle discipline erudite, mentre molte opere let -

terarie, storiche o politiche sono note attraverso pochissimi manoscritti, soprattutto quando si trat-

ta di testi volgari. In tutta l’Europa tardo-medievale le «biblioteche erudite» presentano somiglian-

ze: un’ulteriore conferma del carattere universale della cultura superiore.

Queste biblioteche comprendevano i testi di base, le auctoritates delle diverse discipline. A

questi testi fondamentali e onnipresenti bisogna aggiungere in misura variabile, oltre a qualche

manuale e a diverse opere di consultazione, un certo numero di commenti, trattati e «questioni»

moderne. Quest’ultima sezione rivelava la personalità e la disponibilità finanziaria del proprietario.

Infine, veniva la sezione delle opere varie – in cui si riflettevano gli interessi e i gusti personali del

proprietario.

Lo studio comparato delle diverse biblioteche fa emergere l’omogeneità culturale degli uomini

di studio, e insieme i limiti di una cultura in cui le correnti incontravano ostacoli alla propria affer-

mazione.

Dal manoscritto al libro a stampa

Riuscì l’invenzione della stampa, nella seconda metà del XV sec. a dare uno scossone a questo con -

servatorismo? La nuova scoperta trasformò radicalmente per quantità e per rapidità di circolazione

il flusso dell’informazione, ma ebbe una diffusione relativamente lenta. Per quasi una generazione

i tipografi saranno quasi tutti tedeschi: solo nel 1470 cominciarono a migrare oltre frontiera.

La nuova scoperta non fece cessare di colpo l’attività degli amanuensi, che continuò ad essere

praticata fino al XVI sec. Bisogna ricordare che gli incunaboli avevano spesso tirature limitate (un

centinaio di esemplari), e non erano necessariamente economici o accessibili.

Nel Cinquecento si stamparono per lo più testi medievali che avevano un mercato sicuro: al pri-

mo posto troviamo testi religiosi e grammatiche, in ultimo letteratura profana in volgare. Le opere

erudite, che nelle città universitarie circolavano in centinaia di copie manoscritte, furono ammesse

con parsimonia e ritardo agli onori di stampa. Le opere a stampa più ricercate dai letterati furono

quelle umanistiche (i classici e le opere degli autori italiani recenti), proprio perché le opere mano-

scritte erano rare.

L’arte della stampa riuscì a far crescere considerevolmente il numero degli utenti della cultura

scritta. I ceti popolari, almeno quelli urbani, non erano più esclusi del tutto dal mondo dei libri, i

funzionari subalterni e i semplici curati avevano la possibilità di mettere insieme piccole bibliote-

che di una decina di volumi. 10

L’esercizio delle competenze

SERVIZIO DI DIO, SERVIZIO DEL PRINCIPE

Nel Medioevo si era restii ad accogliere l’idea non solo di una cultura personale e disinteressa, ma

anche di un sapere che fosse dato utilizzare secondo i propri intendimenti, per esclusivo vantaggio

personale. Scientia donum Dei est, unde vendi non potest: questo adagio evidenzia la condanna al-

l’uso lucrativo del sapere, che fossero lezioni o consulenze a pagamento. I teologi finirono con il

concordare che se si poteva ammettere che l’uomo di sapere ricevesse dalla società il giusto com-

penso delle sue fatiche, perché gli fosse garantita una vita dignitosa, era invece condannabile che

ricavasse dai doni del proprio signore un profitto speculativo.

Nonostante ciò, molti uomini di sapere cercarono di ricavare dalle loro competenze intellettuali

il massimo profitto. Ma anche in questo caso la speranza di accedere a una carica in cui l’esercizio

delle competenze intellettuali non fosse più un obbligo di natura economica ma un dovere assunto

in ragione dell’incarico conferito sembra essere profondamente radicata in questi intellettuali.

Docere aut applicare

Tutti i titolari di diplomi universitari consideravano l’insegnamento come il primo e il più diretto

dei loro campi di competenza, e dunque la più naturale forma di servizio al termine degli studi.

D’altronde era raro che l’impegno didattico chiudesse la via all’esercizio, concomitante o successi-

vo, di mansioni di altro genere: ciò vala in particolare per i maestri delle facoltà d’arti.

Dato che gli studi superiori duravano moltissimo (6-15 anni), quello che doveva essere un perio-

do iniziale di formazione finiva col diventare la fase più lunga della vita di molti uomini di cultura.

La maggior parte procedeva senza fretta. Al termine degli studi superiori quelli che avevano conse-

guito il titolo più alto, il dottorato, potevano decidere di restare nell’università come professori. Ma

all’insegnamento doveva approdare solo una minoranza di dottori, soprattutto nel diritto: ai deten-

tori del titolo si aprivano molte strade, altrettanto prestigiose e remunerative.

Nel XV sec. il quadro era in parte mutato: in molte università si differenziavano nettamente due

gruppi. Il primo, piccolo e stabile, comprendeva i professori ordinari che assicuravano la gestione

dell’università, i corsi magistrali e l’organizzazione degli esami. Questi docenti vivevano dell’inse-

gnamento e restavano in carica a lungo. Il secondo gruppo era quello dei professori straordinari:

freschi di studi, garantivano solo certi insegnamenti secondari o le supplenze e non partecipavano

pienamente né ai consigli universitari né alle commissioni d’esame.

L’emergere di piccole oligarchie di professori ordinari può aver favorito la sclerosi dell’insegna-

mento. In ogni caso è sicuro che l’insegnante di professione, con il suo stile di vita e i suoi tic di lin -

guaggio, divenne alla fine del Medioevo uno dei tipi sociali nei quali si identificava, anche agli occhi

dei contemporanei, la figura dell’uomo di cultura.

Uomini di cultura, uomini di Chiesa

Per tutto il Medioevo le scuole e le università occidentali furono in gran parte istituzioni ecclesiasti-

che o controllate della Chiesa. La percentuale di religiosi non era alta solo nella facoltà di teologia,

ma anche nelle scuole d’arte e di diritto canonico: non deve stupire che la maggioranza degli uomi -

ni di studio facesse carriera all’interno della Chiesa. Ma il letterato del XII e XIII sec. non era più de -

finito dalla semplice appartenenza al clero o dalle conoscenze elementari che ogni prete doveva

possedere: si richiedevano competenze intellettuali superiori, di natura non solo ecclesiastica. Il

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gruppo degli uomini colti taglia trasversalmente l’antica divisione tra chierici e laici, era

rappresentato in entrambe le categorie e costituiva un’&eacut

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A.A. 2014-2015
24 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Armilla di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia Medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Grillo Paolo.