Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Oggi gli storici tendono a pensarla diversamente. Ammettono che la curtis privilegiò sempre un obiettivo di
autosufficienza, atto a soddisfare i bisogni immediati dei produttori, ma hanno ridimensionato il ruolo della crisi
demografica e, soprattutto, insistono sul dinamismo economico che caratterizzò i secoli di affermazione del sistema
curtense (VIII-X), epoca che vide importanti opere di dissodamento, bonifica, colonizzazione. Infine sono ragioni
propriamente economiche a far pensare che il sistema curtense fu assai redditizio e permise importanti accumuli di
ricchezza.
I sostenitori dell’ipotesi minimalista non hanno infatti considerato che accanto alla rendita fondiaria, i proprietari
cercarono e individuarono altre occasioni di prelievo.
Una forma di investimento economico fu, per esempio, la costruzione di strutture complesse e tecnologicamente
avanzate, come i mulini ad acqua o le fabbriche di birra.
Un altro segno della volontà di miglioramento della produttività delle aziende da parte dei proprietari fu la progressiva
riduzione della riserva a vantaggio dei mansi. Questo fenomeno è prova, da un lato, di uno sviluppo demografico che
rendeva necessaria la messa a coltura di nuove terre per le nuove famiglie. Dall’altro segna la volontà signorile di
ottimizzare la rendita delle aziende riducendo la parte dominica e ricavando più ricchezza dalla gestione indiretta,
affidata all’intraprendenza delle famiglie contadine.
Fu in questo modo che tra IX e X secolo poté svilupparsi un nuovo artigianato, una nuova industria e un nuovo
mercato. CAP. 10
La città
Secoli IV-X
10.1 La città vescovile
Nelle zone che progressivamente assoggettarono, i Romani, provvidero a fondare o a ristrutturare preesistenti centri
di insediamento in base a un progetto preciso e costante: le città vennero costruite lungo le grandi vie consolari e
strutturate geometricamente sull’incrocio, al centro della città, si apriva il forum, la piazza principale, sulla quale si
affacciavano gli edifici pubblici: il palatium, ossia la residenza imperiale, sede del potere politico; il praetorium, sede
dell’amministrazione locale; la curia municipale, ossia il senato locale; il grande mercato coperto.
Nelle città affluiva il surplus produttivo dei rispettivi territori, che in parte era venduto in città, in parte entrava nel
flusso commerciale che connetteva fra loro tutti i centri urbani dell’impero. La crisi dell’economia imperiale colpì,
dunque, innanzitutto le città: la loro popolazione si contrasse in maniera vistosa. Tuttavia non fu una crisi catastrofica,
25
infatti a scomparire furono i piccoli centri; se la maggioranza delle città sopravvisse al crollo dell’impero, ciò fu
possibile solo grazie a profondi cambiamenti dell’impianto urbano e della sua organizzazione.
Elemento centrale di questa trasformazione fu la presenza del vescovo in città, i quali svolgevano una sorta di
supplenza dei poteri pubblici nelle città.
Le città vennero allora “ristrutturate” in base alle rinnovate esigenze. Polo aggregativo dei nuovi impianti urbani
divennero la cattedrale e gli edifici a essa correlati: il palazzo vescovile, il battistero, il cimitero. L’insieme di questi
edifici sorse all’interno del perimetro urbano, un’area assai ridotta rispetto all’impianto della città romana. La
cattedrale e i suoi annessi venivano di solito edificati presso la porta che sorvegliava le direttrici del traffico
commerciale.
10.2 Continuità e cambiamento
Riguardo all’evoluzione delle città nei secoli successivi alla caduta dell’impero romano d’Occidente, lo storico Pirenne
sostiene che le città abbiano perso, in seguito alle conquiste degli Arabi che non resero più sicuro il bacino del
Mediterraneo, la loro funzione essenziale di polo commerciale e abbiano quindi iniziato un percorso di decadimento
diventando semplici centri di insediamento protetti da mura. Soltanto dopo la ripresa del commercio su ampie tratte,
accanto al centro fortificato vescovile sarebbe sorto un borgo grazie all’insediamento stabile di mercanti, attirati da un
sito ben protetto dalla vicina fortificazione. Appunto l’unione fra il castrum e il burgus avrebbe determinato la
rinascita delle città dopo il X secolo.
Gli studi successivi hanno dimostrato la validità della teoria di Pirenne in relazione alle città del Nord Europa dove
l’urbanizzazione romana era stata scarsa o inesistente, mentre risulta meno valida per il Sud dell’Europa: Italia, sud
della Francia o Spagna ove l’urbanizzazione romana aveva inciso profondamente il territorio. Qui lo sviluppo dei centri
urbani nei secoli dopo il Mille si innesta su un processo di continuità.
10.3 Istituzioni e poteri fra città e campagna
Nelle aree dove l’urbanizzazione romana era stata intensa, il rapporto che legava le città ai loro territori non venne
mai meno se pur con inevitabili cambiamenti giurisdizionali.
Per l’Italia occorre distinguere tra le aree che vennero conquistate dai Longobardi e quelle che rimasero soggette ai
Bizantini. Nelle zone dominate dai Longobardi l’organizzazione del territorio di impianto romano subì considerevoli
modifiche: le aree circoscrizionali in cui fu diviso il regno, i ducati, non sempre ebbero a capo un centro urbano; è vero
che i Longobardi dopo aver affermato l’ordinamento regio scelsero una città, Pavia, come loro capitale, ma la loro
cultura non concepiva un’organizzazione del territorio basata sul dominio di un centro urbano sulle campagne.
Così importanti centri di coordinamento territoriali si affermarono nelle campagne stesse, lontani dalle città, grandi
monasteri isolati costituirono importanti nuclei di popolamento e di organizzazione del lavoro.
Molto più legato alla tradizione romana fu invece l’ordinamento territoriale proprio delle aree bizantine. I centri
urbani infatti conservarono le prerogative di controllo del territorio come in epoca romana: in città risiedevano i
grandi proprietari fondiari, qui si raccoglievano i canoni e le rendite e risiedevano le autorità pubbliche,
amministrative e giurisdizionali.
La conquista ad opera dei Carolingi del regno dei Longobardi determinò una nuova attenzione al ruolo delle città. Il
periodo carolingio è stato definito il primo “rinascimento” nella storia europea, ossia il momento in cui per la prima
volta si intese richiamarsi ideologicamente al mondo classico per ammantare di “antica” autorevolezza un potere
nuovo. Testimonianza di questa rinnovata valorizzazione delle città che si richiama al mondo romano, sono particolari
componimenti poetici come le lodi di città, famose quelle dedicate a Milano e Verona. In tali componimenti si
descrivono i meriti delle città ponendo in evidenza le testimonianze che il passato romano aveva lasciato nell’impianto
urbano.
10.4 Mercato e commercio urbano
Generalmente la funzione commerciale delle città rimase invariata, in Italia ad esempio la continuità dei commerci con
l’Oriente, nonostante l’espansione araba, permise ai porti adriatici di mantenersi in attività, così come di mantenere la
rete commerciale che attraverso la pianura padana conduceva le merci orientali nel cuore dell’impero carolingio. La
funzione commerciale appare di particolare importanza nelle città dell’Italia meridionale come Napoli, Taranto,
Otranto ma anche città di nuova fondazione come Gaeta e Amalfi che rimasero durante l’epoca longobarda sotto
l’autorità di Bisanzio mantenendo pertanto aperti i canali commerciali con l’Oriente. 26
Nei centri urbani il potere pubblico era espresso dalla presenza e dall’autorità del vescovo, prova ne è l’interesse
spiccato che questi avevano per il controllo delle principali vie commerciali della città e dei suoi porti fluviali. Con
molto impegno i vescovi affermarono il loro diritto di ricavare proventi legati ai pedaggi e alle tasse. Tuttavia non si
deve pensare che lo scopo fosse solo un arricchimento personale del vescovo o dell’episcopato; il vescovo infatti, era
diretta espressione dei ceti più eminenti delle città, di conseguenza il controllo episcopale sul commercio significava
indirettamente la possibilità di arricchimento della città nel suo insieme e dei suoi ceti dominanti in particolare.
10.5 I cittadini
In Italia, in particolare all’interno delle città, esisteva una realtà sociale complessa e articolata; in nessuna società
urbana italiana, ci fu mai una rigida distinzione fra il ceto dei mercanti, artigiani e proprietari fondiari che vivevano di
rendita. L’articolata composizione sociale delle città, insieme col permanere di interessi economici dei cittadini nelle
campagne, costituì una caratteristica principale della realtà italiana.
Cap 11
Alfabetismo e cultura scritta
Secoli V-XI
11.1 Pochi scrittori, pochissimi lettori
Il mondo romano era altamente alfabetizzato. Non ci sono dubbi sul fatto che al contrario la società occidentale dei
secoli VII-XI fu una società analfabeta.
Dai calcoli degli studiosi, sulla percentuale di persone in grado di scrivere almeno il proprio nome si è evidenziato
come nel VII secolo, in Francia e nelle città italiane di tradizione romana come Roma e Ravenna, nessun ecclesiastico
era analfabeta, mentre il 40% dei laici non sapeva scrivere il proprio nome. Le donne ormai non facevano più parte del
gruppo dei letterati. Inoltre nelle campagne l’alfabetizzazione laica si riduceva rispetto alle città in modo drastico, fin
quasi a scomparire.
Dallo studio delle firme sui contratti e documenti dell’epoca si è evidenziato un cambiamento non solo quantitativo,
relativo appunto alla capacità di scrivere almeno il proprio nome, ma anche qualitativo. Le scritture infatti erano
diventate almeno due: una veloce e disinvolta, adoperata dai notai, l’altra più stentata e faticosamente tracciata, con
le lettere ben separate, propria di scrittori meno alfabetizzati. Questo significa che esisteva ancora una istruzione di
base, che consentiva ai laici più volenterosi di apprendere a scrivere, ma che il divario tra costoro e quelli che
sapevano scrivere davvero si era ampliato enormemente.
Dopo il VI secolo inoltre, scomparvero le officine librarie laiche che avevano contribuito alla diffusione della lettura;
esse furono sostituite da piccoli centri di scrittura presso le cattedrali cittadine o i monasteri. A differenza di quelli
antichi questi piccoli centri di scrittura non avevano alcun rapporto col pubblico di acquirenti e di fruitori estranei alla
comunità a cui appartenevano. Come messo in evidenza dallo studioso Petrucci, nei mosaici ravennati del V secolo i
libri sono rappresentat