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2. IL POPOLO AL GOVERNO

Dagli anni 50 il popolo si impose ovunque definitivamente come protagonista centrale della vita

politica; da quel momento in poi chiunque ambisse a prendere nelle proprie mani le redini del

potere cittadino doveva necessariamente fare i conti con il popolo, trattare con i suoi

rappresentanti, cercare il suo appoggio o almeno concludere con esso un patto di non

belligeranza.

In numerose città le associazioni popolari sembravano aver conseguito risultati definitivi. Lʼascesa

del popolo pareva conclusa quasi ovunque. Ma fu unʼillusione: nel decennio successivo nella

maggior parte dei Comuni un colpo di coda della militia relegò di nuovo il populus in una posizione

di secondo piano o lo ridusse al silenzio. Questo improvviso capovolgimento della situazione fu

probabilmente legato alla radicalizzazione del conflitto fra lʼimperatore Federico II e il papato. In

quegli anni in molte città i tanti conflitti che opponevano le famiglie della nobiltà si coagularono

progressivamente intorno a due schieramenti che trovavano il proprio riferimento ideale

nellʼappoggio alla causa imperiale o a quella papale. Per ogni Comune divenne vitale prendere

posizione a favore dellʼuno o dellʼaltro fronte. Le famiglie della militia tornarono a essere le vere

protagoniste della vita cittadina. I cittadini, anche quelli che avevano partecipato alla lotta del

popolo, ricominciarono a guardare ai nobili come agli unici leaders capaci di guidarli attraverso il

terreno della guerra tra le parti. Le idee che avevano guidato la mobilitazione popolare si

appannavano. La perdita dellʼunità significava irrilevanza politica. Il conflitto fra Chiesa e

imperatore sollecitò il ricostituirsi di sistemi di alleanze e clientele che rischiavano di riavvicinare

frange consistenti di popolo alle famiglie nobili. Ma la tensione si allentò allorché Federico II, il 13

dicembre del 1250, morì.

Allʼinizio degli anni 50 le organizzazioni popolari che si affermarono assunsero tutte il nome di

“popolo”, e lʼorgano collegiale che le dirigeva quello di “anziani del popolo”. Questo processo di

omogeneizzazione lessicale prova che lʼimposizione simultanea del popolo in tante città dellʼItalia

centro-settentrionale fu determinata anche da una sorta di reazione a catena che, una volta

innescata, non fu più possibile frenare. I Comuni di unʼarea regionale erano uniti da rapporti

sempre più stretti di alleanza ma anche di ostilità. A partire dagli anni 30 e 40 del 200 si

delinearono veri e propri sistemi comunali regionali. Dopo la crisi degli anni 40, una nuova ondata

di rivolte popolari sembrò riportare il calendario indietro di 50 anni. Anche se alcune vittorie

conseguite dal popolo erano state cancellate, lʼampliamento della partecipazione politica era un

processo irreversibile. Ciò che accadde negli anni 50 fu che i leaders del popolo riuscirono a

riprendere in mano le file delle organizzazioni popolari e a indirizzarne di nuovo lʼazione verso una

meta comune. Il modello di affermazione autonoma del popolo fu comune soprattutto nellʼItalia

centrale; le città dellʼItalia settentrionale seguirono invece per lo più un secondo modello: il

movimento popolare si impose grazie a unʼalleanza strategica con un personaggio appartenente a

una famiglia della militia. Non è facile capire che cosa spingesse il movimento popolare delle

diverse città a scegliere lʼuno o lʼaltro modello di affermazione, a tentare la strada dellʼazione

autonoma o cercare lʼalleanza di un nobile ben disposto. Era senzʼaltro una questione di maggiore

o minore sicurezza in se stessi dei popolari e dei loro leaders. Non può essere un caso che in tutte

le maggiori città toscane il popolo si sia mosso in maniera indipendente. Qui militavano

intraprendenti mercanti-banchieri, uomini abituati a frequentare gli alti prelati e le più grandi corti

europee. NellʼItalia settentrionale in compenso la militia cittadina era in genere più ricca di uomini e

di mezzi rispetto allʼItalia centrale. I rapporti di forza tra nobili e popolari erano generalmente più

favorevoli ai popolari nellʼItalia centrale di quanto non lo fossero nellʼItalia del Nord. Il tentativo di

procedere autonomamente o la decisione di stringere un accordo con un personaggio carismatico

dipendevano dalla valutazione che i popolari e i loro leaders davano di volta in volta di questi

rapporti di forza e del contesto politico generale.

In alcune realtà, intorno alla metà del 200 il popolo assunse direttamente il governo della città,

mentre in altre quella che si instaurò fu piuttosto una signoria sostenuta dal popolo. Cʼè una forte

somiglianza tra lʼazione politica di due regimi così diversi. Anche il nobile realizzò senza dubbio un

programma popolare. Lʼattacco alle reti di relazioni feudo-vassallatiche e clientelari che facevano

capo ai milites ha un posto centrale nellʼattività legislativa dei governi popolari degli anni 50 e 60

del 200. Eppure questi aspetti non avevano avuto un peso così determinante nel programma

politico dei movimenti popolari dei primi decenni del secolo. Per il popolo lʼunico modo per

raggiungere e mantenere il controllo della politica comunale e soffocare la reazione dei milites era

colpire queste fedeltà, disgregare le reti clientelari e sostituirle con altre forme di appartenenza e

altre strutture di inquadramento, politico ma anche sociale. Il tema dominante fu la pace: il conflitto

era lʼhumus della militia. Tra 1255 e 1265 in gran parte dellʼItalia comunale ci furono riforme anche

radicali, di rinnovamento, di sperimentazione.

Uno dei capisaldi dellʼideologia popolare era lʼidea che la politica si dovesse svolgere

esclusivamente nellʼalveo delle istituzioni. Il rinnovamento delle istituzioni comunali fu ovunque il

primo obiettivo del popolo appena giunto al potere. Lʼunica strada possibile era quella

dellʼaddizione, della duplicazione, dellʼaccumulazione. Vennero quindi create istituzioni nuove. Il

capitano di popolo era un ufficiale forestiero chiaramente ricalcato sul podestà, e che tuttavia non

sostituiva il podestà, ma gli si aggiungeva. Gli anziani erano un organo collegiale composto da

cittadini, che si collocava al vertice delle istituzioni comunali accanto al podestà e al capitano. I vari

consigli del popolo dividevano con quelli del Comune il potere decisionale e legislativo. Nella

maggior parte dei Comuni lʼaggiunta di nuove istituzioni finì per stravolgere il quadro politico

precedente allʼaffermazione del popolo, poiché provocò uno spostamento e una ridefinizione di

competenze, prerogative e poteri che diede luogo a equilibri interamente nuovi. Gli architetti di

questa ristrutturazione istituzionale furono i leaders popolari, quindi il risultato fu sbilanciato a

favore del popolo. Lʼaddizione istituzionale porta alla moltiplicazione dei luoghi politici e quindi una

più ampia partecipazione politica. La rotazione e la vacanza erano gli strumenti principali. Tutte le

cariche avevano una durata breve, anzi, più la carica era importante più la durata era limitata.

Venivano fissate regole di vacanza molto severe. La moltiplicazione delle istituzioni e degli spazi

politici rendeva i meccanismi decisionali sicuramente più complicati e farraginosi. In genere le

competenze di ogni organo non era definite con precisione e ci fu non poca confusione. Nei casi di

particolare urgenza, quando erano necessari una grande capacità decisionale o una eccezionale

rapidità di intervento, i consigli trasmettevano agli anziani la balìa, ossia il potere praticamente

illimitato di prendere qualsiasi provvedimento senza dover consultare alcun altro organo

istituzionale e senza dover rendere conto a nessuno.

Nel mondo comunale non esisteva primogenitura. La famiglia benestante era in media più

numerosa rispetto a quelle degli altri gruppi sociali, poiché le buone condizioni di vita diminuivano

lʼincidenza della mortalità infantile. La politica era in realtà anche una questione di risorse umane.

Il rispetto dei principi del popolo non impedì che, soprattutto attraverso lʼanzianato, si andasse

ovunque definendo un gruppo di individui e di famiglie capaci di indirizzare la politica comunale. I

leaders del popolo si trasformarono gradualmente in classe dirigente. Nella maggior parte delle

città i milites non erano ammessi allʼanzianato. Il gruppo dirigente popolare era in realtà il nuovo

gruppo dirigente cittadino. Ci fu la totale sostituzione della vecchia classe politica, rappresentata

dalla militia, con unʼélite dai connotati completamente nuovi.

La discesa di Carlo dʼAngiò in Italia e la sua vittoria a Benevento nel 1266 infransero il precario

equilibrio raggiunto solo 6 anni prima e predisposero un nuovo rovesciamento della situazione. In

molte realtà comunali i regimi affermatisi a metà del 200, fossero di popolo o signorili e di popolo,

non riuscirono a ricomporre intorno ai valori popolari i tanti mutevoli raggruppamenti in lotta tra

loro. La fine della pax popolare degli anni 50 fu determinata in sostanza da una reazione della

nobiltà cittadina contro i governi popolari radicali che si erano imposti in quella fase. A questo si

aggiunse lʼindebolimento dellʼunità del popolo e del suo gruppo dirigente, determinato dalla ripresa

dei conflitti fazionari e da un inevitabile calo di tensione dopo lʼacceso entusiasmo che aveva

accompagnato lʼascesa politica delle organizzazioni popolari. In tutta lʼItalia comunale il periodo

compreso tra la metà degli anni 60 e la metà degli anni 70 fu caratterizzato da una grande

mobilitazione della militia, accentuata dalla ripresa degli scontri fazionari in seguito alla discesa di

Carlo dʼAngiò. Anche dove il popolo riuscì in qualche modo a tenere sotto controllo la reazione dei

milites le cose non tornarono proprio come prima. I governi popolari degli anni 70 sembrano aver

abbandonato le tendenze radicali e le sfumature estremistiche degli anni 50. Le rivolte

aristocratiche avevano dimostrato che la nobiltà rimaneva una componente fondamentale della

vita sociale e politica della città. I regimi popolari degli ultimi decenni del 200 riuscirono a

raggiungere un certo grado di stabilità soltanto costruendo, attraverso progressivi aggiustamenti,

un equilibrio politico che coinvolgeva la militia, che le concedeva spazi di espressione anche ampi,

purché in qualche modo controllati e delimitati dalle istituzioni popolari. Nessuno dei regimi che

furono instaurati tra la metà degli anni 60 e la metà degli anni 70, qualunque fosse la sua

ispirazione o il suo colore, poté ignorare il fatto che nella fase dei primi governi popolari aveva

avuto il tempo di definirsi un nuovo gruppo dirigente. A partire dagli anni 80 del 200, e soprattutto

da prima decenni del 300, un numero via via crescente di città trov&ograv

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Publisher
A.A. 2012-2013
9 pagine
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Stotle di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia Medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Albini Giuliana.