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IL MOVIMENTO COMUNALE IN ITALIA

Tra il XII e il XIII secolo, i vivaci scontri che caratterizzavano le città italiane esprimevano in

tutta evidenza la capacità di ogni nucleo attivo economicamente e socialmente, di inserirsi

nella vita pubblica e il germogliare di autonomi organismi politico-militari aveva finito per

determinare instabile la società urbana. Tra la fine del XIII e li inizi del XIV secolo si

cercheranno strutture politiche sufficientemente robuste e stabili, che comporteranno il

progressivo scollamento dei nessi tra dinamica sociale, scontro politico ed evoluzione

istituzionale.

- Caratteristiche del movimento comunale italiano

La spinta comunale italiana, a differenza di quella straniera che è originata in prevalenza dal

ceto mercantile, nacque entro un tessuto sociale dominato da un’aristocrazia di tradizione

miliare-mercantile con il denominatore comune del possesso fondiario.

• Il caso milanese

Nei primi decenni del XII secolo, il comune di Milano appariva proiettato a estendere la

propria egemonia economica e politica al centro della pianura padana. Tra il 1107 e il

1127, sconfisse militarmente Lodi (1111 Distruzione di Lodi) e poi Como garantendosi

l’accesso al Po a alle relazioni commerciali con le zone padane orientali. I conti milanesi

egemonizzarono il contado di Seprio, istituendo un consolare e esercitandovi giustizia in

sostituzione ai conti locali.

L’espansionismo milanese, di carattere politico-militare, tendeva a far radicalizzare i cives

che erano giunti a controllare il mercato della terra in area lodigiana, acquisendovi beni

immobili dal patrimonio vescovile e ricevendo dal presule diritti signorili a titolo

beneficiario-vassallatico.

Nel periodo anteriore alla minaccia imperiale, dunque, Milano aveva esteso la propria

influenza al di là del suo territorio e il ceto dirigente milanese non pervenne tuttavia a

realizzare una costruzione politica territorialmente compatta nei comitati confinanti: nel

Serpio, infatti, in concorrenza con l’egemonia milanese, si svilupparono autonome realtà

locali e nel Lodigiano il potere vescovile consolidò le proprie signorie rurali.

L’affermazione del comune di Milano e la sua espansione, si scontrava con la

frammentazione signorile del potere e con la volontà di autonomia dei molteplici nuclei

operanti nelle aree di espansione. Lo spazio su quale le comunità urbane si espandevano

era il territorio della diocesi di cui la città era al centro: occorre ricordare che il distretto

ecclesiastico dipendente da un vescovo spesso coincideva con il comitato, una

circoscrizione pubblica di origine carolingia. Dalla fine del XII secolo, la cultura giuridica

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cittadina afferma i diritti politici che spettano ad ogni città sul territorio, in quanto sede

vescovile o in quanto centro antico di amministrazione regia, teorizzando la dipendenza

naturale del comitato della città al rispetto e all’obbedienza alla cives mater. Questa teorie

non era applicabile all’azione di città come Milano, Genova, Pisa, poiché già dalla prima

metà del XII secolo, si espansero oltre quei confini della diocesi e del comitato.

Nel periodo delle lotte contro Federico I si ricorse con maggior frequenza al cittadinatico,

l’atto di cittadinanza che comportava per l’aristocrazia militare del contado di sottostare agli

stessi oneri fiscali e militari dei cives e attraverso cui i milites si inserivano profondamente

nella struttura comunale. Il cittadinatico era anche uno strumento di accordo politico per

risolvere i contrasti che opponevano le due parti del contado (si ricordi il caso di Vercelli che

nel 1180, il marchese Guglielmo di Monferrato si impegnò a comprare una casa in città e

pagare il “fodro” al comune vercellese, divenuta una garanzia economica per il contado).

Quando si trattava di potenti o di personalità di condizioni elevate, il cittadinatico si riduceva

in realtà ad un’alleanza politico-militare.

Gli homines di intere località rurali, dalla fine del XII secolo, cercarono di collegarsi

direttamente con le repubbliche cittadine, divenendone anch’essi cives. Tali forme di

acquisizione collettiva della cittadinanza vedevano convergere gli interessi di quanti volevano

sottrarsi al banno e alla giurisdizione signorile con l’ambizione territoriale dei comuni urbani

che in questo modo privavano l’aristocrazia militare dei comitati, di uomini e potere.

Intervenendo nella dinamica socio-politica delle campagne, l’espansione cittadina presenta

molteplici implicazioni demografiche e insediative: i comuni favoriscono il movimento della

popolazione rurale che spontaneamente si allontana dal potere signorile facendo leva

sull’appoggio delle repubbliche comunali.

La ridistribuzione della popolazione rurale e la limitazione e corrosione del potere signorile

erano rivolte ad accrescere il dominio della città attraverso l’acquisizione delle principali

prerogative giurisdizionali, militari e fiscali.

-Federico I e il caso italiano

Già dalla metà del XII secolo, le città italiane centro-settentrionali agivano con la

consapevolezza di costituire città-stato, completando la loro emancipazione dal potere

pubblico superiore. La res pubblica cittadina si presentava con coscienza della propria

autonomia in quanto parte di una res pubblica più vasta: l’Impero. I violenti scontri con

Federico Barbarossa, iniziarono dalla sua prima discesa in Italia (1154-1155) fino alla pace

di Costanza nel 1183. In altri parti d’Europa, come ad esempi in Germania, le “libertà”

cittadine non erano un pericolo per una costruzione politica che continuava a fondarsi

sull’aristocrazia signorile, laica ed ecclesiastica, potente militarmente e collegata alla fedeltà

vassallatica: in Italia le città si erano liberate dal potere signorile e stavano imponendo la

propria giurisdizione all’aristocrazia militare della campagna ricostituendo l’unità della

dominazione del contado, in contrasto armato con i loro signori locali. Tuttavia, le cittadinanze

riconoscevano autorità e diritti dell’imperatore, per cui, lo scontro verteva sulla modalità del

loro esercizio che l’operare di Federico spingeva in una direzione concorrenziale rispetto ai

grandi comuni; non si trattava dunque di una semplice restaurazione di un assetto politico

antico ma della creazione di un’amministrazione pubblica nuova e organica. Il regno si

presentava come fonte di ogni giurisdizione, potere e diritto di natura pubblica; all’imperatore

spettava il compito di nominare i magistrati pubblici, erigere un proprio placitum e collocare i

suoi funzionari nei comuni sottomessi. L’inserimento di rettori (o podestà = agenti amovibili

dalle città), limitava la “libertà” comunale e si riallacciava con certe tradizioni di gestione del

patrimonio regio, o, di ordinamento verso la monarchia papale. La ripresa di controllo del

governo della città proiettava l’impero in una dimensione concorrenziale con l’espansione dei

comuni scatenando guerre e insurrezioni: la città di Milano, nel 1162, fu quasi rasa al suolo e

così vennero fuori anche altri sconvolgimenti superiori a quelli derivanti dalla ordinaria

conflittualità tra le forze politiche del mondo italiano. Il fronte antimperiale, raggruppò le

proprie forze nella societas Lombardie (la Lega Lombarda), un organismo politico-militare,

che costrinse il Barbarossa , sconfitto a Legnano nel 1176, di scendere a patti con l’accordo

di Costanza del 1183, ma il problema della funzione regia in Italia, non venne risolto. Con la

proclamazione delle regalie da parte degli Svevi (dieta di Roncaglia nel 1158), per

reazione, le civites radicalizzarono la difesa delle proprie autonomie e della propria

indipendenza. 2

L’instaurazione imperiale fallì poiché Federico I valutò erroneamente la reale consistenza delle

forze a disposizione del regno, le modalità da seguire per imporre una dominazione che

consentisse la coesistenza di una pluralità di formazioni politiche coordinate e convergenti con

l’Impero. Inoltre, questo fallimento, evidenzia la forza degli organismi comunali che, in

convergenza col papato, nel XIII secolo, contribuiranno alla rovina di Federico II e di tutta la

dinastia imperiale. È da considerare l’eccezionale caratteristica dell’organismo comunale: la

potenza e le capacità organizzative in concomitanza al carattere policentrico e instabile

della struttura del potere che si manifestava all’interno delle città.

-Nuovi gruppi sociali

Superate, quindi, le incertezze derivanti dalla coesistenza politica con i poteri tradizionali,

l’ordinamento comunale si trova a combattere con nuove aggregazioni politiche (tra XII-XIII

secolo). Le consorterie nobiliari si infoltiscono per l’incremento demografico e soprattutto per

l’immigrazione di piccoli e grandi signori rurali che vengono attratti dalla città o sottomessi

alla signoria del contado. Milites e nobiles sono le consorterie che si costituiscono nel XII

secolo; si tratta di una nobiltà a base economica fondiaria che detiene diritti di banno sui

villaggi della campagna. Esse si evolvono in fazioni politiche che talvolta si organizzano con

proprie magistrature e si associano in un’unica societas nobilium (o militum) concorrendo per

il potere cittadino. Lo sviluppo cittadino, favorisce l’arricchimento di individui appartenenti alle

fasce sociali medie e inferiori: essi costituiscono quella parte guida di un movimento contro il

potere nobiliare cittadino. Il populus prende forza dal simultaneo operare delle organizzazioni

delle arti e dei mestieri, per interesse professionale e economico, e dell’organizzazione

militare espressasi su base rionale, come risposta alla turbolenza e alle violenze delle

consorterie nobiliari. Tale simultaneità si tradusse nel costituirsi del popolo come corpo

politico, con una propria figura e propri statuti, che raccoglieva società eterogenee le quali

conservavano organismi di governo autonomi.

- L’organismo comunale dalla fine del XII secolo alla metà del Duecento

In questo periodo, il comune conosce una notevole instabilità istituzionale dove si alternano

forme di governo consolare e forme di governo podestarile; ciò deriva dall’intensificarsi delle

tensioni interne alla società urbana che ricorrevano ad un podestà unico capace di esprimere

unitariamente il governo cittadino e di essere l’elemento di mediazione tra le due forze.

Esempio caratterizzante è quello del tempo dell’Alleluia di Parma dove, i cives diedero il

dominio totale al frate Minore Gherardo da Modena, un individuo estraneo alla cittadinanza

ma al di sopra delle parti. Facendo parte, anche questo singolare

Dettagli
Publisher
A.A. 2012-2013
4 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-STO/01 Storia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cricetina93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Senatore Francesco.