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L’ECONOMIA NEL BASSO MEDIOEVO
- Il Trecento: crisi o riassetto della società?
La ripresa economica iniziata nei secoli X e XI, permise un incredibile sviluppo delle società
europee ma questo processo subì un arresto nel XIV secolo, poiché il settore primario, dal
quale partì lo sviluppo economico, fu il primo ad avviare l’inversione di tendenza: nei primi
anni del Trecento, si giunse inevitabilmente al punto di rottura tra risorse disponibili e
popolazione (teoria malthusiana: la pressione demografica influisce sulla diffusione della
povertà e della fame nel mondo). Si partì, dunque, da una crisi frumentaria già iniziata negli
ultimi decenni del XIII secolo, in seguito alla diminuzione delle rese agricole, compensata
tuttavia dalla messa a colture di nuove terre. Il boom demografico spinse a coltivare terreni
anche non molto adatti, i quali furono i primi a essere disertati, mentre i terreni buoni
dovettero essere sfruttati più intensamente, permettendo ai proprietari terrieri di mettere
pressione ai contadini, abbassare i salari e aumentare la durata della prestazioni lavorative,
accrescendo la distanza economica con loro. Alle carestie, si aggiunse la peste del 1347 che
comportò un calo demografico e la diserzione dei centri abitati più piccoli e del coltivo e,
ovviamente, il crollo economico.
La pesta bubbonica è una malattia che si manifesta in estate, con la presenza di bubboni
(rigonfiamenti di ghiandole linfatiche). Nei mesi invernali, si manifesta simile al raffreddore in
quanto, con il freddo, muoiono le pulci del ratto nero, responsabili della trasmissione del
morbo dall’animale all’uomo perciò assume il nome di peste polmonare. Il bacillo responsabile
si chiama bacillo di Yersin isolato nel 1894.
La peste, fu portata dalla truppe mongole conquistatrici: nel 1341 giunse a Samarcanda, nel
1346 a Caffa con l’assedio dei tatari. L’anno successivo, una nave partita da Caffa, portò la
malattia a Costantinopoli e a Marsiglia dove divenne pandemia. Oltre all’incremento demico,
anche la peste spinse molti individui ad aggregarsi in insediamenti più sicuri e a scoraggiare
gli scambi commerciali.
La peste uccise un terzo della popolazione europea e la popolazione tornò a livelli demografici
precedenti soltanto alcuni secoli dopo. In città, i vuoti di popolazione, furono colmati in
seguito alle continue migrazioni dal contado, abbandonando i centri di insediamento rurale e
abbandonando i villaggi e scaturendo l’arretramento del coltivo. Ciò comportò l’estensione
dell’incolto.
Il crollo demico, diminuì la domanda aumentando il reddito pro capite e dunque, anche la
manodopera necessaria. La centralità dei mercati cittadini e l’aumento dell’incolto, indirizzò
l’attività umana verso l’allevamento del bestiame e tra il XIV e il XV secolo, questo processo si
accompagnò ad alcune migliorie tecniche in campo agricolo, cosa che contribuì al
potenziamento dell’allevamento, in quanto c’era più fieno per nutrire i capi di bestiame
(Pianura Padana). Le migliorie agricole, spinsero ad incentivare le colture di tipo industriale
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come il lino e la canapa ma anche a incrementare quelle tradizionali. Questo nuovo modo di
concepire l’attività agricola avvantaggiò i proprietari dei grandi latifondi mentre i centri di
autoconsumo vissero lunghi periodi di magra.
Ci troviamo in un’età in cui il potere pubblico si era sovrapposto a quello signorile, limitandone
la potenza: nei casi in cui la popolazione rurale era forte e solida si ottenne la riduzione se non
l’abolizione dei diritti signorili, altrove invece la pressione sui contadini aumentò, specie se il
proprietario di turno prestava molta attenzione all’andamento del reddito delle sue aziende.
Se invece il proprietario prestava poca (se non alcuna) attenzione al riguardo, i contadini
frazionarono tra di loro i terreni coltivati. Molti cavalieri e nobili allodieri, furono, inoltre,
costretti al banditismo, dopo la subordinazione dalle popolazioni rurali.
Durante la seconda metà del XV secolo, la crisi del reddito agrario iniziò ad arrestarsi, in
concomitanza con altri eventi come la fine delle grandi guerre in Europa, l’assestamento di
formazioni politiche di tipo statale, i quali determinarono il riassetto dell’Occidente. Fino ad
allora, però, l’incertezza delle condizioni di vita e la debolezza del potere pubblico, favorì il
rinvigorimento delle signorie fondiarie che ridussero sempre più rustici in condizioni servili.
Situazioni simili di verificarono nei feudi della penisola iberica meridionale, dove le dinastie
baronali erano molto potenti. In Italia centro-settentrionale invece, furono i ceti
urbani-borghesi a trarre vantaggio dalle zone rurali: molti ritenevano un investimento sicuro
l’acquisto di proprietà in campagne, determinando così la riduzione della proprietà contadina
da un lato, dall’altro razionalizzò la produzione. Si ideò un nuovo tipo di contratto: la
mezzadria, in toscana, Provenza e
Aquitania. Il proprietario eminente,
conservava i suoi diritti sulla terra
(es: riscuotere un censo), cedendo
però la gestione del terreno a un
proprietario utile, che poteva
addirittura subaffittarlo e renderlo
ereditario: questo fece sì che i
contadini fossero attenti anch’essi
alla produttività dato che
riguardava anche i loro interessi
personali.
In gran parte d’Europa, i ceti rurali
erano però inquadrati rigidamente
in signorie fondiarie laiche e
ecclesiastiche cosicché i rapporti
tra ceti rurali e proprietari
tendevano a cristallizzarsi. Le
continue crisi economiche e
annonarie, però, le crescenti
pressioni dei signori e del fisco
statale, favorirono l’insurrezione
dei contadini. Nei secoli XIV e XV,
ci furono già sollevazioni ma le nuove insurrezioni miravano a conservare le franchigie e i
riconoscimenti politico-istituzionali ottenute in precedenza, ma in quel momento minacciate.
In Francia, la rivolta del 1348, la jacquerie, scoppiò in occasione di un periodo sfavorevole
del conflitto con l’Inghilterra dove, invece, la rivolta ebbe inizio nel 1381, quando fu istituita
una nuova imposta generale. I risultati furono la concessione di franchigie e la punizione degli
ufficiali regi e dei magnati, ritenuti oppressori. In Inghilterra, in maniera minore, con la
predicazione di John Ball, ma in Boemia l’impatto dell’ideologia religiosa fu determinante: i
chiliasti boemi erano millenaristi, cioè ritenevano che il ritorno di Cristo sulla terra e l’avvento
del regno celeste avrebbe determinato la perdita di ogni legittimità di ogni potere signorile.
dopo aver esaminato gli eventi bisogna chiedersi se queste rivolta siano state frutto della
mobilitazione degli strati sociali più umili oppure dei ceti contadini più ricchi. In effetti,
quest’ultima ipoteri è molto plausibile, infatti molti contadini furono guidati da aristocratici
minori capaci nell’arte della guerra: si può dunque dire che le rivolte furono animate da
sentimenti di rivalse da parte dei ceti privi di alcuna rappresentanza. Allora anche i conflitti
tra nobili e principi si possono connotare come cause incluse nei processi di ristrutturazione
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socio-politica della società occidentale. Infatti, la dura repressione che diede fine alle lotte
significò anche la sconfitta politica: non fu riconosciuto affatto un corpo politico affiancato al
clero, alla nobiltà e alla borghesia. Le rivolte allora si trasformarono in un fattore determinante
a sfavore dei contadini, dato che si voleva ridursi a una massa di lavoratori pacificati e in
condizione subordinata.
Ad esempio, durante la rivolta di Pisa nel 1509 contro il dominio fiorentino, gli abitanti del
contado pisano videro riconosciuti pari diritti dagli abitanti del centro urbano, invece il
governo fiorentino rifiutò di avere a che fare con loro quando, una colta sconfitti i ribelli, ci si
era seduti al tavolo delle trattative.
Questo era quindi, l’andamento delle conseguenze generali e a lungo termine delle rivolte
rurali, malgrado in alcuni casi, alcune comunità avessero ottenuto vantaggi a breve termine
come la riduzione del potere arbitrario signorile.
- Trasformazione degli itinerari commerciali e evoluzione economica
Nell’arco di tempo che comprende i secoli XI-XII i centri commerciali più fiorenti si trovavano
in sud Italia e a nord delle Fiandre, in quanto occupavano una posizione geografica favorevole:
l’Italia fungeva da tramite tra Oriente e Occidente, mentre le Fiandre costituivano il polo
commerciale in cui convergevano e da cui partivano i traffici di tutta Europa grazie al
collegamento con le fieri di Champagne. Poi però, dal XIII secolo al XIV, si assiste a una serie
di trasformazioni degli itinerari che sfavorirono i precedenti nuclei di scambio: i Paesi Bassi, ad
esempio, non furono più raggiunti via terra dalla Francia ma dalle alpi svizzere e dall’altopiano
bavarese, quand’anche non erano raggiunti via mare dall’Atlantico.
Così i porti francesi sul Mediterraneo persero il ruolo di scalo, da cui i mercanti sarebbero
partiti via terra per raggiungere il Settentrione; invece le Fiandre e Parigi trassero vantaggi e
si svilupparono considerevolmente. Un ulteriore motivo di crisi per i commerci sull’asse
tradizionale fu la diminuzione degli scambi con l’Oriente, dovuti a motivi interni al mondo
islamico e asiatico come lo sgretolamento dell’impero mongolo e l’avanzata degli Ottomani
verso il Mediterraneo. I baricentri dunque si spostano sia nel Mediterraneo che nel nord
dell’Europa, verso ovest: i nuovi centri si trovavano in Inghilterra, Olanda, Germania
meridionale e nelle aree castigliane e portoghese.
Nei secoli XIV e XV dunque, si assiste a un fenomeno di progressiva redistribuzione delle
ricchezze nel continente, con l’Italia, l’area anseatica e le Fiandre ancora importanti ma pur
sempre via via più periferiche.
Cos’è che nei secoli precedenti permise all’Italia di occupare una posizione di dominio nei
commerci? Innanzitutto di può ricordare che Genova metteva in contatto il Mediterraneo con il
mondo germanico e che Venezia aveva rapporti con l’Oriente. Inoltre, ciò comportava anche
l’arricchimento delle città nell’entroterra che entravano in contatto con i principali porti
(Genova, Pisa e Venezia) e fungevano da cinghia di trasmissione: collegavano i porti con tutta
l’area continentale appenninica. Il rapporto con l’Oriente poi costituì il principale motivo
dell’egemonia dei mercanti italiani. Infatti Genova e Venezia,