L’autore cita questo personaggio per dare una visione completa del romanzo
della rosa, il quale, si ebbe molto seguito, ma venne anche criticato,
nonostante facesse parte di quelle opere che influenzano un’epoca.
Capitolo IX
Se nel Roman del la Rose l’amore viene formalizzato, in questo capitolo si
analizza il quadro simbolico. È tuttavia difficile capire come si svolgesse
veramente l’amore all’epoca poiché le nostre fonti son per lo più romanzi,
poesie, storiografie… che per quanto valide possono essere un po’ artefatte.
Alcuni elementi si possono comunque analizzare, ad esempio i colori, che già si
era visto essere molto importanti, che seguivano un codice preciso da
rispettare (questo valeva anche per nomi, simboli, lettere…). Si parla, poi, delle
convenzioni dell’amore, dal doversi presentare bene (domanda fatta dal sire
“cosa preferiresti che la gente parlasse male della tua signora, ma che lei fosse
buona o viceversa?” e le regole imponevano una risposta positiva alla seconda
opzione). Viene poi raccontata la storia d’amore tra un poeta canonico
(anziano) e una donna (giovane) di buona famiglia, lei è la prima a
intraprendere un approccio chiedendo a lui uno scambio epistolare con anche
tematiche amorose, poi i due si iniziano a incontrare, sempre accompagnati
(anche se questo non ferma la concretizzazione dell’amore); questo mostra di
nuovo la contrapposizione tra l’ideale di amore stilnovista e la concretezza
dell’amore sensuale, che oggi viene vissuto come qualcosa di profano, ma che
all’epoca era considerata normale questa mescolanza tra il religioso e l’amore
anche carnale. Nella seconda parte del capitolo cita un altro libro, ovvero Le
livre du chevalier de la Tour Landry. Qui l’intento è di insegnare alle figlie come
agire per far l’amore e il corteggiamento, anche se in verità è un invito a non
romanzare il rapporto tra uomo e donna, anzi, consiglia addirittura di non
innamorarsi mai, poiché questo Non è altro che una distrazione, anche da
giovane e anche se è provato per il promesso sposo; infatti, se innamorata una
donna non pensa a Dio ma all’uomo di suo interesse (tipo la Paris quando
dovrebbe studiare). All’interno del romanzo viene addirittura riportata
l’immagine, sostenuta da una signora, per cui una donna, nel momento della
consacrazione dell’ostia, quando questa viene alzata sopra l’altare, non pensa
a Gesù ma al suo innamorato (maaa tapposto? O hai bisogno d’un medico
bravo?). Dunque, è evidente il grande salto che c’è tra gli ideali e le
convenzioni associate all’amore, rispetto, invece, alla brutalità concreta e
violenta (per le donne) che queste storie e letterature fanno trapelare (le
donne, in quell’epoca, ma anche più tardi, dovevano proprio difendersi dalla
violenza dell’uomo). “la donna è sempre dipinta negativamente all’interno della
letteratura per mascherare l’egoismo maschile” -> abbiamo sempre la visione
scritta da uomini e mai la controparte femminile (è il cavaliere senza macchia
che libera la vergine…). Non a caso non abbiamo quasi mai la menzione dei
torti, delle delusioni d’amore, degli sfruttamenti, abbandoni, violenze… subiti
dalle donne; rimane invece questo velo di fantasia, di cortesia dell’amore.
L’accusa posta da Huizinga è quindi che venga raccontato un amore falso;
tuttavia, quest’accusa non si rifà solo al medioevo, ma ricade anche sulla
contemporaneità (almeno quella dello scrittore).
Capitolo X
Questo capitolo è dedicato alla visione idilliaca della vita Nel tardo medioevo
inizia a comparire l’ideale della vita bucolica, motivo in realtà antico, ma che
era stato a lungo sopito e solo in questi anni torna il mito della vita di
campagna, che resta tuttavia un’ideale. E non sono i borghesi a voler vivere nei
paesaggi rurali, anzi loro vogliono essere come i nobili (non c’è odio di classe,
ma un’aspirazione); sono invece, i nobili a sognare una vita lontana dalla corte
(spesso molto stressante, pensare alla violenza, anche se sublimata, che c’era).
Viene citato anche Petrarca per far capire la vita di campagna a cui si aspira,
dove si lavora, si coltivano e si raccolgono i frutti della terra… e dove, in
generale, la propria fatica ripaga; essere nobile e vivere a corte, invece, voleva
dire dover partecipare a tutte quelle cortesie che talvolta erano brutali e fatali.
L’idea della campagna che viene idealizzata in quel periodo (è un’idea simile a
quella che verrà poi teorizzata da Rousseau secoli dopo), una vita dove l’uomo
basta a se stesso, poiché con amore e lavoro soddisfa tutti i bisogni della vita e
dove sta tranquillo lontano dalle frenesie della città. Questo sogno della vita
pastorale veniva rianimato nelle feste e, in alcune occasioni, anche nelle
guerre, dove si vestivano, declamavano, suonavano poesie… come in ambito
rurale. Tuttavia, bisogna considerare che tutto questo idealismo della vita
pastorale non è che una farsa (praticamente come qualunque altra cosa
all’interno dell’epoca), infatti, era una lamentela delle scomodità di corte, ma
non era un vero desiderio (il sogno rurale che veniva invidiato maggiormente
era l’amore semplice), questo è certo poiché se avessero veramente voluto
lasciare la città sarebbero stati liberissimi di farlo (ipocriti del cavolo). Il
contrasto dunque tra il sogno irrealista e la realtà concreta come qualcosa di
ipocrito viene svelato a fine capitolo esplicitando questa voglia medievale di
presentarsi migliori di quello che non si sia veramente (distacco tra realtà e
finzione,, quello che si vuole e quello che si è…).
Capitolo XI
Si Questa prima metà concertata sulla mortele sul modo di esprimerlo nel
medioevo come momento mori (ricordati che devi morire, motto latino) ripreso
in varie forme e adattato in vari modi. Si mostrano i cadaveri, l’immagine del
morto, spesso accompagnate da frasi che ricordavano l’aspetto frivolo della
bellezza, dei volti eleganti delle donne che si riempiono di rughe, che diventano
cenere (chiama me tu sarai la mia regina ed io il tuo re), come anche i più
grandis eroi del passato (Romolo, Ciro, Sansone, …) siano tutti scomparsi,
dunque alla fine, per quanto tu sia stato venerato in questo mondo, alla fine
scompari come tutti gli altri. Inoltre, si nota che questo momento mori assume
una carica molto forte con il perdurare delle rappresentazioni delle putrefazioni
e si indugia in diversi modi di raffigurazione di dettagli cupi della morte (non
solo l’esclusivo concetto di morte, ma anche la spiegazione della putrefazione
della pelle, delle viscere, il formarsi dei vermi…). Qui vengono fatti diversi
esempi di racconti, es. dame belle che ora son cibo per i vermi (così per aver
pensieri positivi ecco). È quindi fondamentale l’idea del macabro (il cui termine
viene coniato proprio nel ‘300 per poi diventare una delle parole cardine).
Alcuni riferimenti curiosi:
-Stat rosa pristina nome nomina nuda tenemus-> usata come ultimo verso del
libro “nel nome della rosa”, U. Eco. Qui Huizinga usa questo verso, come
riferimento alla non durata della vita (lo usa dove parla dei grandi eroi del
passato scomparsi), le cose belle di ieri scompaiono e non resta che un nome o
ricordo. Eco in verità lo usa anche come riferimento alla disputa sugli
universali, al valore dei nomia.
-Inoltre ci si sofferma sulla poca cristianità nell’idea di una vita che finisce, che
scompare e la perdita di vista della vita dopo la morte. Questo perché nel
medioevo in verità si dava molta più importanza alla materia.
-Pratica di far bollire i cadaveri: serviva a poter trasportare a casa i cadaveri dei
personaggi importanti, infatti, se moriva lontano da casa o si seppelliva dov’era
morto oppure si usava questa pratica così da far rimanere solo le ossa (che non
avevano problemi di decomposizione) e queste si rispedivano in patria.
Tuttavia, risulta un metodo anticristiano, ancora oggi, per un perfetto rito della
religione il corpo deve restare intatto per la resurrezione post giudizio
universale, infatti, questa pratica fu proibita dai papi, ma in certe occasioni si
facevano eccezioni). Un altro tema ricorrente, sempre legato alla morte è la
danza macabra della morte. Sulla nascita del rito ci sono varie leggende, come
quella dei tre vivi che incontrano i tre morti e discorrono assieme. Ma in
generale è l’idea dei morti che risorgono dalle tombe e fanno una vera e
propria danza in cerchio mano nella mano, come un po’ a fornire il ricordo del
nostro destino. L’effettiva nascita di questa danza non è chiara, potrebbe
essere stata inizialmente un motivo uno spettacolo che divenne un motivo
artistico (o viceversa), la cosa certa è che sicuramente era entrambi. Da questo
punto di vista un luogo cardine era il cimitero degli innocenti a Parigi su cui
l’autore spende molte parole (oggi è pressoché scomparso) e che era un luogo
di ritrovo importante tra 300 e ‘400 (addirittura ci si facevano feste, ci
andavano le prostitute…). Molti erano quelli che volevano essere sepolti in
questo luogo e chi non apparteneva a una parrocchia con tale licenza cercava
di ottenere almeno un po’ di terra, inoltre si diceva che quella terra facesse
decomporre più velocemente il corpo (quindi meno vermi…), venivano poi
riesumate le ossa e messe in ossari che erano quasi a cielo aperto (momento
mori, caducità della vita, la morte livella e li siam tutti uguali “democrazia nella
morte”). Ma tutto questo parlare e celebrare la morte portava anche ad effetti
stranianti, il senso macabro e il momento mori spesso oscuravano tutto il resto,
facendo passare in secondo piano altre emozioni come la tristezza, la nostalgia,
ma anche il sollievo… il che era anche un alto motivo letterario, a livello
popolare infatti restavano le tracce degli altri sentimenti (es. funerale
bambine), forse perché il popolo non viveva tutto questo senso macabro. La
morte aveva dunque diverse facce, ma ne veniva accentuata solo una, ovvero
quella più egoistica, poiché serviva ad esorcizzare la propria paura della morte
(non era un modo per piangere i morti, ma per star meglio da vivi). L’ultimo
capoverso del capitolo esprime quest’ultimo senso della resa del macabro
come azione egoistica: Il pensiero ecclesiastico della fine del Medioevo non
conosce che due estremi: il lamento per la transitorietà, per finire di ogni
potenza, onore e piacere, per la decadenza della bellez
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