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EVANGELICUM).

L’epitesi è l’aggiunta di un suono non etimologico alla fine di una parola per facilitarne la pronuncia

( fue, none, sine). L’epentesi è l’aggiunta di un suono non etimologico al centro della parola

( HIBERNU > inverno).

L’assimilazione è il fenomeno per cui un suono diventa simile a quello che gli sta accanto. È

regressiva se il suono che precede diventa simile a quello che segue, è progressiva se avviene il

contrario ( OCTO > otto – ND> nn)

La dissimilazione è il fenomeno opposto all’assimilazione per cui due suoni simili se vicini si

differenziano ( ARBORE >albero).

La spirantizzazione di b intervocalica è il passaggio dell’occlusiva labiale a spirante labiodentale

(HABERE > avere).

La caduta di consonanti a fine di parola e dell’opposizione tra vocali lunghe e breve generò non

poco scompiglio, dato che veniva meno il riconoscimento dei casi. Per venire in aiuto a tale

situazione vennero inseriti così articoli e preposizioni. Gli articoli determinativi derivano dai

dimostrativi latini ILLUM/A, mentre dal numerale UNUM deriva l’indeterminativo.

Le parole italiane derivano per lo più dal caso accusativo latino. Inoltre il latino aveva tre generi,

maschile, femminile e neutro. Quest’ultimo è entrato a far parte del genere maschile, anche se

molte parole plurali terminanti in a, in italiano sono divenuti femminili singolari.

Il futuro italiano deriva dall’infinito del verbo + il presente di HABERE. Sulle stesse orme si è

costruito il condizionale.

Anche la sintassi è decisamente cambiata dal latino all’italiano. Mentre il latino classico preferiva

porre il verbo alla fine dopo soggetto e complemento, in italiano avviene la costruzione al

contrario. Il latino classico costruiva la frase oggettiva mediante accusativo + infinito, mentre in

italiano è introdotto da una congiunzione subordinante quod o quia + indicativo. Mentre il latino

preferiva una costruzione di subordinate, l’italiano ne preferisce una con coordinate.

3) Quando nasce una lingua: il problema dei primi documenti.

Per un lungo periodo di tempo il latino volgare non ha avuto una sua scrittura, ma più avanti

iniziarono a uscire i primi documenti che attestavano che scriveva in realtà pensasse in un’altra

lingua. Uno dei primi documenti è il “Breve de inquisizione” del 715, una verbalizzazione giudiziaria

in cui si nota l’abolizione delle desinenze, l’uso di unus come articolo indeterminativo.

Il primo documento della lingua francese sono i “Giuramenti di Strasburgo” del’ 842 in cui è

palpabile l’intenzionalità di chi ha scritto in volgare. Ciò che viene raccontato è una situazione

ufficiale, ossia l’incontro tra i figli di Ludovico il Pio, Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo, che si

giurano alleanza contro il fratello Lotario ognuno nella lingua dell’altro, mentre i capi degli eserciti

nella loro lingua. L’importanza di questo testo sta soprattutto nel fatto che Nitardo ci trasmette i

testi dei giuramenti così come furono pronunciati e non tradotti in latino.

Simile in Italia abbiamo il “Placito Capuano”, una formula anch’essa connessa ad un giuramento.

Ma l’ufficialità è minore, in quanto non è legato a un fatto storico, come nel caso precedente, ma a

una controversia locale.

L’”Indovinello veronese” è apparso in un codice scritto in Spagna intorno al VIII secolo e poi

approdato a Verona. Sul margine superiore del foglio sono leggibili due righe: una in perfetto latino,

l’altra in volgare. L’intero indovinello sta ad indicare l’atto dello scrivere.

4) I glossari.

Tra quelli più importanti esiste il “Glossario di Monza” del X sec e pubblicato nel 1963, conservato

nell’ultima carta di un codice della Biblioteca Capitolare di Monza. Si tratta di un elenco di

all’incirca sessanta parole in cui accanto alla voce romanza viene affiancata quella greco-

bizantina.

Molto importante è il “Glossario di Reichenau”, francese, che tenta di spiegare con perifrasi e

parole più popolari determinate espressioni della “Vulgata” di San Gerolamo.

5) Il graffito della catacomba di Comodilla a Roma.

È un anonimo graffito che testimonia, nonostante la prima apparenza latineggiante, un uso

particolare del parlato. Non ha una precisa data di composizione ma abbiamo i due massimi

estremi cronologici: tra il VI-VII secolo, epoca dell’affresco su cui è stata incisa e IX secolo, periodo

dell’abbandono della cappella. Nel caso in cui l’incisione fosse stata fatta nel lasso di tempo più

vicino all’affresco, questo sarebbe il più antico documento precedente al “Placito Capuano”.

La scritta recita: “Non dicere illa scritta a bboce”. L’interpretazione riporta ad un ambiente religioso

e si riferisce alle orazioni segrete che il prete non doveva pronunciare durante la messa. Era una

sorta di promemoria. Si nota subito l’uso dell’onciale che quindi sposterebbe la datazione intorno al

VIII sec; ille è usato come articolo determinativo mentre si noti alla fine dell’iscrizione una b

aggiunta posteriormente, andando a formare così il fenomeno del betacismo e del raddoppiamento

fonosintattico.

6) L’iscrizione della basilica romana di San Clemente.

L’iscrizione contenuta nell’affresco di San Clemente è un qualcosa di più complesso, dato che le

parole latine e quelle volgari sono state poste vicine sin dall’inizio per indicare i ruoli delle figure

rappresentate. Racconta il miracolo per cui San Clemente si salvò dalla cattura dei servi del

patrizio Sisinnio che illusi portarono al padrone una pesante colonna. Il pittore ha aggiunto

didascalie in un volgare vivace e popolare. Il problema è però la datazione: possiamo dire che è

del IX secolo e più precisamente tra il 1084 e 1128, date dell’erezione del muro affrescato e della

consacrazione della basilica.

Il latino è usato per le parti più elevate del testo ad indicare l’intenzione di chi l’ha fatto dipingere o

per esprimere un giudizio morale.

7) L’atto di nascita dell’italiano: il Placito Capuano.

Il “Placito Capuano” è considerato l’atto di nascita dell’italiano perché è un documento ufficiale in

cui c’è stata consapevole divisione dei registri linguistici da usare. Chi ha scritto il verbale infatti è

stato consapevole di usare il latino notarile e il volgare parlato. argomento della causa dibattuta di

fronte al giudice capuano Arechisi, era l’occupazione abusiva o meno di alcune terre di un tal

Rodelgrimo di Aquino da parte del monastero di Montecassino. Quest’ultimo si difese invocando il

diritto di usucapione. Finora i dibattiti giudiziari che avvenivano già in volgare venivano tradotti in

latino dato che era lingua della cultura e della scrittura. Non si capisce quindi come mai ora si

trovino delle vere e proprie formule testimoniali in volgari e nel Placito sono presenti ben 4 volte.

Probabilmente una delle spiegazioni sta nel fatto che scrivendola in volgare voleva estendersi a un

pubblico diverso e forse estraneo alla causa. Il “Placito Capuano” non è un caso isolato, ma fa

parte dei “Placiti Campani”, di cui fanno parte altre tre carte notarili risalenti al 963: una di Sessa

Aurunca e due di Teano.

8) Il filone notarile giudiziario.

Molti dei testi scoperti furono ritrovati all’interno di testi notarili e atti giudiziari. Capitava che i notai

inserissero questi testi sotto forma di postilla. È quello che capitò per quanto riguarda la “Postilla

Amiatina”: nel 1087 due coniugi decisero di donare dei beni all’abazia di San Salvatore di

Montamiata e il notaio estensore dell’atto in lingua latina vi aggiunse una postilla in cui, in volgare,

commentava il gesto dei due coniugi ritenuto da lui assurdo.

Nel caso della “carta Osimana” il volgare non compare sotto forma di postilla, ma proprio all’interno

del testo latino.

La “Carta Fabrianense” del 1186 è una pergamena in cui un nobile si accorda con il monastero

locale circa la ripartizione dei frutti del loro consorzio. Si alterna latino e volgare.

La “Carta Picena” del 1193 è un rogito per una vendita di terre che contiene una parte in volgare,

nella quale si intende che la terra ceduta è un pegno per garantire la restituzione di un prestito.

La “Dichiarazione di Paxia” è l’unico documento del settentrione. Sta tra il 1178 e 1182 ed è

semplicemente la dichiarazione dei beni e dei debiti del defunto marito. Inizia in latino e prosegue

in volgare.

CAPITOLO 6. IL DUECENTO.

1) Dai provenzali ai poeti siciliani.

La prima scuola poetica italiana a partire dal XIII sec è quella siciliana della corte di Federico II,

che prese spunto da quella precedente dei provenzali. La corte federiciana era internazionale e i

poeti non erano affatto tutti siciliani. La scelta della lingua poi fu dotata di scelta formale. Molti dei

termini erano provenzali, comele forme in –agio e –anza. I provenzalismi venivano spiegati non

come prestiti, bensì come eredità di una stessa lingua intermedia comune anche all’italiano. Lo

studioso francese Raynouard però contesto questa tesi in nome dell’evidente primato cronologico

dei poeti in lingua d’oc, che dunque avevano fatto da maestri agli italiani.

Ma il corpus della poesia è stato trasmesso da codici medievali copiati da copisti toscani.

Naturalmente copiare non era un’operazione neutrale, ma spesso chi copiava si sentiva libero di

interpretare i punti oscuri della poesia a suo modo ed effettuava una vera e propria traduzione

eliminando i tratti siciliani che stridevano alle loro orecchie.

2) Documenti centro-settentrionali.

Con la morte di Federico II la poesia siciliana venne meno e tutta l’eredità passò ai poeti toscani e

stilnovisti. Un momento prima della poesia siciliana è la poesia religiosa umbra. Importante è “Il

Cantico delle creature” di San Francesco del 1223-24.

Del nord Italia è invece tipica la poesia didattica e moraleggiante, soprattutto di area lombarda.

3) I siculo-toscani e gli stilnovisti.

Firenze si afferma solo tra il 1260 e il 1280. Il loro stile riflette quello dei siciliani tant’è che

ritroviamo molti gallicismi e sicilianismi. Dante attribuì a Guinizzelli la svolta stilistica, tant’è che

parliamo di stilnovo. Ma c’è da notare la continuità fra antica tradizione poetica e quella

stilnovistica. Sono ancora presenti gallicismi, provenzalismi e sicilia

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Publisher
A.A. 2013-2014
36 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/10 Letteratura italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher chiuzzy89 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma La Sapienza o del prof Serianni Luca.