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VALIA, PERIA QUI NOSCI AMARE, BISTANTI PERIA QUISQUUIS AMARE
VOTA”). Il latino volgare è anche presente nella cosiddetta Appendix Probi, così
chiamata perché ritrovata alla fine degli Istituta artium, in appendice appunto, del
grammatico tardo Probo. E’ una lista di 227 parole che deviano dalla norma
scritta, tramandate in un codice a Bobbio intorno al 700 d.C. Alcuni collocano la
sua datazione tra il III-IV sec., altri tra il V-VI sec d.C. Si è supposto che un
maestro di quest’epoca abbia stilato una lista di parole, mettendo l’una accanto
all’altra: la forma corretta e quella “sbagliata”. Molti dei termini considerati “errati”
hanno poi dato come esiti termini propri delle odierne lingue romanze. Ciò
dimostra che l’errore è sì una deviazione rispetto alla norma, ma proprio
nell’errore risiede il germe originario che sta alla base delle lingue romanze.
Sono diversi i fenomeni che caratterizzano l’evoluzione del latino volgare. Uno di
questi è il fenomeno del “sostrato”, quando, cioè, la lingua dei vinti esercita una
forte influenza su quella dei vincitori. Ad esempio, al sostrato etrusco è da
ricondurre la “gorgia toscana”, cioè la spirantizzazione delle occlusive sorde
intervocaliche. Un altro fenomeno è quello del “superstrato”, l’influenza esercitata
dalle lingue che si sovrapposero al latino, come quelle barbariche. Infine,
abbiamo il fenomeno dell’ “adstrato”, l’influenza che esercita una lingua
confinante. I domini barbarici in Italia furono essenzialmente tre: quello dei goti, a
partire dal 489, guidati da Teodorico (che hanno dato al lessico italiano non più
di una sessantina di vocaboli); quello dei longobardi, popolo più rozzo e violento,
il cui regno segnò una frattura, soprattutto per la sua lunga durata: dal 568 all’VIII
sec. ca. (abbiamo circa 200 parole di origine longobarda); e infine quello dei
franchi dopo l’VIII sec., che ci hanno lasciato termini relativi all’organizzazione
politica e sociale.
La grammatica storica si occupa dello sviluppo diacronico della lingua,
definendo le sue caratteristiche grammaticali. Le vocali di possono distinguere in
base al loro punto di articolazione. Distinguiamo così: una vocale bassa centrale
“a”, tre vocali “anteriori” o “palatali” é, è, i, tre vocali “posteriori” o “velari” u, ò, ό.
La e / o possono essere chiuse o aperte; tale distinzione ha valore fonematico. A
seconda della loro durata, le vocali possono essere lunghe o brevi. Quelle
accentate sono dette “toniche”, quelle non accentate “atone”. Dall’incontro di
vocale + J/W (semiconsonanti o semivocali) si originano i dittonghi, che
possono essere “ascendenti” o “discendenti”, a seconda che vi sia una maggiore
o minore intensità di suono passando dal primo al secondo elemento. Le
consonanti, invece, si producono con un restringimento parziale o totale del
cavo orale, generando, di conseguenza, consonanti fricative o occlusive (la cui
unione genera le fricative). Esse possono essere “sorde” o “sonore”, a seconda
che le corde vocali vibrino o meno. Un’ulteriore suddivisione consonantica può
essere operata a partire dal luogo di articolazione: il velo palatino, le labbra, il
palato, la zona dei denti o delle labbra. Così distinguiamo le occlusive
(rispettivamente sorda e sonora): labiali /p/ e /b/, dentali /t/ e /d/, velari /k/ e /g/.
ɲ ɳ
Le nasali, che sono tutte sonore: labiale /m/, dentale /n/, palatale / /, velare / /.
ʎ
Le laterali: dentale /l/, palatale / /. La vibrante è la /r/. Le fricative: alveolari (o
ʃ ʒ
sibilanti) /s/ e /z/, labio-dentali /f/ e /v/, palatali / / e / /. Le affricate: dentali /ts/
ʧ ʤ
e /dz/, palatali / / e / /. A livello internazionale viene adottato l’alfabeto fonetico
IPA. Il sistema vocalico tonico dell’italiano si è sviluppato da quello latino che,
distinguendo tra vocali brevi e lunghe, contava un totale di 10 vocali. Col passare
del tempo, la “quantità” vocalica si è trasformata in “qualità”: così, in italiano,
distinguendo tra vocali aperte e chiuse, abbiamo un totale di 7 vocali. Sappiamo,
infatti, che l’apertura/chiusura vocalica possono distinguere due parole altrimenti
Ӗ
identiche. Il dittongamento avviene quando abbiamo la è < tonica in sillaba
Ӗ
libera: P -DE(M) > piede. Anche la ò < Ŏ dittonga, se tonica in sillaba libera:
BŎ-NU(M) > buono. All’inizio dell’Ottocento il dittongo uo venne eliminato dopo
suono palatale: gioco < giuoco, figliolo < figliuolo. Il dittongo, tuttavia, manca
nelle parole dotte, che hanno seguito il modello del latino classico, senza subire
Ӗ
gli sviluppi del latino popolare: spècie < SP CIE(M), pòpolo < PŎPULU(M). La
monottongazione è il fenomeno inverso al dittongamento, per cui, già all’inizio
Ӗ
dell’era volgare, i dittonghi latini AE e OE si trasformarono in e Ē: LAETU(M) >
lieto, POENA(M) > péna. L’esito italiano di AU è ò: CAUDA(M) > coda, AURU(M)
> òro. La metafonesi (o metafonia) si ha quando le vocali finali estreme
influenzano la tonica che precede, aumentandone la chiusura se è già chiusa,
facendola dittongare se è aperta. L’anafonesi, tipico della Toscana, si
contrappone alla metafonesi ed è il fenomeno per il quale una é tonica si
ɲ ʎ
trasforma in i davanti a nasale palatale [ ], davanti a laterale palatale [ ] e
ɳ
davanti a nasale velare [ ], e ό tonica si trasforma in u davanti a nasale velare
ɳ
[ ]. A differenza di quello tonico, il sistema vocalico atono non distingue tra
chiuse e aperte, e comprende in tutto 5 vocali. Nel latino parlato era già caduta la
vocale mediana di molte parole sdrucciole (sincope): DŎM(I)NA(M) > donna. E’
avvenuta poi la sincope della vocale intertonica: BONITĀTE(M) > bontate >
bontà. Il passaggio di “e” pretonica a “i” consiste nella chiusura in i della e
Ӗ
pretonica (o protonica): N PŌTE(M) > nepote > nipote. In alcune parole questo
fenomeno non avviene, o perché forestierismi o perché termini modellati sul
latino. La labializzazione della vocale pretonica avviene quando una vocale
pretonica palatale (e, i) può diventare labiale (u, o) quando viene a trovarsi vicino
a un suono labiale (p, b, m, f, v) o labiovelare (kw, gw): AEQUĀLE(M) > eguale >
uguale, DEBĒRE > devere > dovere. Le consonanti latine -T, -S, -M, in
posizione finale subiscono, nel passaggio all’italiano, un indebolimento e poi un
dileguo. I gruppi consonantici latini CT e PT hanno dato luogo sempre a una
consonante doppia: LACTE(M) > latte, SEPTE(M) > sette. Particolare
fenomeno è il raddoppiamento fonosintattico, cioè quello che si produce dal
contatto tra due parole: AD CASAM > /akkasa/, TRES CANES > /trekkani/. A
volte si è prodotta la “univerbazione”, cioè la riduzione ad una sola parola:
soprattutto, sebbene. Palatalizzazione di “k” e “g”: la pronuncia del latino
Ӗ
classico per CĒRA e G LU era con l’occlusiva velare sorda. Tuttavia accadde
presto la tendenza a pronunciare le velari k e g come palatali davanti a vocali
palatali (e, i). Esiti consonante + J: nel passaggio dal latino all’italiano tutte le
consonanti (tranne R e S), quando sono seguite da J si rafforzano: FACIO >
faccio, SĒPIA(M) > seppia. Il nesso -TJ- diventa l’affricata dentale sorda /ts/:
VĬTIU(M) > vezzo (ma anche vizio). Il nesso -DJ- si trasforma in italiano
nell’affricata dentale sonora /dz/: RĂDIUM > razzo (ma anche raggio). Il nesso
-LJ- sviluppa la laterale palatale: FĪLIUM > figlio. Il nesso -NJ- dà in italiano la
nasale palatale: IŪNIU(M) > giugno. Esiti consonante + L: i nessi latini
“consonante + L” passano in italiano a “consonante + i”: FLŌRE(M) > fiore. In
Ӗ
posizione intervocalica la consonante + L raddoppia: N B(U)LA(M) > nebbia. Il
Ӗ Ӗ
nesso latino -TL- passa a -CL-: V T(U)LU(M) > V CLU(M) > vecchio. La
labiovelare iniziale kw rimane intatta solo davanti ad a: negli altri casi si riduce
all’occlusiva velare sorda k: QUĂNTU(M) > quanto, QUĬD > che. La prostesi si
ha quando vi è l’aggiunta di una vocale non etimologica all’inizio di una parola
per facilitarne la pronuncia: per iscritto. Il fenomeno opposto, che prevede la
caduta della vocale, si chiama aferesi: Vangelo < EVANGELIUM. L’epitesi
consiste nell’aggiunta di un suono non etimologico in fine di parola, per
agevolare la pronuncia: piùe, fue, etc. L’epentesi, invece, è l’aggiunga di un
Ӗ
suono non etimologico all’interno di una parola: inverno < HĪB RNU(M).
L’assimilazione è il fenomeno per il quale un suono diventa simile ad un altro
che si trova vicino. E’ regressiva quando il suono che precede diventa simile a
quello che segue; è progressiva quando il suono che segue diventa simile a
quello che precede. Il fenomeno opposto prende il nome di dissimilazione:
ARBŎRE(M) > albero, VENĒNU(M) > veleno. Prende il nome di
spirantizzazione il passaggio dell’occlusiva labiale sonora latina in posizione
intervocalica a una fricativa (o spirante) labio-dentale: HABĒRE > avere. Il
sistema dei casi latino, collassando, venne sostituito da un sistema analitico di
articoli e preposizioni. Gli articoli determinativi italiani il, lo, la, etc. derivano dai
dimostrativi latini ILLU(M), ILLA(M), etc., che divennero di uso sempre più
frequente a partire dal II sec. Dal numerale latino UNU(M) deriva l’articolo
indeterminativo un, uno. Per quanto riguarda le proposizioni, alcune si sono
conservate (AD, DE, CUM, CONTRA, IN, SUPRA), altre si sono perse
(PROPTER, ERGA, APUD), altre si sono formate attraverso varie combinazioni:
avanti < AB ANTE, dentro < DE INTRO, dietro < DE RETRO. Le parole italiane
derivano dall’accusativo delle parole latine. Il latino aveva tre generi: maschile,
femminile e neutro. Il neutro, quasi sempre, è confluito nel femminile singolare
italiano. Per quanto riguarda il verbo, il futuro italiano deriva dall’infinto del verbo
+ il presente di HABERE: CANTARE + HABEO > cantarò > canterò. Il
condizionale, invece, è formato dall’infinito del verbo + il perfetto di avere
(cantare + ei, esti, ebbe, etc.). Analitico è pure il passato prossimo: ho cantato >
HABEO CANTATUS. Il latino volgare non pone più il verb