Riassunto esame Storia dell'Impresa, prof. Colonna, libro consigliato Storia dell'Impresa, Toninelli
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Nota: L'investimento azionario, tuttavia, riguardò soprattutto azioni privilegiate, che assicuravano
dividendi più elevati ma non davano diritto di voto, e si indirizzò prevalentemente verso i settori
tradizionali, quali ferrovie e public utilities (servizi di pubblica utilità).
2) Sistema bank oriented (adottato in Germania e Giappone e a vari paesi d’Europa continentale).
- In questa sistema la forma prevalente di finanziamento esterno delle imprese è rappresentata dal
credito bancario dunque le banche hanno giocato un ruolo cruciale nella trasformazione
industriale di questi paesi secondi arrivati alla soglia dell’industrializzazione.
- In generale nei sistemi bank oriented gli intermediari bancari assumono la forma di istituti
despecializzati, comunemente chiamati banche miste o universali, in quanto forniscono
finanziamenti sia a breve che a lungo termine ed espletano funzioni di sostegno e di controllo nei
riguardi delle imprese da loro assistite, accompagnandole nella loro trasformazione in società
anonime, assumendone in portafoglio parte delle azioni e collocandone le rimanenti presso la
propria clientela.
In questo sistema il mercato borsistico è rimasto a lungo marginale e poco efficiente, svolgendo al
massimo funzioni di complemento all'attività delle banche;
- La Germania fu il paese dove più di tutti si adottò il sistema orientato agli intermediari.
Qui l’influenza delle banche sulla crescita delle imprese è stata molto forte a causa dei massicci
investimenti necessari nelle costruzioni ferroviarie.
- L’esperienza tedesca fu imitata in Italia, Svizzera, Spagna, Svezia per arrivare fino al Giappone,
dove a partire dalla prima guerra mondiale i gruppi conglomerati di imprese ( i c.d. zaibatsu)
poterono crescere rapidamente grazie ai finanziamenti a lungo termine offerti dalle banche.
Confronto tra i 2 sistemi
- Il confronto fra i due sistemi finanziari sottolinea i limiti di efficienza e trasparenza dei sistemi
bank oriented caratterizzati da informazioni scarse in quanto dominati da potenti istituzioni private
sulla base di rapporti informali di cooperazione.
Inoltre questo sistema è più instabile a causa dei potenziali rischi connessi con una degenerazione
dei rapporti banca/impresa in situazioni di crisi finanziarie
(Il caso italiano è stato in questo senso molto istruttivo: durante gli anni Venti gli eccessivi
immobilizzi delle banche miste, furono alla radice della devastante crisi economico -finanziaria che
nei primi anni Trenta portò alla nascita dell'IRI e alla ristrutturazione del sistema bancario nella
direzione di una specializzazione degli intermediari).
- Invece i sistemi market oriented sono caratterizzati da mercati liberi e concorrenziali, dalla
trasparenza negli affari societari.
- Negli ultimi decenni sembra essere in atto una certa convergenza dei 2 modelli in conseguenza
della progressiva globalizzazione del mondo finanziario che ha indotto un maggiore sviluppo della
borsa nei paesi bank oriented e un crescente ruolo delle banche nel finanziamento industriale nei
paesi anglosassoni. 32
3. L’EVOLUZIONE DEL QUADRO NORMATIVO
3.1 La legislazione antitrust
- In questi 2 paragrafi esaminiamo alcuni aspetti dell'attività legislativa che verosimilmente più
hanno condizionato storicamente il comportamento delle imprese: si farà cenno in particolare
all'evoluzione della normativa antitrust e della disciplina giuridica sui bilanci.
- Il differente sviluppo della legislazione antitrust all’interno delle singole realtà nazionali ha
influenzato notevolmente le strategie delle imprese;
- Consideriamo i due paesi protagonisti della seconda rivoluzione industriale: Stati Uniti e
Germania. Il tratto saliente delle 2 economie a cavallo del ‘900 fu la tendenza alla concentrazione
degli impianti, con il crescente rafforzamento del ruolo della grande impresa, indotta dalle nuove
tecnologie che imponevano economie di scala e ingenti immobilizzazioni di capitale.
USA
- Negli USA tra il 1880 e il 1903 i 4/5 dell'intera capacità del paese vennero interessati da processi
di fusione formando così imprese di eccessive dimensioni.
Ciò creava pressioni da parte dell’opinione pubblica interessata al ripristino della libera concorrenza
e a che si ponessero delle limitazione al potere economico delle grandi imprese.
- Così negli Stati Uniti, di fronte alle sempre più frequenti richieste di regolamentazione, il
Congresso varò una legislazione federale in materia, lo Sherman Act del 1890
col quale si dichiararono incostituzionali gli accordi di cartello, ma che lasciò spazio a fusioni e
concentrazioni.
- Fù necessario aspettare la presidenza di Roosvelt per vedere effettivamente rispettata la
regolamentazione antitrust, rafforzata da una serie di nuovi provvedimenti legislativi: tra cui il
Clayton Act del 1914.
- Frutto del mutato clima politico e istituzionale furono le coraggiose decisioni della Corte Suprema
di smembrare i due potentissimi gruppi che controllavano il mercato del petrolio e del tabacco, la
Standard oil e l'American Tobacco.
Germania
- In Germania invece l'affermazione di pratiche di cooperazione fra imprese operanti all'interno di
uno stesso settore attraverso accordi di cartello fu quasi una scelta consapevole e tutelata dalla
legge: si riteneva che il cosiddetto «capitalismo organizzato» rappresentasse un modo efficace per
consolidare l’economia interna e conquistare mercati esteri.
- Dunque i cartelli non solo non erano vietati, ma erano riconosciuti come legittimati e protetti dallo
stato;
I cartelli – che avevano lo scopo di limitare la concorrenza, di stabilizzare i prezzi e i profitti e di
affermare il controllo monopolistico del mercato – poterono così proliferare.
- Inoltre si diede vita ad importanti forme di collaborazione tra imprese o a vere e proprie fusioni,
come quella che diede vita alla gigantesca impresa chimica IG Farbenindustrie AG, che nel 1937
controllava il 98% della produzione tedesca di materie coloranti e il 50% dei prodotti farmaceutici,
e il 100% del magnesio. 33
- Alla tendenza tedesca si accostarono la Francia (che nel 1884 abrogava la legge napoleonica che
vietava accordi sui prezzi) e il Giappone (dove il governo Meiji aiutò in svariati modi la formazione
di gruppi conglomerati di imprese).
- Alla tendenza americana si accostò l’Inghilterra dove la commow law rendeva illegali gli accordi
tra imprese (ma non le fusioni).
Conclusioni
Per ciò che riguarda la politica antitrust, Germania e Stati Uniti costituiscono un esempio
emblematico di come i diversi contesti istituzionali possano esogenamente influenzare il
comportamento delle imprese.
3.2 L’evoluzione della disciplina giuridica in materia di bilanci e corporate
governance
- La seconda importante area di intervento legislativo concerne il bilancio.
- Il bilancio rappresenta il principale strumento d’informazione dell’azienda. Esso fornisce una
sintetica esposizione della consistenza patrimoniale e della capacità reddituale in un dato momento.
- Con l'affermazione delle società anonime e del principio della responsabilità limitata vennero
imposti obblighi giuridici man mano più stringenti per queste nuove forme di impresa.
- Nei paesi occidentali la regolamentazione in materia di bilanci aziendali assunse connotazioni
piuttosto precise e rigorose, con l'esclusione di Francia e Belgio, ove la legislazione commerciale
traeva ispirazione (come nel nostro paese) dal Codice napoleonico.
- In Germania e in Svizzera, sin dal 1880, vennero emesse norme precise per la compilazione degli
stati patrimoniali, in particolare in materia di valutazione del bilancio.
- In Inghilterra vennero previsti criteri più precisi di compilazione sia per lo SP sia per il CE.
- Negli Stati Uniti, le preoccupazioni sulla necessità di maggiori informazioni sulle società a
responsabilità limitata si riverberarono sulla legge di Incorporazione generale dello stato di
New York (1848), che servì da modello per il resto del paese: essa richiedeva la preparazione di
relazioni annuali contenenti indicazioni sul capitale versato e sull'ammontare dei debiti e
comminava pesanti pene pecuniarie agli amministratori che si fossero resi responsabili di falsi in
bilancio.
- In Italia:
il Codice di commercio del 1865 era in contrasto con le tendenze legislative in atto negli altri
paesi, prevedendo ancora il principio dell'autorizzazione governativa per la costituzione delle
società anonime.
Solo con il nuovo codice di commercio, Codice Mancini del 1882 si introdusse una nuova
normativa basata su 3 principi:
1) Il riconoscimento di più estesi diritti alle minoranze
2) Un sistema di ampia pubblicità degli atti sociali
3) Una più severa considerazione degli atti degli amministratori, sull’operato dei quali doveva
vigilare il collegio sindacale.
↓ 34
Tali disposizioni risultavano importanti perché:
a) in primo luogo perché veniva sancita la pubblicazione dei bilanci delle società di capitale in un
apposito organo, il «Bollettino Ufficiale delle Società per Azioni»;
b) in secondo luogo perché venivano messi a disposizione dei soci due nuovi documenti contabili,
le relazioni di bilancio e le relazioni del collegio sindacale.
- Anche in presenza di questi nuovi documenti, tuttavia, non era affatto garantita la trasparenza
delle operazioni contabili delle società.
visto che mancava una precisa regolamentazione dei criteri di formazione del bilancio e di
valutazione del bilancio.
- Solo con il codice civile del 1942 si previde una dettagliata descrizione dello SP secondo precisi
criteri di valutazione.
- La miniriforma del 1974 previde la presentazione dettagliata del conto profitti e perdite (conto
economico). 35
CAPITOLO 3
”L’EVOLUZIONE DELLE DIMENSIONI E
DELLE FORME DELLE IMPRESE”
PREMESSA
La storia d'impresa si è a lungo identificata con la storia della grande impresa. Perché?
1) Per ragioni pratiche
↓
Le grandi imprese tendono a lasciare maggiori tracce di sé negli archivi privati e pubblici.
Inoltre, al crescere delle dimensioni dell'azienda, è verosimile che aumenti il numero delle
transazioni, interne ed esterne, che ad essa fanno capo, e quindi la relativa documentazione:
corrispondenze, fatture, libri matricola e documentazione contabile quali libri mastro, inventari,
prima nota, ecc.
2)Perché prevalere nella storia economica e nella storia d'impresa un approccio funzional-
determinista: secondo cui la produzione di massa e la grande impresa rappresentano lo sbocco
inevitabile delle trasformazioni dell'economia e della società contemporanea, che hanno preso
avvio con la Prima rivoluzione industriale inglese.
Tale approccio ipotizza un processo di crescita dell’economia e delle imprese caratterizzato da
esperienze più o meno simili in tuti i paesi occidentali, che ruotano attorno ad alcune traiettorie
principali:
• la progressiva concentrazione della produzione del lavoro in fabbrica;
Nell’800
l’accentuata meccanizzazione del lavoro; la sostituzione di fonti energetiche non rinnovabili
con fonti rinnovabili.
La fase ottocentesca si caratterizza quindi per le modalità imitativo diffusive dell'esperienza
dell'industrializzazione britannica.
• la graduale scomparsa del capitalismo famigliare; il contemporaneo emergere del
Nel 900
capitalismo manageriale; la crescita dimensionale degli impianti e il fordismo;
la diffusa presenza di economie di scala; l'integrazione verticale e orizzontale; la
diversificazione.
La fase novecentesca, invece, ripeterebbe l’esperienza statunitense del capitalismo
manageriale.
(L’esperienza statunitense ha trovato la sua emblematica rappresentazione nel paradigma
chandleriano; per il quale la grande impresa diversificata, a struttura divisionale, costituisce
una sorta di punto di arrivo inevitabile del cammino verso il progresso). 36
- Negli anni 1980 però gli studiosi di impresa hanno incominciato a mutare la loro opinione sulla
grande impresa. Ciò è accaduto con un qualche ritardo rispetto all’apparente temporaneo declino
della leadership economica americana e all’appannamento della sua immagine internazionale
connessa ai non felici esiti della guerra del Vietnam (1960-1975), alla svalutazione del dollaro e alla
crisi del fordismo.
Si sono così affacciate nuove linee d'indagine che:
hanno dato spazio alla contestualizzazione geografico-temporale delle diverse esperienze di
crescita delle imprese.
hanno spostato l’enfasi dagli aspetti della generalizzazione e dell’omogeneità a quelli
dell’originalità e delle specificità di forme d’impresa diverse da quelle del modello americano.
(L’interesse si è così via via allargato all'analisi dell'impresa giapponese; all’impresa rete; ai
distretti industriali e alle altre forme di produzione flessibile che parevano offrire vie alternative alla
produzione di massa; a forme decentrate di organizzazione delle transazioni tipiche della new
economy).
1. DIMENSIONE E PERFORMANCE DELLE IMPRESE IN PROSPETTIVA
STORICA
- La dimensione quantitativa nella storia di impresa è rimasta a lungo subordinata a quella
qualitativa.
- Successivamente, aspetti quantitativi (quali aspetti dimensionali, longevità delle imprese,
indicatori di performance delle imprese o dei sistemi nazionali d’impresa) sono a poco a poco
divenuti oggetto d’indagine dello storico d’impresa, anche se non si è giunti ad accordi precisi sui
criteri dimensionali per definire grande, media e piccola impresa.
- La valutazione delle performance risente dell’influenza del paradigma chandleriano:
poiché la crescita dell’impresa è lo sbocco inevitabile del progredire dell’economia, la grande
dimensione diviene di per se stessa simbolo del successo dell’impresa, mentre la capacità di
mantenersi ai vertici del ranking dimensionale costituisce un adeguato indicatore della sua
performance.
1.1 Piccola, media e grande impresa.
- Nel capitalismo esistono molteplici forme d’impresa, rispetto sia alla dimensione sia
all'organizzazione interna e, dunque, diversi sistemi d'impresa.
- Chandler, indagando i tre principali sistemi d’impresa occidentali, sostiene che:
negli USA e in Germania la grande impresa sia divenuta nel corso del 1900 l’elemento
portante del sistema produttivo
mentre l’Inghilterra ha preferito un sistema basato su operazioni su scala limitata e sulla
conduzione personale da parte dei proprietari. 37
Quota % dell’occupazione manifatturiera.
- Un indicatore utile a valutare la consistenza delle varie classi dimensionali delle imprese
all'interno di ogni paese è rappresentato dalla quota di occupazione assorbita da ciascuna di esse.
- In tutti i principali paesi occidentali la quota di occupazione assorbita dalle prime 100 imprese non
arriva a 1/3 del totale; mentre la categoria delle imprese medie (più di 200 occupati) rappresenta la
classe più importante in Germania, Stati uniti e GB; invece Italia Giappone e Francia sono
caratterizzate da imprese di piccole dimensioni che hanno quote di occupazione superiori al 50%.
Perché esistono diverse forme d’impresa?
- Se si guarda la storia economica degli ultimi 2 secoli si osserva una tendenza alla crescita
dimensionale delle imprese. Tuttavia sono convissute e convivono ancora diverse forme di impresa.
La presenza di diverse forme d’impresa dipende dalle strategie competitive delle singole imprese
soprattutto rispetto all’attività innovativa, dalla specificità del settore nel quale operano e dal tipo di
concorrenza presente nei mercati.
( Ad esempio la piccola e media dimensione è di solito più adeguata alla produzione specializzata o
di nicchia, che opera in mercati più ristretti; la grande impresa è richiesta per attività che
impongono economie di scala e che richiedono un’organizzazione della produzione e della vendita
in grado di servire un mercato di massa).
- La struttura dimensionale delle imprese, poi, dipende in buona parte anche dalla storia e dalla
specificità del contesto istituzionale di ogni singolo paese, come già si è visto nel capitolo
precedente. Se si prende in considerazione il settore manifatturiero si nota che nel periodo tra il
1961 e il 1991:
Giappone e Italia sono caratterizzate da microimprese (con meno di 10 addetti) e piccole
imprese (10-49 addetti)
mentre in Germania, GB e USA le imprese con più di 500 addetti hanno un peso
chiaramente superiore.
↓
Ciò è spiegato dalle specificità storiche, produttive ed organizzative, di queste economie:
il radicamento dell’industria diffusa (ampio tessuto di imprese di limitate dimensioni) e dei
distretti nel caso italiano,
la struttura piramidale dei gruppi di imprese giapponesi,
la spiccata tendenza all’integrazione produttiva verticale e alla diversificazione negli altri 3
paesi. 38
1.2 Due indicatori di performance: longevità e redditività.
- Il concetto di performance è un concetto sfuggente e complesso, impossibile da ricondurre ad una
singola definizione. In esso confluiscono:
• valutazioni di carattere contabile relative all’efficienza dell’impresa nel produrre beni e
servizi, che assumono la forma di indici specifici, quali il ROI (Return on Investment), il
15
ROE (Return on Equity), il ROS (Return on Sales) .
• valutazioni di carattere patrimoniale relative alla solidità dell’impresa;
• valutazioni di performance finanziarie (es. capitalizzazione di borsa, etc.).
Esse sono stime riconducibili al mainstream della microeconomia, in quanto puntano alla
massimizzazione del profitto.
- Nella corrente istituzionalista, l’efficacia dell’impresa viene valutata in base:
• Alla sua capacità di ridurre i costi di transazione e di minimizzare i conflitti
principale/agente. Ovvero di posizionarsi efficientemente all’interno del continuum
gerarchie-mercati, dotandosi di una struttura organizzativa adeguata alle mutevoli condizioni
del mercato e alla sua specializzazione produttiva.
- Nell’approccio evolutivo, l'enfasi è posta sulla sopravvivenza dell'impresa, ovvero sulla sua
capacità di superare la continua selezione prodotta dalle mutevoli condizioni del mercato.
- Nell’indirizzo del management strategico la performance dipende in primo luogo da condizioni
esogene quali: la struttura del settore nel quale opera l’impresa e dalla capacità dell’impresa di
interagire con esso;
- Negli approcci sociologici il termine di confronto è la capacità dell’impresa di raggiungere certi
obiettivi.
- Insomma non esiste un criterio universale e obiettivo di valutazione della performance
dell’impresa, anche perché esso varia a seconda del soggetto interessato - l'azionista, il manager, il
proprietario, i lavoratori, che hanno sovente interessi divergenti —, nonché della forma
dell'organizzazione e della dimensione dell'impresa stessa.
15 ROE (return on equity): La sigla R.O.E. è utilizzata per indicare la redditività del capitale proprio. Il R.O.E. non è
altro che il rapporto tra: (reddito netto di esercizio)/(valore del capitale proprio ).
ROS (indice di redditività delle vendite): E' costituito dal rapporto tra (risultato operativo)/fatturato . Indica la
redditività operativa (derivante cioè dalla gestione caratteristica dell'impresa) delle vendite; più l'indice è elevato e
cresce nel tempo, più la redditività è positiva e le prospettive favorevoli.
ROI (indice di redditività del capitale investito o ritorno degli investimenti) indica la redditività e l'efficienza
economica della gestione caratteristica a prescindere dalle fonti utilizzate: esprime, cioè, quanto rende il capitale
investito in quell'azienda.
ROI= (Margine operativo lordo \Capitale investito netto operativo)
dove per Margine operativo lordo si intende il risultato economico della sola Gestione Caratteristica, mentre per
Capitale Investito Netto Operativo si intende il totale degli impieghi caratteristici al netto degli ammortamenti e degli
accantonamenti, ossia l'Attivo Totale Netto meno gli Investimenti Extracaratteristici (investimenti non direttamente
afferenti all'attività aziendale, ad esempio immobili civili) 39
- Tuttavia nel XX secolo, lo studioso Cassis ha suddiviso in 5 categorie i diversi criteri di
valutazione della performance delle imprese:
1. La dimensione, è il criterio più importante in quanto la crescita dimensionale è associata a
strategie competitive vincenti;
Essa è misurabile ad es. con la quota di occupazione e produzione su un determinato
universo di imprese.
2. Il rendimento, calcolato sulla base di indici di redditività, essa fornisce una misurazione
diretta della performance.
3. La sopravvivenza, in assoluto o all’interno di determinate categorie di ranking, costituisce
una misurazione indiretta della performance, tuttavia la sua interpretazione può risultare
ambigua (talvolta la cessazione o la cessione di un'azienda può risultare per gli stakeholders
più proficua di una politica di pura sopravvivenza).
4. La competitività è misurabile attraverso stime quantitative come quote di mercato o
produttività, utili soprattutto in indagini su un universo omogeneo di imprese, ad esempio
quelle operanti all'interno di uno stesso settore.
5. Etica e la reputazione, implicano valutazioni di tipo qualitativo, quale l’impatto ambientale
o la creazione di nuovo opportunità di lavoro.
Gli studi di Chandler
- Nel 1990, lo studioso Chandler, con la pubblicazione di “Scale and Scope”, che mette a confronto
la dinamica delle 200 maggiori imprese di USA, Germania e Gran Bretagna nel XX secolo, sostiene
che la grande impresa abbia continuato a dominare per tutto il 1900 i settori ad alta intensità di
capitale. Tuttavia, mentre negli USA e in Germania vi è stato scarso ricambio tra le prime 200 (
poiché molte delle stesse aziende che hanno acquisito le capacità organizzative prima della guerra
seguitano ad essere leader nei loro settori), in GB, dove sole poche imprese hanno sviluppato queste
capacità prima della guerra, il ricambio è stato molto maggiore.
Per Chandler dunque i migliori indicatori per valutare il successo di un impresa sono
1) la sua longevità (carattere della sopravvivenza) e 2) la sua permanenza ai vertici del sistema
economico (carattere della profittabilità).
Il carattere della longevità.
La sua pubblicazione ha suscitato, negli anni 1990, un serrato dibattito soprattutto su 2 questioni:
1) La fondatezza dell’ipotesi della permanenza in cima al ranking dimensionale di un gruppo di
grandi imprese negli USA.
2) La supposta supremazia delle imprese statunitensi e tedesche su quelle britanniche.
Degli studi hanno analizzato queste due questioni e hanno mostrato che:
• Per quanto riguarda il 1° punto uno studio recente ha evidenziato che:
In America solo una ridotta % del campione (circa il 5% delle imprese considerate) permane
in tutti i top ranking dei diversi periodi considerati (Addirittura tutte queste società hanno
origine nell’800).
Il cambiamento appare dunque l’elemento dominante della grande impresa americana.
turbolenza va collegata in primo luogo all'azione dei regimi tecnologici: in particolare
La
alle fasi di declino del terzo regime (quello indotto dell'acciaio e dell'elettricità), di ascesa e
declino del quarto (petrolio, automobile e produzione di massa), e all'ascesa del quinto,
quello legato alle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. 40
Nessuna tendenza può quindi essere generalizzata: la natura dinamica delle imprese fa sì che
esse reagiscano ed evolvano in modo differente a seconda del settore a cui appartengono,
della loro specifica capacità di apprendimento e della posizione che esse occupano
all’interno di una determinata traiettoria tecnologica.
• Per quanto riguarda il 2° punto.
Chandler arrivava a supporre la supremazia delle imprese tedesche e statunitensi su quelle
britanniche basandosi sul confronto fra le prime 100 imprese manifatturiere mondiali, in
16
termini di valore di capitalizzazione di borsa , in due anni benchmark, il 1912 e il 1995 (ed
in effetti la capitalizzazione azionaria media delle maggiori 100 imprese in Usa e Germania
è nettamente superiore alle maggiori 100 imprese britanniche).
Tuttavia il tasso di sopravvivenza per le prime 100 imprese britanniche, fra il 1912-1995 è
più marcato se paragonato a quello delle prime 100 imprese degli USA e della
GERMANIA.
La permanenza ai vertici del sistema economico
- La seconda linea d’indagine, quella relativa al confronto diacronico della redditività delle imprese
( cioè alle trasformazioni nel tempo del fenomeno della redditività) dei diversi paesi, è risultata
estremamente problematica. Perché?
1) Difficoltà di ricostruire dati comparabili fra i diversi paesi, dato che la determinazione dei profitti
delle imprese è soggetta a normative spesso molto diverse nei differenti paesi.
Per poter operare confronti di lungo periodo è necessario avvalersi di dati di sintesi del bilancio,
come il ROI, che analizza la redditività degli investimenti e in assenza il ROE, che è un più
generico indice di redditività del capitale, che tuttavia risulta molto sensibile alle strategie fiscali e
alla politica dei dividendi nei confronti degli azionisti portata avanti dalle aziende.
2) Fondata presunzione che i profitti ufficialmente denunciati siano sovente ben diversi da quelli
reali, dato che la ricostruzione degli utili rappresenta la voce di bilancio che per varie ragioni —
fiscali, innanzitutto, ma non solo — è maggiormente esposta ad artifizi contabili.
- Esistono sia studi che arrivano a considerazioni divergenti da quelle di Chandler (redditività
maggiore delle piccole imprese); sia studi che sembrerebbero confermare in linea di massima le
ipotesi chandleriane, che si possono così riassumere:
a) esisterebbe una relazione positiva fra dimensione e redditività delle imprese;
b) esisterebbe un maggior rendimento per le aziende più longeve;
c) esisterebbe una profittabilità decisamente superiore per le imprese appartenenti ai settori a più
elevata intensità tecnologica.
16 Si riferisce al valore di mercato delle azioni di una società, ed è calcolato moltiplicando il numero di azioni per il loro
prezzo di mercato, il quale può differire anche di molto dal valore nominale. 41
2 L’IMPRESA FAMIGLIARE
- Parte della letteratura economica e manageriale ha definito l’impresa famigliare =
come un retaggio del passato (patrimonio ereditato dal passato) e come un ostacolo al
funzionamento dei meccanismi di mercato, a causa di sue presunte rigidità in materia di proprietà e
di management.
↓
In questa raffigurazione stereotipata dell'impresa famigliare, essa andrebbe considerata come il
primo stadio del ciclo di vita delle imprese e si caratterizzerebbe per:
• Dimensioni ridotte e strutture organizzative arretrate (si impedisce infatti l’ingresso di
“manager” esterni dell’impresa famigliare);
• Lento tasso di crescita, conseguenza di strategie basate sulla distribuzione dei dividendi
(fonte di sostentamento della famiglia) e non orientate agli investimenti;
• Preferenza per l’autofinanziamento o comunque preferenza per finanziamenti bancari a B/T
rispetto al mercato azionario per evitare la diluizione del controllo familiare:
↓
Questa raffigurazione dell'impresa famigliare è condivisa dalla scuola chandleriana, in cui emerge
la contrapposizione fra l'impresa famigliare e quella manageriale d’impronta USA, verso cui
convergerebbero tutti i percorsi di crescita. ↓
Tuttavia, proprio la reazione al paradigma chandleriano, nella declinazione determinista, ha portato
ad approfondire il dibattito su:
1) la natura, le determinanti e le modalità di crescita e di declino dell'azienda famigliare.
2) sulla stessa definizione di impresa famigliare e i rapporti con eventuali manager esterni.
3) approfondimento delle motivazioni circa il duraturo successo delle imprese famigliari in
determinati contesti: es. Europa (ma non solo).
- Da questi studi sembrerebbe che l’impresa famigliare:
meglio si adatti a condizioni di elevata incertezza del mercato e di scarsa efficacia del
contesto normativo, consentendo di ridurre i costi di transazione, di far circolare meglio le
informazioni e di limitare con la successione all'interno del gruppo famigliare i rischi
connessi alla sostituzione della leadership.
Sembra poi che le imprese famigliari tendano effettivamente ad affermarsi nei settori che
implicano ridotte economie di scala, il mantenimento di competenze artigianali e forme
organizzative relativamente semplici, come nelle attività più tradizionali e nell'industria
leggera e nella produzione flessibile (che produce beni di piccole dimensioni e largo
consumo).
- Il tema dell'impresa famigliare occupa da tempo un notevole spazio nella storiografia d'impresa
europea, dove tale forma di organizzazione produttiva manteneva (e mantiene) ancora una discreta
vitalità e dove la transizione verso il capitalismo manageriale non pare al momento rappresentare,
ancora l'ineluttabile esito del processo evolutivo delle imprese. 42
Le esperienze di questi paesi hanno mostrato che alcune delle connotazioni negative attribuite alle
aziende famigliari - ridotte dimensioni, scarso dinamismo innovativo, redditività condizionata alle
esigenze dell'azionista - non corrispondevano appieno alla realtà.
↓
Infatti l’esperienza di paesi europei e non solo (Corea del sud, Taiwan, Cile) mostra che, per buona
parte del Novecento, anche le imprese famigliari sono riuscite ad avere successo non soltanto in
gran parte dei settori produttivi tradizionali, ma anche in moderne industrie ad alta intensità di
capitali ed elevato tasso tecnologico, quali l'industria automobilistica, quella siderurgica e quella
della gomma.
In Inghilterra il controllo famigliare sulle 200 maggiori imprese è cresciuto fra le 2 guerre dal 55
al 70%.
In Francia gruppi famigliari hanno mantenuto il controllo di grandi imprese fino agli anni ’60.
In Germania la Krupp e la Siemens sono rimaste in mano alla famiglia fondatrice fino alla
seconda guerra mondiale anche se già le gerarchie manageriali si erano pienamente sviluppate.
In Italia esistono grandi gruppi in mano a grandi famiglie, come i Fiat, Pirelli, Luxottica e
Benetton.
Anche negli USA esistono non pochi casi di capitalismo personale che si prolunga per tutto il
900, ad esempio (es. Mellon e Ford, anche se la perdita di leadership della Ford a vantaggio della
GM è stata attribuita alla sua mancata trasformazione in senso manageriale).
- Alla fine del XX secolo più del 15% delle 100 maggiori imprese americane e tedesche erano
ancora famigliari, in Italia invece si sfiorava il 50%.
DEFINITIVA
↓IN
Ciò che emerge da queste considerazioni è che:
Non ha senso dunque porre la questione dell'impresa famigliare in termini di anacronistica
sopravvivenza di una forma produttiva che sarebbe oramai superata.
Invece l'impresa famigliare va considerata come una fra le molte forme d'impresa che si pongono
nel continuum williamsoniano di gerarchie e mercati.
3.LA GRANDE IMPRESA MANAGERIALE
- Sia negli Stati Uniti che in Europa all'origine della grande impresa moderna vi è stata la
costruzione delle infrastrutture, canali e, soprattutto, reti ferroviarie.
In particolare l’influenza delle ferrovie si esercitò attraverso molteplici vie:
• La loro costruzione comportando l’impiego di enormi quantità di ferro, acciaio, cemento e
legno stimolò fortemente lo sviluppo delle attività industriali a monte;
• Una volta in servizio, le ferrovie sollecitarono le attività a valle (forward linkages), tagliando
i tempi di percorrenza, facilitando la movimentazione di merci e passeggeri e consentendo
alle imprese di ampliare i propri mercati (e quindi di crescere).
• Le società ferroviarie stesse diventarono il primo concreto esempio di big business moderno.
↓
Fino agli anni 1870 solo le ferrovie mostrarono caratteristiche proprie della grande impresa:
- impianti di grandi dimensioni,
- organizzazione complessa,
- forte necessità di coordinamento manageriale 43
- e una crescente separazione fra proprietà e controllo.
- Ma l’elemento chiave fu rappresentato dalle necessità finanziarie per far fronte ai colossali
investimenti richiesti: la formula preferita inizialmente fu quella delle obbligazioni (a interesse
fisso), ma soprattutto negli Stati Uniti non fu raro il ricorso a emissioni azionarie.
Il forte indebitamento indusse non di rado le società ferroviarie a pratiche collusive (accordi sulle
tariffe, divisioni delle quote di mercato, ecc.) in grado di garantire una maggior redditività.
- Le imprese ferroviarie erano di grandi dimensioni e impiegavano numerosi lavoratori e ciò
richiedeva nuove strutture organizzative e nuove procedure di coordinamento:
si introdusse un'organizzazione per funzioni (merci, passeggeri, comunicazioni, ecc.), basata su
gerarchie formali distinte per linee di autorità e deleghe di responsabilità, nonchè la
sperimentazione di sofisticate tecniche di contabilità, caratteristiche queste che di lì a breve si
sarebbero diffuse alla grande impresa manageriale.
3.1.La mano visibile e il paradigma chandleriano
- La grande impresa manageriale ha trovato negli USA le condizioni socioeconomiche migliori per
affermarsi. Perché?
Il paese era scarsamente popolato e aveva quindi una ridotta possibilità di sfruttamento della
forza lavoro ma al contempo godeva di una notevole offerta di risorse naturali e di una
relativa disponibilità di capitale (la cui accumulazione affondava le radici nell'epoca
coloniale).
Ciò contribuisce a spiegare la tendenza allo sviluppo di tecnologie labour saving (che
fanno risparmiare lavoro), ma ad alta intensità di risorse e di capitale, e quindi la precoce
spinta al processo di meccanizzazione.
↓
Una serie fondamentale di innovazioni di processo e di prodotto resero possibile la
diffusione delle pratiche di standardizzazione, basate sul principio delle parti
intercambiabili, in un largo ventaglio di settori: si sviluppò in tal modo il cosiddetto
American system of manufacturing (si trattava, in pratica, di un sistema basato sulla
standardizzazione del prodotto e sull’intercambiabilità delle varie parti che lo
componevano).
Era il primo stadio di una filiera tecnologica che di lì a qualche decennio — in piena
sintonia con i principi del taylorismo (cioè dell'organizzazione scientifica del lavoro) —
sarebbe sfociata nel fordismo, ovvero nella completa meccanizzazione del processo
produttivo, mediante l'adozione della catena di montaggio (sperimentata per la prima volta
negli stabilimenti Ford nel 1913)
- Prese così avvio, negli ultimi 20 anni del 1800, un processo di integrazione delle attività
produttive dal quale sarebbero ben presto emerse poche grandi imprese dominanti.
La concentrazione condusse progressivamente alla sostituzione della “mano invisibile” del mercato
con la “mano visibile” della grande impresa: si andò cioè delineando la tendenza alla
internalizzazione nell’azienda di operazioni e transazioni fino ad allora coordinate dal mercato, 44
i cui meccanismi non sembravano in grado di assicurare le economie di scala e di ampiezza (o di
scopo) necessarie a garantire quel crescente flusso di prodotto che era ormai condizione
indispensabile per lo sviluppo dell'impresa.
Si spiegava così il rapido sviluppo delle gerarchie manageriali e la loro crescente importanza nel
dirigere e organizzare la produzione dell’impresa.
Inoltre per rendere sempre più efficiente l’organizzazione si iniziavano quei processi di divisione tra
attività finanziarie e produttive e tra proprietà e management che sarebbero diventati un caposaldo
della grande impresa del XX secolo.
In quali settori si diffuse la grande impresa manageriale?
- Nell’America di fine ‘800 e inizi ‘900, la grande impresa manageriale integrata si diffuse
soprattutto nelle industrie e nei settori caratterizzati da un elevato tasso di cambiamento tecnologico
e da una domanda in rapida espansione.
Si distinguevano 2 gruppi di imprese che erano inserite tra il novero delle industrie dinamicamente
attive (sia dal punto di vista dell’innovazione tecnologica che da quello
commerciale/organizzativo):
• Nel 1° gruppo confluivano i settori del tabacco e della meccanica leggera (strumenti di
precisione, serrature, ferramenta, ingranaggi, minuterie metalliche).
Le imprese del primo gruppo — quali la Coca Cola per l'industria alimentare, la American
Tobacco per il settore del tabacco, la Singer e la McCormick nel campo della meccanica
leggera — erano accomunate da un processo di crescita sostanzialmente interno, attuato
attraverso strategie di integrazione a valle nel campo della distribuzione e del marketing e a
monte nell'acquisizione delle materie prime.
Nella maggior parte dei casi queste strategie di sviluppo poterono essere perseguite facendo
affidamento soprattutto su risorse finanziane proprie, assicurate dall'elevato cash flow
generato dalla produzione e dalla distribuzione di massa.
• Nel 2° gruppo confluivano i settori del petrolio, la chimica, l’elettromeccanica pesante, la
gomma e l’automobile.
Facevano parte di questo gruppo le imprese che operavano in settori ad intensità di capitale
— ad esempio la Standard Oil, la Generai Electric, la Du Pont - e che erano inizialmente
cresciute soprattutto attraverso strategie di integrazione orizzontale per il controllo dei
prezzi e della produzione: a questa fase aveva tuttavia fatto seguito una fase di
ristrutturazione produttiva e organizzativa, caratterizzata da una forte spinta anche
all'integrazione verticale.
Ne conseguiva, a differenza delle imprese del 1° gruppo, che queste imprese ricorrevano al
mercato dei capitali per finanziare i massicci investimenti richiesti dai processi di
consolidamento e ristrutturazione e le necessità di consulenza e/o di assistenza finanziaria
nei processi di fusione. 45
3.2 Economie di scala e diversificazione: i “first movers”.
- Per Chandler tutte queste imprese avevano in comune una caratteristica fondamentale, quella cioè
di essere dei first movers, cioè le prime imprese ad avere effettuato investimenti su larga scala in
una triplice direzione:
1) In adeguate economie di scala e di scopo per rafforzare la produzione;
2) Nell’organizzazione della distribuzione;
3) Nella struttura manageriale di coordinamento e controllo delle due attività precedenti.
↓
Dunque gli imprenditori che per primi hanno effettuato il necessario triplice investimento nella
produzione, nella distribuzione e nel management hanno potuto godere di un forte vantaggio
competitivo, creando delle barriere all'entrata in grado di essere superate dagli sfidanti soltanto con
sforzi ancora più rilevanti e con rischi maggiori.
- I first movers appaiono come gli agenti primi dello sviluppo delle economie moderne: in quanto
queste imprese, nel dotarsi di laboratori di ricerca e sviluppo in grado di alimentare le loro
capabilities, diventavano terreno fertile di sperimentazione e collaudo delle conoscenze
tecnologiche, manageriali ed organizzative che poi andavano a riversarsi sull’intero sistema
economico.
Le strategie delle grandi imprese
- 4 sono le strategie che consentono alle grandi imprese di continuare a crescere e a mantenersi ai
vertici delle economie contemporanee:
1) Integrazione orizzontale ovvero una strategia volta a collaborare o a unirsi con, o ad
acquisire, imprese che utilizzano metodi produttivi simili, per produrre uno stesso prodotto
rivolto a uno stesso mercato;
2) Integrazione verticale ovvero la tendenza ad assorbire unità coinvolte nelle attività a
monte o a valle del proprio processo produttivo
3) Diversificazione produttiva;
4) Espansione verso aree geograficamente lontane.
Le strategie 1) e 2) hanno motivazioni essenzialmente difensive, poiché sono finalizzate a
proteggere gli investimenti già effettuati.
Le ultime due strategie 3) e 4) hanno carattere offensivo, sono cioè finalizzate a entrare in nuovi
mercati e/o intraprendere nuove attività.
A sua volta la diversificazione viene classificata in 2 categorie:
• Quella correlata che riguarda l’espansione dell’impresa in linee di prodotto vicine, per
caratteristiche tecnologiche e produttive o per modalità di marketing e distribuzione, al core
business originario
• Quella non correlata contempla una diversificazione in settori che, sulla base delle suddette
caratteristiche appaiono lontani dal core business originario. Ciò da vita all’impresa
conglomerata, che è quindi il punto di arrivo di una strategia di diversificazione spinta.
- La 3) e la 4) sono strategie che sono state molto utilizzate soprattutto nella seconda metà del
secolo scorso, quando il fenomeno delle conglomerate e delle multinazionali ha assunto dimensioni
rilevanti. 46
- Per buona parte della letteratura manageriale, la crisi che colpì il capitalismo americano negli anni
‘80 andava attribuita proprio agli eccessi di diversificazione della grande impresa, in particolare alla
sua degenerazione impersonata dalla conglomerata che si prestava a pericoli di dispersione e
insufficiente coordinamento per l’eccessiva espansione dell’impresa.
3.3 LE IMPRESE MULTINAZIONALI
Le imprese multinazionali
- La quarta modalità di crescita dell’impresa indicata da Chandler riguarda l’espansione verso aree
geograficamente lontane consentendo all’azienda di sfruttare anche fuori dai confini nazionali il
vantaggio competitivo offerto dalle sue capabilities (potenzialità).
Avviene così la trasformazione dalle imprese manageriali in imprese multinazionali =
ossia in imprese che detengono una quota di controllo su un’altra impresa (controllata) operante in
un paese estero.
Motivazioni che spingono un’impresa a diventare una IMN.
Diversi fattori possono spingere l’impresa a creare propri impianti in un paese estero:
• Tariffe doganali e altri interventi legislativi adottati da un paese estero per aumentare il
prezzo dei prodotti importati;
• Il costo del lavoro;
• Il desiderio della società madre di sfruttare nuovi potenziali mercati;
• Implementare strategie di differenziazione del prodotto o della marca in risposta ad esigenze
locali;
• Volontà di prevenire la concorrenza su un determinato mercato.
Tendenze verso l’internazionalizzazione
- Dopo gli anni 90 si è assistito ad un intenso processo di internazionalizzazione che ha
caratterizzato le economie dei singoli paesi, accentuando, peraltro, un processo già in evidente
sviluppo fin dal secondo dopoguerra.
- Nel secondo dopoguerra, la grande espansione degli investimenti diretti all'estero (Foreign Direct
Investment - FDI) degli Stati Uniti, stimolò l'interesse degli studiosi verso questo filone di ricerca.
Mentre in Europa l’interesse per il tema ebbe ovviamene inizio dall’Inghilterra, che già nella fase
pre 1914 era il paese con i magiori FDI cioè il paese che più aveva espanso la propria economia
all’estero. Alla data del 1914:
circa 1'80% degli FDI proveniva dal vecchio continente e solo il 14% dagli Stati Uniti.
Gli FDI erano destinati in Asia (tanto India che Cina) col 21 % e America Latina
(soprattutto Messico, Brasile e Argentina) col 33%, seguiti da Stati Uniti e Europa orientale
col 10% ciascuno, e, ancora, con quote minori, da Europa, Canada, Africa e Oceania;
Le IMN europee differivano da quelle americane per la loro forma: la maggior parte delle
IMN europee non erano grandi imprese manageriali ma si trattava di imprese registrate sì
nella madrepatria, ma che all'interno di essa non svolgeva alcuna attività: non erano quindi
filiazioni estere di grandi imprese nazionali, bensì solo aziende specializzate in una singola
attività, prodotto o servizio che fosse, solitamente in un solo paese.
Esse sono state denominate free standing companies. 47
- Gli FDI e, di conseguenza, le multinazionali ebbero nei decenni precedenti il 1914 una fase aurea,
che si protrasse, nonostante la guerra, fino al 1929.
(Negli anni Venti il fenomeno delle free standing companies però andò attenuandosi lasciando
spazio alle multinazionali di forma classica. Nello stesso periodo cresceva il dinamismo delle
imprese americane).
- la recessione degli anni Trenta, con la conseguente graduale chiusura delle economie
(protezionismo), rallentarono per quasi un ventennio la crescita degli FDI, a vantaggio della
costituzione di cartelli internazionali fra produttori per il controllo di specifici mercati.
Crebbe ulteriormente l'importanza del settore petrolifero che, da solo, coprì una ragguardevole
parte dell'attività delle multinazionali.
- A partire dagli anni 50 si ebbe invece una forte ripresa dell'attività multinazionale.
Il flusso totale degli FDI crebbe di cinque volte tra la fine degli anni Cinquanta e il 1980.
Tuttavia erano gli Stati Uniti a questo punto a fare la parte del leone, con il 40% del totale dei flussi
diretti verso l'estero, mentre anche il Giappone, con il 7%, compariva tra i principali investitori.
- Negli anni ‘80 si è assistito ad un vero e proprio boom degli FDI, cresciuti a un ritmo del 15 %
annuo, che apre l'età della globalizzazione.
Il ruolo degli Stati Uniti si è gradualmente ridimensionato, mentre anche l'Italia vede crescere la
propria quota: accanto a poche grandi imprese — ENI, Fiat, Telecom — si segnala un crescente
numero delle cosiddette «multinazionali tascabili», imprese di medie dimensioni — Saes Getters,
Candy, Mapei, Artsana, ecc. — che perseguono la conquista di nicchie di mercato all’estero,
trasferendovi parte della propria produzione.
- Intorno alla metà degli anni Novanta è ulteriormente aumentata la forza d'attrazione degli FDI
dell'Europa (43 %) e degli Stati Uniti (21%), mentre l'aumento la quota asiatica (13%).
4.LE ALTRE FORME DI IMPRESA
Vi sono, oltre l’impresa personale e l’impresa manageriale, esistono altre 3 forme d’impresa
alternative:
1) i gruppi di impresa (con particolare riferimento alle forme da questi assunte in Giappone e in
Corea)
2) le cooperative
3) i distretti
4.1 I gruppi di imprese, gli “zaibatsu” e il modello asiatico
- La diversificazione ha rappresentato la via maestra di crescita delle imprese dei paesi di più
recente industrializzazione nell'Asia orientale e in Sud America.
In questi paesi tuttavia la diversificazione non ha costituito lo sbocco finale della loro evoluzione,
ma è stata il frutto della precoce formazione di gruppi di imprese strettamente interrelate (come lo
zaibatsu giapponese, i grupos sudamericani e il chaebol coreano) che, anziché specializzarsi in una
produzione o in una linea di produzioni correlate, hanno dato vita a un ventaglio di industrie,
sovente tecnologicamente non correlate e capaci di mettere in pratica un'aggressiva politica di
espansione sui mercati esteri: una precoce forma di gruppo conglomerato (formato da varie società
operanti in settori economici diversi, ciascuna con la propria autonomia giuridica). 48
Zaibatsu 17
- In Giappone tra l’epoca dei Meiji e la 2° guerra mondiale lo zaibatsu era, insieme allo Stato,
l'istituzione fondamentale nel modello di crescita giapponese.
- Lo zaibatsu = era un grande gruppo diversificato di imprese, posseduto e controllato da ricche
18
famiglie (Sumimoto, Mitsubishi ) di origine mercantile.
La sua fortuna si spiegava anche con l’iniziale carenza nel paese di talento manageriale che
spingeva un limitato numero di imprese a operare in molteplici settori e con la presenza di un
finanziatore forte rappresentato da una house bank, le cui caratteristiche replicavano quelle della
banca mista di modello tedesco.
- La democratizzazione dell’economia giapponese dopo l’occupazione americana successiva alla
sconfitta nella 2° guerra mondiale portò allo smantellamento degli zaibatsu.
- Con il ritorno della sovranità (1952), il governo giapponese tornò a favorire la formazione di
gruppi di imprese ora denominati keiretsu. per l'assenza del controllo famigliare,
- Essi si differenziavano dai precedenti zaibatsu
sostituito da una sempre più densa rete di partecipazioni incrociate fra le imprese del gruppo.
- Nuovi gruppi di imprese si andarono affiancando ai vecchi (la maggior parte dei quali venne
ricostituita), raggiungendo un'elevata competitività in settori quali l'automobile (Toyota) o
l'elettronica (Sony).
- Gli zaibatsu e i keiretsu avevano caratteristiche comuni:
• L’aspetto della flessibilità nella gestione è elemento essenziale.
Il fenomeno si spiega:
1) con la prolungata permanenza di un mercato segmentato
2) e con la diversa organizzazione del lavoro e della produzione che ha da subito
caratterizzato le industrie che facevano parte dell'impresa/gruppo.
L’organizzazione del lavoro veniva (e viene) gestita non a livello centrale ma a livello
delle singole unità produttive in ciascuna delle quali erano presenti uno o più ingegneri.
La gestione, centrata a livello di singola officina, non si è quindi sviluppata sul principio
della divisione funzionale del lavoro, ma piuttosto sulla base di un sistema di lavoro
collettivo, reciproco e sinergico, per il quale l'obiettivo di produzione non viene affidato a
un singolo, ma a un gruppo di lavoratori, le cui funzioni sono intercambiabili.
- Nella sua forma attuale, il modo di produzione giapponese è strutturato in un sistema di gruppi di
imprese organizzate a piramide al centro del quale vi e un'impresa nucleo (l’azienda guida) che
esercita il coordinamento pianificato delle attività di gruppo, ovvero delle aziende satelliti, spesso di
dimensioni ridotte, che agiscono da subappaltatrici dell'impresa principale.
Fra aziende guida e aziende satelliti vi e completa collaborazione e un continuo flusso di
tecnologia, di maestranze e di manager.
17 si indica il periodo di 45 anni di regno dell'imperatore Meiji, dal 23 ottobre 1868 al 30 luglio 1912.
18 Attualmente è presente in numerosi settori industriali, tra cui la metallurgia (Mitsubishi Heavy Industries), la
petrolchimica (Nippon Oil), la chimica fine (Mitsubishi Chemical), la lavorazione del vetro (Asahi Glass), la
produzione di automobili (Mitsubishi Motors Corporation), la cantieristica navale, l'aeronautica, l'elettronica
(Mitsubishi Electric) e l'agroalimentare (Kirin Brewery). È inoltre presente nel settore immobiliare con la Mitsubishi
Real Estate, ed è maggiore azionista di alcune delle principali banche del Paese 49
- Questa migliore organizzazione del lavoro in cui i lavoratori collaborano nel perseguimento dei
comuni fini aziendali e che prevede il coinvolgimento diretto degli operai nella fase produttiva e
organizzativa ha consentito al Giappone di diventare il paese all’avanguardia in sistemi di
19 20
produzione innovativi quali il just in time , i controlli di qualità e la specializzazione flessibile .
Il chaebol coreano
- Il chaebol coreano ricalca nelle sue linee essenziali lo zaibatsu.
- Definizione: Esso è formato da un gruppo di imprese diversificate a proprietà famigliare molto
simili agli zaibatsu;
i chaebol, a differenza degli zaibatsu non potevano però controllare banche e ciò dà al governo la
possibilità di controllare il processo di industrializzazione e di guidare le scelte decisionali
(attraverso finanziamenti governativi).
Le basi per il sistema dei gruppi coreani vennero poste nell’immediato dopoguerra, quando
l’ingresso delle grandi famiglie in attività economiche sostitutive delle importazioni vennero
facilitate dall’acquisizione a condizioni favorevoli di proprietà confiscate ai giapponesi ( che
avevano colonizzato la Corea fino alla seconda guerra mondiale) o dai prestiti americani.
- Grazie alla diversificazione spinta, all'aggressiva politica commerciale e agli investimenti in
capacità manageriali, i chaebol hanno registrato una crescita impressionante (Samsung, Daewoo,
Hyundhai).
Altri gruppi di imprese.
- I gruppi di imprese non rappresentano una esclusiva dell' Estremo Oriente: sempre caratterizzati
da controllo famigliare, essi si ritrovano più o meno in tutti i paesi ad industrializzazione tardiva
dell'area del Pacifico, in India e in America Latina:
in particolare in Sud America nascono i grupos, imprese multisocietarie che operano su diversi
mercati ma con la gestione finanziaria e imprenditoriale unificata.
- La presenza dei gruppi non va sottovalutata nemmeno nei paesi più sviluppati, in Francia, in
Svezia e in Germania. In Italia, poi, la diffusione di tale forma di organizzazione ha solide radici
storiche, tanto da essere identificata come una caratteristica strutturale del nostro sistema
economico.
4.2 Forme flessibili di produzione: reti di imprese e distretti
- Negli anni 1980 sono usciti degli studi che hanno mostrato come la specializzazione flessibile -
ovvero l'organizzazione della produzione in reticoli territoriali di piccola impresa - ha offerto
un'alternativa storica altrettanto efficiente alla produzione di massa nel corso del 1900.
19 Il just in time (spesso abbreviato in JIT), espressione inglese che significa "appena in tempo", è una filosofia
industriale che ha invertito il "vecchio metodo" di produrre prodotti finiti per il magazzino in attesa di essere venduti
(detto logica push) nella logica pull secondo cui occorre produrre solo ciò che è stato venduto o che si prevede di
vendere in tempi brevi. In termini più pragmatici, ma anche riduttivi, è una politica di gestione delle scorte a ripristino
che utilizza metodologie tese a migliorare il processo produttivo, cercando di ottimizzare non tanto la produzione
quanto le fasi a monte, di alleggerire al massimo le scorte di materie prime e di semilavorati necessari alla produzione.
In pratica si tratta di coordinare i tempi di effettiva necessità dei materiali sulla linea produttiva con la loro acquisizione
e disponibilità nel segmento del ciclo produttivo e nel momento in cui debbono essere utilizzati.
20 ovvero di un sistema industriale costituito da piccole e medie imprese specializzate, da contrapporsi alle fabbriche di
stampo fordista ricordate tutt’oggi per le mastodontiche dimensioni. 50
- La flessibilità non è una caratteristica nuova nella storia dell'industria mondiale.
essa aveva già rappresentato la stessa ragion d'essere della manifattura a domicilio dell'età
preindustriale.
è stata il tratto dominante dell'industria tessile svizzera e di larghi settori della manifattura
francese (la seta di Lione) e della stessa industria americana
ha accompagnato in modo originale la modernizzazione dell'economia e della società giapponesi.
rappresenta l’aspetto più originale e significativo dei distretti industriali che caratterizzano il
modello italiano.
Il distretto industriale
- Nel 1991 in Italia si erano censiti 238 distretti, con quasi 1.700.000 occupati.
A quell'anno la localizzazione geografica dei distretti vedeva una netta prevalenza dei distretti nel
Nord Est del paese, in alcune aree del centro e nella costa adriatica, in Lombardia, in Piemonte e in
Puglia.
I distretti occupavano più del 50% degli addetti italiani del settore tessile, dell'abbigliamento e
delle calzature e il 40% degli addetti dell'industria del pellame, di quella della lavorazione del legno
e della produzione di mobili, più del 30% della cartotecnica, della plastica, della ceramica e del
vetro: complessivamente circa 1/3 della manodopera del settore manifatturiero.
- Definizione (formulata da giacomo Beccantini): Il distretto industriale può essere definito come
un’entità socioterritoriale caratterizzata dalla compresenza attiva di una comunità di persone e di
un'agglomerazione di imprese, in generale di piccola e media dimensione, ubicate in un ambito
territoriale circoscritto e storicamente determinato, specializzate in una o più fasi di un processo
produttivo e integrate mediante una rete complessa di interrelazioni di carattere economico e
sociale.
A queste caratteristiche «locali», il distretto aggiunge una rete stabile di collegamenti con i suoi
fornitori e i suoi clienti al di fuori del distretto, ampliando gradualmente la sua azione fino a
raggiungere una dimensione regionale, ma in certi casi anche nazionale e internazionale.
- Gli elementi che caratterizzano il distretto sono 4:
1. La comunità di persone, che incorpora un sistema omogeneo di valori che si esprime in
termini di etica del lavoro e dell’attività, della famiglia, della reciprocità e del cambiamento;
2. La popolazione delle imprese che formano il distretto: ciascuna impresa del distretto è
specializzata in una o più fasi del processo produttivo tipico che caratterizza il distretto, di
solito le imprese in un distretto appartengono allo stesso settore.
Le imprese del distretto appartengono per lo più a uno stesso settore, marshallianamente
definito (industria principale e industrie accessorie: ovvero la produzione del bene tipico e
dei prodotti intermedi, quali macchinari, servizi, coloranti; ecc.).
3. Le risorse umane che formano il distretto: l'aspetto fondamentale è che l'insieme delle
posizioni lavorative al suo interno è particolarmente variegato, pur condividendo esse
solitamente skills elevate.
4. Il mercato del distretto è flessibile e specializzato. La merce “rappresentativa” di ogni
distretto deve essere riconoscibile per determinati standard qualitativi, per tipicità di
produzione, regolarità delle consegne, ecc..
- Il distretto si caratterizza per la maggiore resistenza, rispetto alla grande impresa, all’introduzione
delle innovazioni in una realtà dominata dalle risorse umane. Tuttavia tale vischiosità sarebbe
51
compensata dal fatto che il progresso tecnologico è un processo sociale che si realizza
gradualmente, senza traumi eccessivi.
- Un ulteriore specificità del distretto è rappresentata dalle modalità del suo sistema di
finanziamento.
infatti per sopperire al difficile accesso al credito risulta fondamentale l’intervento della banca
21 , organismo nato e cresciuto nel distretto: l’informazione sui membri del distretto, dovuta
locale
all’operare della banca gomito a gomito con i soggetti economici interessati, è il suo vantaggio
competitivo.
- I distretti si sono mostrati fondamentali per lo sviluppo di imprese di medie dimensioni,
fortemente dinamiche e aggressive sui mercati interni e internazionali che hanno dato vita a ciò che
22
è stato definito “quarto capitalismo” (De longhi negli elettrodomestici, SCM nella meccanica,
Della valle nelle scarpe sono state considerate delle multinazionali tascabili).
4.3 Le imprese cooperative
- Definizione: Le cooperative sono associazioni autogestite e volontarie di individui che si uniscono
fra di loro per soddisfare le proprie aspirazioni economiche, sociali e culturali e si fondano sui
valori della responsabilità e dell'aiuto reciproco, della democrazia, dell'equità, dell'eguaglianza e
23
della solidarietà .
- Obiettivi: Le cooperative, quindi, non rientrano nella tipologia delle imprese capitalistiche, in
quanto le loro strategie e i loro comportamenti sono subordinati innanzitutto a logiche etico sociali
diverse da quelle del profitto e del mercato, che ne rappresentano, al massimo, solo un aspetto
complementare.
21 Una banca si considera locale quando la sua attività “viene condotta secondo logiche di stretta correlazione con il
tessuto economico - sociale di insediamento” . Elementi caratteristici della banca locale sono rappresentati dal forte
radicamento territoriale, dalla stabile relazione con il territorio di vocazione e dal supporto offerto agli operatori
economici locali.
La banca locale ha un ruolo predominante nel nostro sistema imprenditoriale, in quanto è chiamata ad istaurare delle
relazioni di lungo periodo con la piccola e media impresa e a far fluire una gamma di offerta, appositamente studiata,
per le esigenze e per i profili socio - economici delle realtà locali.
La vicinanza tra banca locale e piccola e media impresa (PMI) porta a molteplici vantaggi sia per la banca che per
l’impresa. Per la banca, il beneficio sta nel valutare con maggior precisione i rischi degli affidamenti (sia in fase di
screening che di monitoring), per la PMI, è ricondotto alla risoluzione delle difficoltà legate all’approvvigionamento
delle risorse finanziarie.
22 Il quarto capitalismo è costituito dalle imprese della fascia dimensionale intermedia, né grandi né piccole,
generalmente distinte da una presenza internazionale e parzialmente riconducibili a sistemi produttivi locali.
23 una società cooperativa è una società costituita per gestire in comune un'impresa che si prefigge lo scopo di fornire
innanzitutto agli stessi soci (scopo mutualistico) quei beni o servizi per il conseguimento dei quali la cooperativa è
sorta. L'elemento distintivo e unificante di ogni tipo di cooperativa - a prescindere da ogni altra distinzione settoriale - si
riassume nel fatto che, mentre il fine ultimo delle società di capitali diverse dalle coop è la realizzazione del lucro e si
concretizza nel riparto degli utili patrimoniali, le cooperative hanno invece uno scopo mutualistico, che consiste – a
seconda del tipo di cooperativa - nell'assicurare ai soci il lavoro, o beni di consumo, o servizi, a condizioni migliori di
quelle che otterrebbero dal libero mercato. Le cooperative sono caratterizzate dal voto capitario dei soci, ovvero dal
fatto che ogni socio ha diritto a un voto in Assemblea, indipendentemente dal valore della propria quota di capitale
sociale. 52
Origine delle imprese cooperative.
- L’origine delle imprese cooperative risale in Europa all'epoca della maturazione della rivoluzione
industriale e trae ispirazione dalle idee di vari esponenti del socialismo utopistico
( Questi condividevano una forte preoccupazione per le trasformazioni sociali indotte dalla
rivoluzione industriale e una visione del lavoro in cui ci fosse maggior rispetto per la dignità e la
salute dell'operaio che non nella fabbrica capitalista, caratterizzata da intenso sfruttamento anche
della manodopera infantile e femminile).
- Fin dal primo Ottocento erano attive in Inghilterra le friendly societies, embrionali società di
mutuo soccorso fra i lavoratori
- La prima cooperativa nasce in Inghilterra nel 1844: si trattava di uno spaccio cooperativo di
prodotti alimentari e di candele, messo in piedi da qualche decina di operai tessili, con lo scopo di
acquistare all'ingrosso beni di prima necessità e di cederli ai soci a prezzi vantaggiosi.
A fine 800 si conteranno in GB migliaia di cooperative di consumo, che servivano più di 1 milione
di soci.
- Accanto al modello di consumo britannico, la storiografia ha identificato altri tre modelli di
cooperazione in Europa, relativi a Francia, Germania, Scandinavia.
Quello francese.
E’ stato caratterizzato soprattutto dallo sviluppo di cooperative di produzione, gli ateliers
nationaux, sorta di fabbriche sociali" gestite da cooperative di lavoratori e organizzate in
base al principio della parità di' salario e dell'egualitaria ripartizione degli utili.
Quello tedesco.
La cooperazione tedesca fu particolarmente intensa nel settore del credito, dove si dava vita
ad istituti cooperativi ad azionariato popolare (cassa rurale) con un’attività limitata al raggio
dei soci, soprattutto piccoli agricoltori che davano credito a tassi favorevoli (cooperative di
credito agricolo). Successivamente si diffuse un'altra forma di istituto di credito
cooperativo, le banche popolari, per fornire sostegno economico all'artigianato urbano e alle
cooperative di produzione industriale.
Quello scandinavo.
I paesi scandinavi si segnalarono per la diffusione delle cooperative agricole (si tratta di
cooperative per coltivazione, trasformazione, conservazione, distribuzione di prodotti
agricoli)
- In America si ebbe una forte presenza di cooperative agricole sin dall’800.
In effetti, nel paese simbolo dell'impresa capitalistica la cooperazione ha assunto nel tempo una
crescente importanza: oggi, ad esempio, più della metà della distribuzione dell'energia elettrica del
paese è gestita da cooperative elettriche rurali, mentre cinquanta milioni di americani usufruiscono
di compagnie mutue di assicurazione.
- In Italia nel 1854 nasce a Torino la prima cooperativa di consumo.
Il cammino della cooperazione ha poi avuto un avvio lento e faticoso nella seconda metà dell'800,
un decollo geograficamente circoscritto in età giolittiana (1901 – 1914), e,
successivamente un periodo difficile durante il fascismo
e un boom, quantitativo e qualitativo dopo la II guerra mondiale. Una certa prevalenza delle
cooperative di consumo si ha nel triangolo industriale, quelle di credito nel nord-est e le cooperative
di produzione e agricole in emilia-romagna. 53
Il movimento mostra sin dagli albori un certo eclettismo, poiché nessuna delle quattro attività prima
ricordate risulta predominante, anche se sembra essersi delineata una certa prevalenza: delle
cooperative di consumo nel triangolo industriale,
di quelle di credito nel Nord-Est,
delle cooperative di produzione e di quelle agricole in Emilia-Romagna.
Alla fine del Novecento le cooperative costituivano una componente di tutto rispetto dell'economia
italiana. 54
CAP. 4 - GESTIONE E GOVERNO DELL’IMPRESA”
PREMESSA
- Questo capitolo vuole approfondire come il rapporto fra strategia e struttura si è evoluto nel
tempo.
(Ricordiamo che:
Strategia: la determinazione delle mete fondamentali e degli obiettivi di lungo periodo,
ovvero la pianificazione e lo sviluppo dell’impresa
Struttura: la progettazione, la costruzione e l'amministrazione dell’organizzazione
finalizzata a mettere in atto con successo quella strategia )
- Si inizia con la trattazione dell’evoluzione della struttura organizzativa dell’impresa dalla sua
forma più semplice fino alla formazione delle più complesse architetture burocratiche della grande
impresa manageriale; rapida sintesi dei cambiamenti dell'organizzazione del lavoro;
tema delle dinamiche innovative delle imprese; le linee essenziali delle trasformazioni delle
strategie di distribuzione, della nascita e dello sviluppo del marketing, nonché delle pubbliche
relazioni e della comunicazione aziendale; evoluzione delle pratiche contabili e alla nascita delle
moderne modalità di analisi e controllo del bilancio.
- Un tema oggi di grande attualità è quello della
responsabilità sociale dell'impresa = l'integrazione volontaria delle problematiche sociali ed
ecologiche nelle operazioni commerciali e nei rapporti delle imprese con le parti interessate.
↓
È cresciuta infatti la consapevolezza che l'azione esterna dell'impresa non si esaurisce nei suoi
rapporti col mercato, ma che essa è al centro degli interessi di una molteplicità di
stakeholders
↓
soci/azionisti, risorse umane, clienti, fornitori, partner finanziari, stato, enti locali, pubblica
amministrazione, comunità e ambiente.
↓
L'impresa oggi socialmente responsabile è quella che sceglie volontariamente di rispettare
determinati parametri relativi a ciascuno di questi soggetti
Il tema della responsabilità sociale dell’impresa rimanda ovviamente anche ad una tematica più
ampia: quella della corporate governance, ovvero del governo dell’impresa (vista come l'insieme di
regole, di ogni livello (leggi, regolamenti etc.) che disciplinano la gestione della società stessa. Il
governo d'impresa include anche le relazioni tra i vari attori coinvolti (gli stakeholder, ossia chi
detiene un qualunque interesse nella società) e gli obiettivi per cui l'impresa è amministrata). 55
1.L’EVOLUZIONE NELL’ORGANIZZAZIONE
Il processo di crescita della grande impresa non avrebbe potuto compiersi senza le profonde
trasformazioni organizzative che l'accompagnarono.
1.1 A) L’organizzazione della grande impresa negli Stati Uniti
1) Struttura monofunzionale.
- Fino all'avvento delle grandi compagnie ferroviarie la tradizionale organizzazione monofunzionale
(cfr. fig) aveva rappresentato la struttura dominante dell'industria europea e americana.
Essa era caratterizzata da un organizzazione semplice in cui il proprietario di solito gestiva
direttamente l’impresa, affiancato al più da qualche collaboratore tecnico.
2)Struttura multifunzionale (U-Form)
Le cose cambiarono, negli Stati Uniti e in Europa, con l’avvento delle ferrovie. Queste si
svilupparono a ritmi intensissimi e le società ferroviarie rappresentarono la prima forma di big
business (impresa di grandi dimensioni) organizzato all’interno dell’economia americana.
Dunque si resero necessarie importanti innovazioni organizzative per una gestione più efficiente
delle società ferroviarie che andavano sempre più crescendo di dimensione.
- Si diede vita allora ad una struttura plurifunzionale accentrata (quella che Chandler chiama U-
form (fig. 4.2)): 56
organizzata in una serie di dipartimenti funzionali - marketing, produzione, progettazione,
ecc. - dotati di responsabilità operativa. I direttori di ciascun dipartimento funzionale erano
al vertice della line, cioè della gerarchia delle responsabilità operative, e si avvalevano
dell'opera di consulenza di funzionari di staff impegnati in attività ausiliarie e consultive.
I primi, i top manager, facevano parte del comitato esecutivo, che aveva la responsabilità
delle decisioni strategiche.
L’ufficio centrale, composto dal consiglio amministrazione e dal comitato esecutivo,
svolgeva allo stesso tempo tanto compito di effettuare le scelte di lungo termine, quanto
quello di valutare, pianificare e coordinare fra di loro le attività dei dipartimenti funzionali e
quelle dell'azienda nel suo complesso.
le linee di comunicazione e di autorità all’interno dell'impresa erano rigorosamente
gerarchiche e verticali.
La struttura plurifunzionale risultò un'organizzazione efficiente fintantochè l’azienda concentrò i
suoi sforzi in attività relativamente omogenee: le responsabilità dei dipartimenti funzionali
potevano essere facilmente definite, la valutazione delle loro performance non presentava eccessivi
problemi.
3) Impresa multidivisionale (M-form)
- Nei primi decenni del 1900, tuttavia, molte grandi imprese plurifunzionali intrapresero, come si è
visto, la strada della diversificazione spinte da sintomi di saturazione del mercato e dalla possibilità
di utilizzare nuove tecnologie che consentivano di allargare il raggio delle proprie attività da un
singolo prodotto o da una sola linea di prodotti a più linee e molteplici prodotti
Tuttavia l’attività funzionale relativa a una linea di prodotto poteva non essere adeguata per
un’altra linea di prodotto
(Ad esempio nelle imprese elettromeccaniche, la linea dei beni di consumo aveva necessità ben
diverse dagli impianti e centraline. Come minimo essi richiedevano funzioni di marketing
differenti: vendere un elettrodomestico a una casalinga non è la stessa cosa che vendere un
generatore a una società di illuminazione). 57
- Per ovviare alle inefficienze organizzative che la diversificazione arrecava alle imprese
multifunzionali, venne introdotta nelle corporation (a partire dalla fine del 1910) una nuova forma
organizzativa, la forma multidivisionale (o M-form).
↓
Nella M-form piena responsabilità operativa viene assegnata alle divisioni (centri di profitto
autonomi) organizzate o per linee di prodotto o per aree geografiche;
Ogni divisione segue una linea di prodotti o un'area geografica e dispone di un general
manager, che risponde in pieno dei risultati e dei profitti da essa conseguiti, del suo staff di
collaboratori e dei responsabili delle attività funzionali.
(E’ come se ogni divisione replicasse su scala ridotta l’organizzazione originaria
dell’impresa, quella funzionale).
La responsabilità strategica è attribuita ad un quartier generale, formato dal cda e dal
comitato esecutivo che analizza e valuta la performance delle singole divisioni operative, in
modo da essere in grado di allocare efficientemente il capitale fra di esse sulla base dei
rispettivi risultati, e pianifica le strategie globali di lungo periodo.
Esso è assistito da uno staff centrale di funzionari di alto livello (corporate office) che
fornisce un flusso continuo di informazioni e mette la propria competenza a disposizione dei
general manager della direzione e anche dei manager intermedi a capo delle divisioni
operative. Lo staff centrale include diversi dipartimenti (finanza e controllo, personale,
sviluppo ecc.) che hanno funzioni consultive e non di line.
- La forma multidivisionale venne sperimentata inizialmente da Du Pont (operante nel settore della
chimica) e da General Motors (operante nel settore dell’automobile). 58
1.2 L’imitazione europea
- In Europa la diffusione della M-form fu molto lenta e resta ridotta fino al 1950.
A partire dagli anni 1960 essa però inizia a diffondersi tra le imprese europee, soprattutto grazie
alla forte opera di promozione delle tecniche manageriali d’oltreocenao da parte delle società di
consulenza americane.
- Va però sottolineato che in Europa:
• il processo di adeguamento della M-Form fu piuttosto lento
• e con la M-form hanno continuato a convivere, con discreto successo, altri modelli di
organizzazione.
1.3 B) Holding, reti e gruppi
La holding (H-form) = si caratterizza come un gruppo di imprese controllate da una società
capogruppo attraverso partecipazioni azionarie: è pertanto connotata da:
1) un forte decentramento strategico ed operativo,
2) l’intensità dei legami tra le imprese e tra le imprese e la capogruppo dipende dall’intensità delle
partecipazioni incrociate.
- L’impresa multi divisionale appariva più efficiente della holding: la M-form è superiore per la sua
visione strategica complessiva, per la chiara struttura proprietaria delle sue divisioni; per la
razionale combinazione delle sue unità operative (mentre nella holding è difficile razionalizzare le
controllate acquisite nel corso del tempo in modo da renderle unità aziendali strategiche e coerenti).
- Tuttavia la holding, contrariamente alle aspettative, è a lungo rimasta la forma di organizzazione
preferita dalle grandi imprese europee.
Come si spiega allora il duraturo successo di un'organizzazione (apparentemente)
↓ così poco efficiente?
La spiegazione rinvia ancora una volta a fattori esogeni all'impresa, cioè alla storia e al contesto
istituzionale delle singole realtà nazionali.
L’importanza che hanno assunto i gruppi d’impresa al di fuori degli Usa è il fattore che spiega la
larga diffusione della H-form. In Francia e in Italia il big business è risultato a lungo dominato da
un sistema di piramidi societarie e di scatole cinesi che ha consentito all'azionista di riferimento di
controllare l'intera catena delle imprese del gruppo con un impegno finanziario ridotto, concentrato
nella holding di famiglia al vertice della piramide.
Nota: Alcune grandi imprese a controllo famigliare hanno adottato una forma spuria, ibrida, di
struttura, la holding funzionale (adottata tra anni 1950-1970 da alcune grandi imprese francesi e
tedesche) che combina aspetti della U-form con altri della H-form: si tratta di imprese costituite da
un vasto core business centralizzato lungo linee funzionali, circondato da una periferia di controllate
più o meno indipendenti.
Nemmeno controllo famigliare e struttura divisionale sono tra di loro incompatibili, come dimostra
il caso della Fiat degli anni 1970. 59
2.IMPRESA E LAVORO
- I mutamenti della struttura gestionale dell'impresa risultano interrelate alle trasformazioni
dell'organizzazione della produzione.
Ci soffermiamo sui 3 momenti più qualificanti dell’evoluzione dell’organizzazione della produzione
(organizzazione del lavoro).
A) l'organizzazione del lavoro nell'impresa vittoriana,
B) il taylorismo e la produzione fordista,
C) il modello giapponese della produzione snella.
2.1 A) L’organizzazione del lavoro nell’impresa ottocentesca
La fabbrica vittoriana può considerarsi il simbolo dell’organizzazione del lavoro nell’impresa dell’
1800 (quella della prima fase industriale), che ha mantenuto a lungo le caratteristiche dell’impresa
famigliare.
- Gli inizi del processo di industrializzazione, furono connotati dalla difficoltà nel reperire forza
lavoro da impiegare nelle fabbriche e a scalzare tradizioni e comportamenti secolari.
Si segnalava però una forte variabilità fra settore e settore, che dipendeva dalle diverse condizioni
tecnologiche, che vedeva convivere forme artigianali con strutture moderne.
Fino alla metà dell’800 il mercato del lavoro in GB ebbe un forte radicamento territoriale e scarsa
mobilità.
- Il processo che portò alla formazione di un moderno mercato del lavoro fu influenzato da fattori
esogeni, come il progresso tecnico e la legislazione di fabbrica.
Esso fu caratterizzato, non solo in GB, dalla resistenza delle professioni artigiane e dal conflitto che
le vide opporsi alla moderna impresa.
La resistenza, talvolta:
Ebbe successo.
↓
E’ questo il caso degli operai specializzati dell’industria meccanica (engineers) e quella dei
filatori che costituirono un aristocrazia del lavoro.
I filatori che, fino agli anni Venti avevano costituito l'élite tecnica della classe operaia
britannica, anche in seguito, - per quanto la loro abilità professionale avesse perso di
rilevanza davanti alla progressiva automazione della filatura - riuscirono a mantenersi ai
vertici di una struttura lavorativa rigidamente gerarchica.
( Assistiti da più attaccafili (spesso loro famigliari), formavano squadre di lavoro, addette al
controllo delle macchine, in cui il filatore arrivava a guadagnare fino a quattro volte il
salario degli attaccafili).
Non ebbe successo
↓
Altre resistenze non andarono a buon fine: è il caso dei tessitori che con l’introduzione del telaio
meccanico persero distinzione professionale e autonomia (decadde la loro radicata consorteria).
Tessitori, orditori e torcitori andarono a formare la massa della manodopera della moderna industria
del 900 (lavoratori unskilled = non specializzati). 60
- Invece, nell’industria metallurgica e nella meccanica, sia in GB che negli USA, l’elitè operaia
(lavoratori skilled) si mantenne dinamica e specializzata, adattandosi al progresso tecnologico.
In questi comparti, il “possesso del mestiere” dunque, garantiva autorità gerarchica nel lavoro e
l’ingresso nell’aristocrazia operaia rappresentava un obiettivo e uno strumento di promozione
sociale per gli operai di fabbrica.
Questa autorità derivava da 4 prerogative che caratterizzavano l’elitè operaia:
1. La conoscenza dell’organizzazione del lavoro;
2. La precisione nell’esecuzione di mansioni specializzate;
3. L’abilità di superare gli inconvenienti di procedure ancora empiriche;
4. La capacità di suscitare senso di disciplina.
Ciò assicurava agli operai un salario elevato.
2.2 B) Taylorismo e fordismo
- Le trasformazioni produttive di maggior impatto sulla trasformazione del lavoro si ebbero nelle
24
imprese USA, dove l’American system e la produzione standardizzata stavano evolvendo nella
produzione di massa (realizzazione di grandi quantità di prodotti standardizzati), fondata sulla
catena di montaggio (assembly line).
Nell’organizzazione del lavoro per linea le mansione che prima venivano svolte da un solo operaio
furono frazionate in operazioni diverse: era il pezzo che si spostava ordinatamente nello spazio,
mentre gli operai stavano fermi ad aspettarlo; ciò cambiò completamente il modo di lavorare e la
velocità divenne l’imperativo del sistema.
Ma mettere in atto un processo di produzione continuo e progressivo comportava uno straordinario
sforzo organizzativo, affidato ai tecnici e agli ingegneri che dovevano pianificare l'avanzamento del
prodotto attraverso i reparti.
↓
Lo studio di un nuovo modello organizzativo, lo scientific management (organizzazione scientifica
del lavoro) fu al centro dell’opera dell’ingegnere statunitense Frederik Winslow Taylor.
Egli si propose di misurare esattamente il tempo necessario all’esecuzione di ogni semplice
operazione e quindi di definire l’unico modo migliore (the one best way) per compiere
un’operazione lavorativa.
- L’utilizzo sistematico delle macchine e la standardizzazione della produzione rendeva la fabbrica
un sistema complesso, formato da un gran numero di processi meccanici, che poteva essere
controllato e diretto soltanto da tecnici rigorosamente selezionati per svolgere mansioni
organizzative.
Gli operai skilled videro ridurre la loro importanza all’interno della fabbrica
gli operai unskilled invece accrescevano il proprio impiego in fabbrica grazie alle nuove tecniche
di produzione.
- L’organizzazione scientifica del lavoro era nata nella mente di Taylor con l’obbiettivo di
intensificare la produttività del lavoro, accorciando i tempi e si basava sui seguenti principi che
dovevano essere necessariamente adottati dalla direzione d’impresa:
24 Meccanizzazione del processo produttivo in cui al lavoro umano si sostituisce il lavoro delle macchine fino a
costituire un sistema organico articolato in una serie sequenziale di operazioni effettuate su successive macchine
specializzate che producono parti intercambiabili. 61
• Netta separazione fra lavoro operaio e direzione dell’impresa;
• Standardizzazione delle operazioni:
• Raccolta e codifica in formule matematiche delle conoscenze tacite fino ad allora esclusivo
patrimonio dei lavoratori;
• Sostituzione della routine con un rigoroso calcolo dei tempi richiesti per ciascun movimento
e funzione;
• Selezione scientifica dei lavoratori e loro allocazione alle diverse funzioni in base al loro
potenziale rendimento.
- In questo contesto di razionalizzazione dell’organizzazione del lavoro si inserisce la
razionalizzazione del processo produttico operata da Henry Ford nella sua impresa mediante
l’utilizzo della catena di montaggio negli impianti di Highland e Detroit.
↓ 25 (assembly line nell’industria automobilistica) diede
La produzione di massa con il sistema Ford
subito risultati eccezionali, tagliando enormemente i tempi ed i costi di produzione e quindi i prezzi
di vendita. La produzione di massa implicava anche un mercato di massa e Ford vedeva nei suoi
operai dei potenziali consumatori e li poneva nelle condizioni di diventare suoi clienti.
Innanzitutto aumentò loro il salario,
inoltre essi furono destinatari di un efficiente welfare aziendale (scuole, alloggi, assistenza)
↓
La visione dell’azienda da parte di Ford entrò in crisi negli anni della grande depressione, quando i
disoccupati rilanciarono il movimento sindacale americano. La fabbrica standardizzata si rivelava
un terreno particolarmente propizio per la protesta operaia che con scioperi nei vari reparti, poteva
bloccare l’intera produzione.
Inoltre l’amministrazione Roosvelt portò avanti una politica particolarmente favorevole al mondo
del lavoro:
Si dava ai lavoratori il diritto alla contrattazione collettiva
Si eliminava ogni restrizione all’azione sindacale.
Ovviamente queste misure portarono ad un duro scontro tra i sindacati e imprese e rischiarono
anche di portare la Ford sull’orlo del fallimento.
In Italia
- Nei primi anni del ‘900 l’industria italiana iniziò a interessarsi al modello americano.
- Il percorso che portò l’industria italiana ad utilizzare il modello americano taylor-fordista fu lungo
e complesso e dovette confrontarsi con le resistenze e l’ostilità da parte della componente
professionale della manodopera.
Esso prese avvio con il progetto del nuovo stabilimento del Lingotto alla Fiat (1916-1922) condotto
sul modello della Ford di Highland Park.
25 Il fordismo (o produzione di massa) consisteva nella meccanizzazione del processo produttivo mediante l’adozione
della catena di montaggio. Esso si componeva dei seguenti elementi: 1)utilizzo dei principi del taylorismo 2) completa
intercambiabilità dei pezzi 3) collegamento in sequenza delle operazioni di lavorazione e montaggio. 62
Un decisivo salto di qualità si ebbe nel secondo dopoguerra con l’entrata in funzione dell’impianto
di Mirafiori (inaugurato nel 1939) che negli anni 1950 divenne uno dei più grandi stabilimenti al
mondo, divenendo uno dei simboli della forza produttiva dell’Italia del miracolo economico.
2.3 C) La produzione snella e il toyotismo
- La crisi degli anni ’70 che segnò le economie occidentali (originata dal declino del paradigma
della produzione di massa), ebbe una profonda influenza anche sull’organizzazione del lavoro di
stampo taylor-fordista portando alla nascita di nuove forme alternative di organizzazione della
produzione.
- Una forma alternativa all’organizzazione fordista fu quella del modello giapponese di fabbrica
snella (lean production) che trae ispirazione da una radicata tradizione produttiva di stampo
artigianale, attenta alla qualità e al gusto del produttore.
È ancora una volta l’industria automobilistica a rappresentare il terreno ideale di sperimentazione:
in particolare le innovazioni sono state introdotte dalla TOYOTA.
Le novità del toyotismo risiedevano nel rovesciamento totale del tradizionale approccio alla
fabbricazione del prodotto: cioè bisognava programmare il flusso produttivo non più da monte a
valle bensì muovendo dalle richieste del mercato e da queste risalendo alla produzione (si pensa
all’inverso). In questo modo si utilizzavano soltanto i pezzi necessari e solo nel momento in cui ce
n’era bisogno e quindi di eliminare sistematicamente gli sprechi e ridurre al minimo le scorte, dando
vita appunto alla “fabbrica snella”.
↓
In sintesi la lean production si basa su tre principi:
1. Il just in time: in base al quale ciascuna componente deve arrivare alla linea nel preciso
momento in cui ce n’è bisogno e nella quantità necessaria;
In questo modo si alleggeriscono al massimo le scorte di materie prime e di semilavorati
necessari alla produzione. In pratica si tratta di coordinare i tempi di effettiva necessità dei
materiali sulla linea produttiva con la loro acquisizione e disponibilità nel segmento del
ciclo produttivo e nel momento in cui debbono essere utilizzati.
2. L’autoattivazione: cioè la capacità dell’operaio di intervenire rapidamente in situazioni di
anomalia della linea e di eliminarle, consentendo di mantenere standard di qualità elevati.
3. Il lavoro di squadra: che valorizza la responsabilità, il controllo di qualità e l’autogestione
dei gruppi di lavoro.
(così la vecchia disciplina impersonale della catena di montaggio è stata soppiantata da
un'organizzazione per team, in cui ogni unità deve dare prova di capacità di gestione
dimostrando di partecipare attivamente al gioco organizzativo e rivelando doti di
autogestione)
Questo modello ha portato la toyota a diventare nel giro di 20 anni la seconda casa automobilistica
mondiale, con un livello di produttività per lavoratore ben superiore a quello delle imprese
automobilistiche americane e europee. 63
3. L’ IMPRESA , IL PROGRESSO TECNICO E L’ ATTIVITA’
INNOVATIVA
- La crescita dell’ impresa dipende dalla sua capacità di innovare.
- Oggi si è in grado di fornire risposte domande quali:
• qual è la natura del progresso tecnico?
• cosa determina il ritmo e il pattern dell'attività innovativa?
• Perché e come le imprese innovano?
E’ infatti oramai da qualche tempo è:
tramontata l’idea che l’innovazione (o tecnologia) sia un fenomeno unidimensionale (che
dipende solo da elementi endogeni all’impresa)
è allo steso tempo cresciuta la consapevolezza che l’innovazione è un fenomeno complesso
che è il prodotto dell’interazione di elementi endogeni (come la capacità di apprendimento
dell’impresa oppure di ricerca e sviluppo delle imprese ) ed elementi esogeni (es:
le attività
crescita della domanda, creazione di nuova conoscenza scientifica e tecnologica, ecc)
- Si cercherà ora di delineare come è maturata questa visione del progresso tecnico e delle modalità
con cui le imprese, attraverso l'attività innovativa, si relazionano al progresso tecnico.
3.1 La natura del progresso tecnico
- Nella concezione neoclassica tradizionale il progresso tecnico assume valenze - casualità,
discontinuità, esogeneità - che lo rendono un fenomeno privo della possibilità di essere analizzato
in relazione alle sue determinanti e ai suoi ritmi da parte dell’economista teorico.
- Tuttavia esisteva già tra gli economisti la consapevolezza che buona parte dei progressi della
tecnologia erano maturati grazie agli sforzi prodotti dalle imprese.
(Ad es. nella New growth theory (teoria della crescita endogena: si tratta di un modello economico
della seconda metà del 1900) il progresso tecnico (cioè lo sviluppo della tecnologia) viene trattato
come endogeno (cioè è prodotto dalle stesse imprese), in quanto frutto dell’ attività di R &S delle
imprese, che sono in grado di godere in esclusiva dei vantaggi derivanti dalle innovazioni che hanno
prodotto ,anche se con effetti di spillover sull’intero sistema).
Tuttavia questi modelli hanno il limite di far dipendere il progresso tecnico esclusivamente
dall’attività svolta all’interno delle imprese. La rappresentazione della complessità del progresso
tecnico risulta così essere monca, in quanto non vengono considerati due componenti reali ed
effettive della natura del progresso:1) la componente esogena (ovvero le interrelazioni con la
scienza il suo progredire), e 2) gli aspetti dell’incertezza strettamente connaturati alla vera natura
del progresso tecnico.
- Un contributo importante nella direzione di una raffigurazione realistica del progresso tecnico
viene invece offerto dalla storia ( che cerca di comprendere i nessi tra progresso tecnico e sviluppo
economico). Essa in particolare ha mostrato la complessità del fenomeno mettendo in risalto:
A livello macro:
le componenti endogene ed esogene del progresso tecnico
la compresenza di elementi di continuità e discontinuità 64
l'azione di specifici meccanismi in grado di spiegare la direzione e il ritmo del
progresso tecnico
gli aspetti di vischiosità determinati dall'azione di meccanismi di path dependence.
A livello micro, l’accento è stato via via posto sui:
gli aspetti specifici, idiosincratici di imprese, gruppi di imprese o settori
sulle forme di apprendimento delle imprese nella modalità del learning by doing
(apprendimento attraverso l'esperienza) e del learning by using
la natura irreversibile delle innovazioni
la possibilità di proteggere adeguatamente le proprie innovazioni
- La rappresentazione del progresso tecnico offerta dagli storici segue dunque un approccio
evolutivo al progresso tecnico (in cui è forte l’influenza di Schumpeter). Secondo questo approccio
le caratteristiche di fondo del progresso tecnico nelle economie di mercato sono:
a) il progresso tecnico è un processo evolutivo ed incerto, i cui risultati sono il prodotto
dell'interazione di diversi giocatori: le imprese, le istituzioni di formazione e ricerca e lo
Stato (es. il matrimonio tra tecnologia e scienza si ebbe sul finire dell’800 quando le nuove
industrie richiedevano personale dotato di una preparazione che solo un training
accademico poteva fornire. Proprio in quel momento le università tedesche e americane
svilupparono specifici curricoli finalizzati a formare giovani adeguati alle esigenze delle
imprese. Queste, a loro volta, realizzarono che l’innovazione richiedeva la costituzione di
propri laboratori di ricerca forniti di personale preparato dalle università, in grado di
implementare specifiche tecnologie e di soddisfare le esigenze che si presentavano nel loro
specifico contesto competitivo. Nel corso del 1900 poi lo Stato assunse un ruolo
determinante nel fornire supporto alla ricerca di base, quella in campo medico, quella
dell’industria aeronautica e a quella militare.
b) Il progresso tecnico è un processo cumulativo ma (a tratti) discontinuo.
Sin dall’interpretazione Schumpeteriana in chiave tecnologica delle onde lunghe di
26
Kondratieff , sembra emergere un'apparente contraddizione nella spiegazione della natura
del progresso tecnico.
Da una parte , infatti, si hanno discontinuità nell’ evoluzione della tecnologia, in parte
sovrapponibili ai cicli economici di lungo periodo. Tali sembrano essere i cambiamenti di
paradigma o di regime tecnologico ( passaggio dalla 1° alla 2° riv. Industriale o quello dalla
2° alla 3° ecc) che sono solitamente provocati da shock esogeni, quali un’importante
scoperta scientifica o una guerra.
Dall’ altra però il progresso tecnico è fatto anche di una serie infinita di miglioramenti
incrementali e cumulativi frutto dell’ attività di learning attraverso il meccanismo di prova e
errore. Ma esso è cumulativo anche perché “ le nuove tecnologie di oggi servono non solo
per migliorare le capacità operative, ma anche come nuovi punti di partenza degli sforzi che
si compiranno domani per far progredire ulteriormente la tecnologia”.
26 I Movimenti di lungo periodo della produzione e dei prezzi vennero individuati nel 1922 dallo studioso russo Nikolai
Kondratieff: essi durerebbero circa 50 anni e sarebbero costituiti da due fasi grosso modo della stessa lunghezza, una
ascendente e una discendente. 65
c) il progresso tecnico è irreversibile e caratterizzato da livelli diversi di appropriabilità, da
conoscenze tacite non facilmente trasferibili e da path dependence.
E’ irreversibile sia perché l’ innovazione richiede investimenti specifici e
specializzati, non ammortizzabili, sia perché l’ evoluzione delle tecnologie elimina
ogni possibilità di competizione con le vecchie tecnologie (è altamente improbabile
che la macchina calcolatrice possa tornare a rimpiazzare in un prossimo futuro il
computer).
L’ appropriabilità delle innovazioni è una condizione indispensabile:
l’ imprenditore è disposto a investire nell’ attività innovativa solo se si aspetta di
appropriarsi dei benefici che ne deriveranno.
Tuttavia il grado di protezione legale dei diritti di proprietà intellettuale varia da
paese a paese e a seconda del tipo di innovazione e della sua ricaduta sul sistema
economico.
La diffusione e la trasferibilità della tecnologia da impresa a impresa può essere
resa difficoltosa da forme di conoscenza tacita, connessa a particolari innovazioni o
a particolari organizzazioni
Infine l’ azione di meccanismi di path dependance spiegano comportamenti ed
esiti divergenti dalla one best way, che sfuggono da un inquadramento economico
razionale, traendo origine da scelte, spesso casuali, che affondano le loro radici nel
passato.
3.2 IMPRESA, INNOVAZIONE e RICERCA e SVILUPPO.
- Nella prima fase di sviluppo di un nuovo paradigma tecnologico si vede la nascita di molte
piccole imprese che si trovano a fronteggiare una domanda elastica (es. industria
automobilistica americana a cavallo del novecento o quella europea fino al primo dopoguerra,
all’industria aeronautica fino alla seconda guerra mondiale, ICT a cavallo degli anni 1990).
- In una seconda fase, si forma una stabile struttura oligopolistica con poche grandi imprese,
quelle che sono riuscite a trarre benefici dalla appropriabilità delle innovazioni.
- Nelle imprese della 1° Rivoluzione industriale l’ esperienza fatta con la pratica era sufficiente
per portare avanti un’ efficace attività innovativa.
Verso la fine del XIX secolo le cose cambiarono: la tecnologia richiedeva un alto livello di
istruzione nelle scienze e nelle discipline tecniche, sempre maggiori investimenti in attrezzature
costose e anche un lavoro di gruppo.
Cosi nelle grandi imprese operanti sulla frontiera tecnologica comparvero i primi laboratori
di R & S specializzati nel miglioramento delle tecnologie di processo/prodotto nei settori in cui
esse operavano. I laboratori erano parte dell’organizzazione dell’impresa, o come funzione
direttamente dipendente dal comitato esecutivo, o, più tardi, come divisione autonoma.
- Dal primo '900 i laboratori di R&S si sarebbero trasformati nei principali protagonisti del big
business d'oltre Atlantico, attivo nei settori tecnologicamente avanzati: General Eletric, AT&T,
66
Westinghouse, Eastman Kodak, Dow Chemical, Du Pont (si trattava perlopiù di industrie
elettriche e chimiche).
Questo ruolo venne condiviso per altro anche dalle grandi imprese chimiche europee, fra le
quali l'italiana Montecatini (come dimostra la vicenda del Laboratorio di ricerche scientifiche di
chimica inorganica, costituito nel 1934 a Novara sotto la direzione dell'ing. Giacomo Fauser,
l'inventore di un processo originale per la produzione dell'ammoniaca sintetica. Il laboratorio si
trasformò alla vigilia della guerra in Istituto Guido Donegani, il più avanzato istituto di ricerca,
e l'unico istituzionalizzato, della più importante impresa chimica del paese).
4. MARKETING E RELAZIONI PUBBLICHE
Il successo di un’impresa non dipende solo dalle sue abilità produttive, organizzative, dalla sua
capacità di innovare, ma anche dalla sua capacità di interagire con il mercato e dal modo in cui
essa si pone nei confronti dei suoi potenziali clienti.
- Il marketing = L'insieme di attività che caratterizza la cruciale interconnessione fra produttore
e consumatore, ovvero fra offerta e domanda può essere genericamente raggruppata sotto il
termine di marketing.
- Il mktg rappresenta oggi una parte essenziale nello studio del comportamento competitivo
dell’impresa, a differenza che per il mainstream dell’economia classica secondo cui l’offerta
crea automaticamente la propria domanda. Unica eccezione era rappresentata da Marshall
secondo cui, invece, proprio la capacità di crearsi il mercato costituisce una qualità basilare
dell’imprenditore, il quale agisce da intermediario tra offerta e domanda. In qualche modo è
l’offerta che deve adeguarsi alla domanda.
- Ripercorriamo nei prossimi paragrafi la storia del marketing, dalla fine del XIX sec. in poi, in
cui rientrano tanto l'evoluzione della modalità di distribuzione quanto quella delle politiche di
vendita, o delle ricerche di mercato, della pubblicità, o, ancora, della marca, delle politiche di
prezzo, dell'analisi del comportamento del consumatore.
4.1. MARKETING E IMPRESA FRA TEORIA E STORIA
Le fasi del mktg secondo la “History of marketing thought”
Le fasi del marketing, inteso come autonoma disciplina teorica, vengono considerate 4 dalla
“History of marketing thought”(storia del pensiero del mktg) - una disciplina in auge nel mondo
USA. L’ era I, o della “fondazione” (1900-1920), fu caratterizzata dall’ affermarsi del
marketing come specifico corso in diverse università, dall’ enfasi sugli aspetti della
distribuzione e sulle sue possibili ricadute sociali.
• Nell’ era II, quella del “ consolidamento formale della disciplina” (1920-1950), vennero
create le prime associazioni professionali, riviste specializzate, le università
incominciarono a dotarsi di dipartimenti di marketing;
mentre a livello teorico l’ enfasi primaria venne posta sullo sviluppo dei principi di base
del mktg.
• L’ era III, quella del “cambiamento di paradigma” (1950-1980) indotto dal boom del
mercato di massa e dall’eccezionale crescita delle attività di marketing nel sistema delle
imprese, è stata caratterizzata da due tendenze principali: 67
a) accentuato ricorso alle scienze quantitative e comportamentali come strumenti di
conoscenza dell' atteggiamento dei consumatori
b) sviluppo del marketing management, cioè analisi del mercato per cogliere
l'orientamento e i gusti dei clienti. E’ in tale contesto che viene formulato il concetto di
mktg mix, che nella ben nota declinazione delle 4P ( product, price, place, promotion)
conferiva al mktg un ruolo chiave nelle strategie aziendali.
• L’ era IV, definita “l’ era della frammentazione del mainstream” che arriva fino ad
oggi, si ricollega idealmente e logicamente alla crisi del fordismo e del paradigma della
produzione di massa.
In questa fase si hanno continui riposizionamenti della disciplina di fronte al
moltiplicarsi delle sfide a cui devono far fronte le imprese: globalizzazione, flessibilità,
downsizing, etc.. (ne è conseguita una frammentazione e una specializzazione della
disciplina).
Le fasi del mktg nella business history
- Nella business history, in particolare secondo la suddivisione della storia del mktg americano
effettuata dallo storico d’impresa di Harvard Richard Tedlow, questa risulta suddivisa in 4 fasi:
1) La prima fase individuata è quella della “frammentazione” del marketing precedente al 1880,
frutto della scarsa integrazione del mercato interno americano, caratterizzato da enormi dimensioni
e da differenze climatiche ed ambientali profonde, dove quasi nessun prodotto, nei primi decenni
dell’800, potè raggiungere una distribuzione su scala nazionale.
2) La seconda fase, quella dell'”unificazione” (1880-1950): è la fase in cui si forma e si consolida
un mercato integrato nazionale che va assumendo le caratteristiche di mercato di massa, a seguito
della rivoluzione dei trasporti innescata prima dalla costruzione delle gradi linee ferroviarie e poi
dalla motorizzazione su larga scala.
Tuttavia negli anni 1880 la pressochè contemporanea messa a punto di macchinari per la
produzione a ciclo continuo e l’ impacchettatura di beni di largo consumo ( fiammiferi,
sigarette,cereali,scatolame) in piccole confezioni, fecero emergere il nuovo protagonista del mass
marketing, la “marca” (ciò che poteva essere impacchettato al momento della produzione, lì poteva
anche essere etichettato con il suo nome). ↓
Il produttore poteva ora lanciarsi in campagne pubblicitarie su scala nazionale per raggiungere un
pubblico indifferenziato di consumatori.
Il caso emblematico è quello della Coca Cola, che era riuscita a costruire attorno alla marca un
prodotto di garanzia, considerato gustoso e sano tanto da garantirle, almeno sino alla seconda guerra
mondiale, una quasi nulla concorrenza nel settore dei soft drinks. 68
3) La terza fase, quella della “segmentazione” (nel secondo dopo guerra), fu l’esito di:
a) trasformazioni economiche una crescita esponenziale dell’offerta dei prodotti.
indotti dall’ esplosione della pubblicità radiofonica e televisiva
b) cambiamenti socio-culturali
e del crescente impatto del cinema sul comportamento dei giovani (es. impatto sulla vendita di jeans
Levi's ai giovani che ebbero film come Gioventù bruciata).
- Il marketing andò segmentandosi per venire incontro alle esigenze di un pubblico sempre più
differenziato (per età, condizioni sociali, sesso, cultura), in cui emergevano con forza quelle delle
giovani generazioni che più che a questione di prezzo, erano sensibili a comunicazioni portatrici di
valori simbolici (quali stile di vita e senso di appartenenza).
- La fase tre fu dunque caratterizzata da una crescente attenzione per il consumatore nelle sue
diverse declinazioni, il che implicò lo sviluppo di sempre più sofisticate ricerche di mercato e di una
massiccia pubblicità.
4) In tempi recenti l’evoluzione del marketing è naturalmente sfociata in una quarta fase:
27
quella della “iper-segmentazione” e del “micro marketing ”, accelerata dallo sviluppo delle nuove
tecnologie dell'informazione e della comunicazione.
Essa sembra avvicinarsi all’idea utopistica di vendere al potenziale consumatore esattamente ciò
che egli vuole.
Al di fuori del mondo anglosassone l'evoluzione del marketing è stata un campo ampiamente
trascurato dalle indagini di storia d'impresa. Il marketing moderno nella maggior parte dei Paesi
Occidentali è un prodotto essenzialmente del secondo dopoguerra, stimolato dal processo di
diffusione delle pratiche manageriali americane indotto, come già detto, dal piano Marshall.
Questo non significa che prima della guerra il mktg non era conosciuto, ma solo che non era
razionalmente considerato come funzione essenziale dell’impresa ( anche prima della guerra però le
imprese ricorrevano ad es. alla pubblicità per sconfiggere la concorrenza).
4.2 L’EVOLUZIONE DELLA DISTRIBUZIONE
- Il passaggio a una società di consumi di massa portò anche ad una trasformazione nella struttura e
nell’ organizzazione del commercio.
- Nei primi 50 anni dell'800 emergevano due nuove figure che contribuivano a modificare la
struttura e l’organizzazione del commercio in USA:
• l'agente commissionario negli stati del Sud: che faceva da tramite tra le piantagioni ed il
mercato, piazzando i raccolti e rifornendo le piantagioni dei prodotti di cui aveva
bisogno
• il grossista indipendente egli non arrivava direttamente al mercato: egli acquistava
all’asta o direttamente dagli importatori e fabbricanti nazionali e rivendeva agli stores
del Midwest e del sud.
27 Declinare le singole leve di marketing verso i specifici segmenti di clientela individuati. 69
- Negli anni 80 dell’800 il grossista catalizzò nelle sue mani la pressoché totalità del commercio
USA, rifornendo i dettaglianti di tutti i beni di consumo tradizionali.
Le grandi case di vendita all’ ingrosso videro progressivamente ridursi la loro quota di mercato con
l’emergere di nuove forme d’intermediazione commerciale:
• i department store (grandi magazzini presenti nelle aree urbane)
• le case di vendita per corrispondenza (l'equivalente rurale dei grandi magazzini, che
poterono sfruttare le nuove infrastrutture nel campo dei trasporti per far giungere a
domicilio i prodotti ordinati sui cataloghi)
• le catene di negozi (specializzate in prodotti di drogheria, mentre Woolworth fu pioniere
nell'inaugurare nella propria catena la vendita a prezzo unico: i popolari five-and-ten-cent
stores).
• il ricorso al mercato diretto dei grandi produttori integrati
I primi grandi magazzini nati negli anni 1950 e 1960 offrivano ai propri clienti la possibilità di
concentrare in breve tempo, in un solo luogo una complete gamma d’acquisti. La realizzazione di
profitti attraverso una rapida rotazione delle scorte era l'obiettivo principale della strategia di queste
imprese.
In alcuni casi alcune categorie industriali intrapresero la strada dell’integrazione in un’unica
impresa dei processi di produzione di massa con quelli di distribuzione di massa.
La prima categoria era rappresentata dai produttori di beni di consumo che si confrontavano con
particolari problemi di commercializzazione, quali la conservazione o la refrigerazione (prodotti
alimentari).
La seconda era rappresentata dai fabbricanti di beni di consumo durevole che abbisognavano di
interventi per l’istallazione, di assistenza specialistica, di dimostrazioni per l’impiego e per la
manutenzione (macchinari elettrici, macchine da scrivere, da cucire).
La terza era rappresentata da tutti coloro che si erano dotati di impianti per la produzione a ciclo
continuo per incrementare il ritmo e il flusso dei loro prodotti, superando quindi la capacità di
smercio della rete distributiva esistente (tabacchi, fiammiferi, farina, cereali, etc).
- Negli anni ’30 si affermarono i self service ed in particolare i supermarket alimentari.
Questi riscossero molto successo nella società americana.
del successo
↓Ragioni
creazione di ambienti curati ed invitanti; la spettacolarizzazione nella presentazione dei prodotti, la
suggestione di libertà che i grandi spazi dell'esposizione conferivano al pubblico rendevano
l’acquisto un momento piacevole e socializzante.
Grandi magazzini in Europa
- Contemporanea agli USA fu la comparsa in Francia dei grandi magazzini: anzi i francesi ne
rivendicavano la paternità con la creazione nel 1852 a Parigi del Bon Marchè (prezzo fisso, ingresso
libero, bassi margini di guadagno ma elevata rotazione delle scorte, possibilità di restituzione della
merce). 70
- Nelle altre città europee i grandi la diffusione dei grandi magazzini fu un più lenta: ma verso gli
anni '80 dell’800 essi erano ormai presenti anche in Gran Bretagna, in Germania, in Svizzera, nei
Paesi Bassi e in Scandinavia.
- In Italia a Milano nel 1877 venne inaugurato, il magazzino «Alle città d'Italia» per iniziativa dei
fratelli Bocconi, che successivamente con il nome «La Rinascente» divenne in breve l'emblema del
grande magazzino italiano.
Negli anni '30 essa aprì una catena di negozi a prezzo unico l'Upim (Unico Prezzo Italiano Milano),
destinata ad una clientela popolare, cui arrise subito gran successo, tanto da indurre un ex manager
della Rinascente a fondare nel 1931 la concorrente Standa. Entrambe le imprese si espansero
rapidamente in tutta Italia.
Supermercati in Europa
- Invece la diffusione dei supermercati in Europa fu più lenta: la loro comparsa in Europa dovette
attendere il dopoguerra, con uno sviluppo diverso a seconda delle leggi in vigore, e degli
atteggiamenti del potere pubblico dei vari paesi.
Del resto in Europa la diffusione di supermercati, e poi di ipermercati e magazzini discount,
significò la progressiva espulsione dal mercato di legioni di dettaglianti, la cui funzione di
informazione e garanzia al consumatore era stata soppiantata dall'avvento della marca, che l'aveva
fatta ricadere sul produttore.
In Italia la prima iniziativa di successo si ebbe a Milano per intervento di Nelson Rockfeller: la
«Supermarkets italiani», che nel novembre del 1957 apriva un esercizio, il primo tassello di quella
che sarebbe divenuta con nome di «Esselunga» la più importante catena italiana.
4.3 LE ORIGINI DELLE RELAZIONI PUBLICHE
28
- Anche la storia delle PR è figlia delle peculiarità dell'economia e della società americana: la
necessità del big business di essere socialmente e culturalmente riconosciuto come legittimo
interprete del sogno americano.
- Negli Stati Uniti è da tempo in corso un interessante dibattito sul se e quanto le relazioni pubbliche
abbiano contribuito a trasformare l’atteggiamento della società nei confronti della grande impresa.
Diverse al riguardo erano le posizioni:
1) Per alcuni ci fu un innegabile miglioramento dell'immagine del big business presso il pubblico a
inizio '900 ma scarso fu il peso dei consulenti di immagine o, in generale, dalle pubbliche relazioni:
il cambio di atteggiamento del pubblico veniva attribuito a una sua inevitabile assuefazione all’idea
che la grande impresa fosse ormai divenuta una componente inevitabile della società moderna.
28 Le relazioni pubbliche, note anche come Public relations o PR, sono tutte le attività di comunicazione il cui obiettivo
sia sviluppare relazioni, mettere in comunicazione istituzioni, aziende, persone, strutture, con la loro utenza o clientela
di riferimento. Si considera che siano state teorizzate per primo dal pubblicista statunitense di origine austriaca Edward
Bernays.I destinatari della comunicazione possono essere privati cittadini, istituzioni, aziende, organi di stampa,
consumatori.
Lo scopo principale è di sostenere la reputazione dell'organizzazione che comunica, contribuendo alla creazione di una
specifica identità.
Le relazioni pubbliche possono essere utilizzate anche per raggiungere specifici obiettivi, come, ad esempio, la
creazione di consenso intorno a una particolare iniziativa, il sostegno ai propri scopi o alle proprie iniziative, la
commercializzazione dei propri prodotti e così via. 71
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame di Storia dell'Impresa, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Storia dell'Impresa, Toninelli. Gli argomenti sono: la teoria dell'impresa, la riflessione in tema di imprenditore, scuola neoclassica, scuola economica anglosassone, Richard Cantillon, Schumpeter, l'abate Baudeau.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher melody_gio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Catania - Unict o del prof Colonna Maurizio.
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