Storia - Il Rinascimento - Appunti
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programmi e alla didattica dell'enciclopedismo scolastico-aristotelico, non potevano
fornire; di qui la nascita di nuove scuole (private) e accademie presso le corti;
oltre a ciò va considerato il fatto che il processo di formazione dei Comuni (iniziato sin
dal mille e protrattosi fino all'avvento delle Signorie) aveva sì favorito l'autonomia
economica e sociale dei ceti borghesi e commerciali, ma non era ancora riuscito a darsi
una giustificazione teorica, di tipo etico-politico, filosofico-morale. E' appunto dal mondo
antico che l'Italia umanistica delle Signorie trarrà gli spunti e gli esempi più significativi
di virtù civili, di gloria militare, di eroismo personale, di autocontrollo delle passioni, di
raffinato gusto estetico, che le serviranno per legittimare la propria diversità dal
Medioevo (dall'"età di mezzo" -come veniva chiamato, in quanto, secondo gli umanisti,
li divideva dall'epoca classica). Probabilmente i risultati più significativi e duraturi l'Italia
li ottenne non sul terreno economico e politico, ma su quello culturale, con la nascita
dell'Umanesimo prima e delle arti rinascimentali dopo.
CARATTERISTICHE DELLA CULTURA UMANISTICA
Riscoperta del mondo classico greco-latino (si studiano le lingue classiche, si ricercano antichi
testi da interpretare in maniera filologica, erudita, razionale e critica: ad es. i testi degli antichi
vengono analizzati attraverso il confronto fra i vari codici). La preoccupazione è quella di
ristabilire l'esatto testo degli autori antichi, non più accettati nella lezione tradizionale
medievale. Umanista non è solo -come nel Medioevo- lo studioso di retorica e di grammatica,
ma un soggetto di "nuova umanità", cioè non solo nel senso che studia poesia, retorica, etica e
politica (humanae litterae), senza più fare riferimento alla teologia scolastica, ma anche nel
senso che lo studioso non è soggetto a una tradizionale autorità, essendo capace di autonomia
critica e di senso storico, dovuto alla sua altissima cultura. L'umanista imita, stilisticamente,
Cicerone nella prosa, Virgilio nell'epica, Orazio nella lirica: cerca addirittura di riproporre i loro
problemi e di imitarli nelle loro virtù morali e politiche, nel loro razionalismo e naturalismo. Il
Medioevo invece si era più che altro preoccupato di "ribattezzarli" secondo le esigenze della
religione cristiana.
Chi sono dunque gli umanisti? Sono intellettuali al servizio di una corte signorile, sono
ricercatori eruditi e collezionisti di codici antichi, studiati in maniera filologica, al fine di
stabilirne l'autenticità, la provenienza, la storicità (ad es. Lorenzo Valla dimostrò che la
Donazione di Costantino è un falso medievale dell'VIII sec. elaborato per giustificare le pretese
temporali del papato). Alcuni metodi di critica testuale o filologica sono validi ancora oggi: ad
es. il carattere disinteressato della ricerca, per "amore" della verità. Grazie a loro nascono le
prime biblioteche (quella Malatestiana a Cesena è del 1447-52) e nuove figure professionali:
mercante di codici, libraio, tipografo...
L'Umanesimo, riscoprendo il valore dell'autonomia creativa dell'uomo, superando i concetti
tradizionali di autorità, rivelazione, dogma, ascetismo, teologia sistematica, tradizione con
l'esigenza prioritaria di una riflessione personale, critica, Rompendo in sostanza l'unità
enciclopedica medievale, inizia il processo di autonomia delle singole discipline, permettendo
all'uomo di conoscere e dominare le leggi della natura e della storia. La riscoperta
dell'autonomia della natura, con le sue leggi specifiche, porta allo sviluppo delle scienze esatte
e applicate. Leonardo da Vinci traduce in scienza applicata le sue intuizioni nel campo
dell'ottica, della meccanica, della fisica in generale. Architetti e ingegneri passano dalla
progettazione di singoli edifici a quella di intere città. Geografi e cartografi saranno di
grandissimo aiuto ai navigatori e agli esploratori dei nuovi mondi (vedi ad es. l'uso della
bussola e delle carte geografiche). Grande sviluppo ebbero la medicina, la botanica,
l'astronomia, la matematica, le costruzioni navali... La borghesia aveva bisogno dello sviluppo
delle scienze basate sull'esperienza e sul calcolo, indispensabili alla produzione e al commercio
dei beni di consumo. LE CONTRADDIZIONI DELL'UMANESIMO
L'Umanesimo:
afferma la dignità e l'autonomia dell'uomo nel momento in cui diventa cortigiano al
servizio delle Signorie, per le quali la cultura è un elegante forma di pubblicità o un
mezzo di evasione. Spesso infatti gli umanisti si consideravano una casta intellettuale al
disopra del popolo. L'Umanesimo in sostanza esalta lo spirito critico mentre si estingue
la dinamica politica del Comune, soffocata dalla dittatura delle Signorie.
acquisisce il senso della storia quando l'Italia viene tagliata fuori dal grande processo di
formazione degli Stati nazionali. Paradossalmente, l'umanesimo, senza saperlo, prende
a modello il mondo classico mentre la società borghese del '400 si stava avviando alla
decadenza.
afferma degli ideali di rinnovamento socio-culturale, ma l'intellettuale resta isolato dalla
società: ama la solitudine, rivaluta la tranquillità della campagna, usa il latino quando
scrive, rinunciando al volgare (che tutti possono capire), tende all'idillio in letteratura,
esaltando il valore della bellezza e dell'armonia formale. Non dimentichiamo che
l'umanista è anche colui che giustifica l'idea secondo cui il successo rende leciti i mezzi
con cui lo si consegue. Essendo fondamentalmente individualista, l'umanista
considerava la soddisfazione delle esigenze dell'individuo un fine in se stesso. Sotto
questo aspetto, le personalità che più si dovevano stimare -secondo l'umanista- erano
quelle "emergenti" per ricchezza, cultura e potere.
Gli umanisti non furono contrari al cristianesimo ma alla scolastica medievale: furono anzi i
primi a evidenziare una notevole autonomia di giudizio, eppure non ebbero mai la forza di
creare un movimento di riforma religiosa analogo a quello protestante.
Perché queste contraddizioni? Perché pur esistendo in Italia, a quel tempo, l'esigenza di
superare la tradizione medievale e il particolarismo locale, non si aveva la sufficiente forza per
realizzare questa esigenza di unificazione nazionale.
IL RINASCIMENTO LETTERARIO
L'Umanesimo prosegue nel 1500 e viene chiamato dagli storici della letteratura Rinascimento.
Perché? Perché la riscoperta della classicità greco-latina assume ora forme assolutamente
originali, assai più perfezionate di quelle umanistiche. Tuttavia questo sviluppo impetuoso delle
arti rinascimentali avviene soprattutto nella prima parte del secolo. L'Italia infatti, a partire
dalla seconda metà, entrerà in una crisi economica, sociale e politica così profonda che si
protrarrà sino al momento dell'unificazione nazionale.
I progressi culturali
Diventa sempre più chiara la consapevolezza che la cultura classica (greco-latina) è stata
manipolata o travisata durante il Medioevo. Si è convinti che la cultura classica sia più vicina
alle esigenze umanistiche, a condizione naturalmente di riattualizzarla e non di riprodurla
meccanicamente: in questo senso più che di "rinascita" della cultura classica si deve parlare di
"nascita di una cultura nuova".
La formazione e lo sviluppo di questa "cultura nuova" dipende strettamente dalla maturazione
dello "spirito borghese", cioè di quel modo di vivere e di pensare improntato a esigenze di
chiarezza, razionalità, concretezza, efficienza, laicità, naturalismo, ecc. La cultura tradizionale
delle Università appare del tutto inadeguata: soprattutto perché non sa superare il grande
divario tra il "sapere" ufficiale e la nuova "realtà". Di qui la creazione di organismi autonomi: le
Accademie, ove gli autori più letti sono Aristotele e soprattutto Platone.
L'intellettuale di questo periodo tende a porsi come operatore autonomo, contrario ai
condizionamenti imposti dalle vecchie istituzioni, preoccupato di organizzare la vita civile della
propria città o signoria o principato su basi culturali originali. Egli mira a sostituirsi al
"chierico".
All'estero (soprattutto in Francia, Germania e Olanda), la vita intellettuale di tutti i principali
centri di studio europei gravita ancora intorno al sistema culturale-religioso medievale. La
cultura laica quindi tarda ad affermarsi. Ma questo ritardo, rispetto all'Italia, è vissuto all'estero
in maniera costruttiva, nel senso che gli intellettuali, sulla base di esigenze sociali di
rinnovamento, cercano di riformare, cioè di esaminare criticamente, taluni aspetti della
religione cattolica, realizzando così un rapporto molto stretto con le masse cattoliche.
Nell'Umanesimo transalpino si riscoprono i testi patristici e la stessa Bibbia. Questa coesione
sociale e culturale di intellettuali e popolo porterà, da un lato, alla Riforma protestante e,
dall'altro, alla formazione delle monarchie nazionali. Viceversa, in Italia gli intellettuali, pur
essendo culturalmente più avanzati, non hanno un rapporto organico con le masse cattoliche
né lo cercano, e persino tra di loro restano separati, come sono separate le varie Signorie cui
fanno riferimento. Ecco perché da noi la Controriforma avrà facilmente successo, determinando
quel processo involutivo della cultura che si trascinerà sino all'unificazione.
La riscoperta filosofica di Platone e Aristotele porta a questi risultati: a) valorizzazione degli
strumenti conoscitivi dell'uomo, applicati allo studio della natura e della stessa realtà umana
(quindi sviluppo delle scienze matematiche, fisiche, astronomiche, ecc., secondo il metodo
induttivo-sperimentale: dal particolare al generale, cioè le teorie vanno dedotte dai fatti
concreti e non viceversa); b) sviluppo delle arti meccaniche, cioè della tecnica e della
tecnologia (vedi ad es. Leonardo da Vinci): nascono nuove macchine, nuovi strumenti di
lavoro, nuovi procedimenti... sulla base delle nuove esigenze della borghesia.
Le contraddizioni principali
Gli intellettuali avevano una formazione culturale cosmopolita, avevano esigenze di tipo
universale, però erano costretti a muoversi nella ristretta cerchia della corte signorile.
Aspiravano a una civiltà universale, ma vivevano ancora in strutture corporative, tipiche
di un'Italia divisa in Stati poco comunicanti fra loro.
Gli intellettuali esaltavano la dignità civile e politica dell'uomo, ma solo sul piano
teorico-culturale; di fatto restavano estranei all'impegno politico-civile vero e proprio.
Oppure si limitavano a tutelare gli interessi delle corti che li pagavano.
L'Italia divisa in stati diventa terra di conquista di Francia e Spagna. In seguito la lotta
fra queste due nazioni si sposta dall'Italia a tutta l'Europa, includendo persino l'impero
turco-ottomano. L'Italia nella storia d'Europa diventa una provincia sempre meno
significativa.
La Riforma protestante in Italia:
viene soffocata sul nascere dalla Controriforma (Concilio di Trento, Inquisizione, Indice
dei libri proibiti, Gesuiti). Nell'Europa settentrionale la Riforma contribuisce
all'emancipazione della classe borghese dalla nobiltà e dal clero (in Germania vi
partecipano in massa anche i contadini). Non solo, ma con la Riforma gli Stati nazionali
si rafforzano, potendo incamerarsi i beni ecclesiastici del clero (specie quello regolare).
Il potere politico-economico del clero diminuisce notevolmente.
fu poco avvertita dagli intellettuali anche perché la problematica teologica interessava
relativamente. Gli umanisti e i rinascimentali credevano in un Dio razionale, poco
vincolato ai riti della Chiesa o all'intolleranza dei fanatici. Questa indifferenza impedì agli
intellettuali di cogliere le istanze socio-politiche sottese alla Riforma.
La Controriforma cattolica
La causa scatenante della Controriforma è stata la Riforma protestante scoppiata
dapprima in Germania e poi in tutta l'Europa settentrionale.
Il successo della Controriforma in Italia è dipeso dalle contraddizioni del Rinascimento.
Suo strumento principale è stato il Concilio di Trento (1545-63), in seguito anche il
Tribunale dell'Inquisizione, l'Indice dei libri proibiti, i roghi per gli eretici (Savonarola,
Giordano Bruno, ecc)...
In Italia la Controriforma si pone come il tentativo di fendere, con una politica
intransigente, l'ordine e l'autorità ch'erano stati messi in discussione dall'Umanesimo e
dal Rinascimento. Il baricentro della vita italiana si sposta da Firenze a Roma.
UMANESIMO - RINASCIMENTO
L'Umanesimo e il Rinascimento nacquero per primi in Italia perché qui, prima o più che altrove,
si ebbero le condizioni favorevoli alla nascita dei rapporti capitalistici. Nei secoli XIV e XV
l'Italia era uno dei paesi più progrediti d'Europa. Nel XIII sec. le città italiane avevano difeso
vittoriosamente, nella lotta contro l'impero tedesco, la propria indipendenza (che divenne
oltremodo sicura dopo la caduta della dinastia degli Hohenstaufen). Il problema stava semmai
nel fatto che il territorio del paese non era ancora unito economicamente e politicamente.
Già verso la metà del XIII sec. ebbe inizio in molte città-stato repubblicane la liberazione dei
contadini dalla servitù della gleba. A ciò naturalmente non corrispondeva mai un'equa
distribuzione della terra ai contadini liberati: la libertà concessa era solo giuridica, non
economica. Con la sola libertà "formale" essi non potevano fare altro che trasformarsi in operai
salariati o in braccianti, sfruttati da artigiani arricchiti, dai maestri delle corporazioni, da
mercanti-imprenditori o da altri ricchi contadini neo-proprietari o dagli stessi feudatari di
prima, ma con altri metodi (ad es. la mezzadria, la rendita in denaro, ecc.).
Ecco perché la produzione capitalistica si sviluppò precocemente in Italia. I servi della gleba si
emanciparono ancor prima di essersi assicurati un qualsiasi diritto sulla terra. Naturalmente
non mancarono proteste e rivolte contadine, aventi per tema la distribuzione equa delle
proprietà. La più famosa delle quali fu quella di Fra Dolcino, agli inizi del '300, considerata una
delle più grandi insurrezioni contadine dell'Europa occidentale di quel periodo. Queste rivolte
furono sempre duramente represse: esse tuttavia contribuirono alla transizione dal
feudalesimo al capitalismo.
Nel XIV sec. avvennero grandi trasformazioni nella produzione artigianale controllata dalle
corporazioni. Si costatò che l'ostinazione nel mantenere la piccola produzione, i metodi e gli
utensili tradizionali e la tendenza a frenare l'ulteriore progresso tecnico (che diventava fonte di
concorrenza tra i singoli artigiani della medesima specializzazione), avevano trasformato le
corporazioni in un ostacolo al progresso della tecnica e all'ulteriore sviluppo della produzione.
Accadde allora che singoli artigiani, per soddisfare le aumentate esigenze del mercato interno e
soprattutto estero, cominciassero ad allargare la loro produzione aldilà delle rigide barriere
corporative. Quelli che possedevano le botteghe più grandi commissionavano il lavoro ai piccoli
artigiani, consegnando loro la materia prima o semilavorata e ricevendo il prodotto finito. In tal
modo aumentava la ricchezza degli artigiani più abbienti e lo sfruttamento di quelli piccoli, ivi
inclusi gli apprendisti e i garzoni. Anzi, col tempo, la qualifica di "maestro" divenne accessibile
solo agli apprendisti e ai garzoni che erano imparentati colla famiglia dell'imprenditore. Gli altri
garzoni e apprendisti si trasformarono in operai salariati a vita.
I contadini senza terra, i garzoni e gli apprendisti, i braccianti, i piccoli artigiani costituivano la
grande maggioranza dello strato inferiore degli abitanti delle città. I piccoli artigiani, in
particolare, venivano sfruttati anche dal capitale commerciale di quei mercanti che fornivano
materia prima, impegnando gli artigiani a rivendere loro i prodotti finiti, rendendoseli così
economicamente dipendenti. Questo processo servì da punto di partenza per la manifattura
capitalistica.
Nelle fabbriche di panno (opifici) cominciarono a lavorare contadini senza specializzazione e
artigiani caduti in rovina. Ogni operaio doveva svolgere una sola operazione. Tale divisione del
lavoro era ignota all'artigiano della corporazione e anche al contadino (che nel periodo
invernale, peraltro, svolgeva anche mansioni da artigiano). Anche nei cantieri navali di Venezia
e Genova si affermò il principio della divisione del lavoro. In seguito, nei settori della
metallurgia, nell'estrazione dei metalli, ecc.
Sorsero poi unioni d'imprenditori che si occupavano contemporaneamente del commercio,
dell'industria e dell'attività bancaria, e che smerciavano la produzione soprattutto nei mercati
esteri (cioè nei paesi dell'Europa occidentale, del Mediterraneo orientale e dell'Asia). La
domanda estera contribuì, a sua volta, a sviluppare la manifattura: il lavoro cioè in un unico
luogo di un gran numero di operai sotto la direzione di un capitalista. Le prime manifatture
dell'Europa tardo-feudale sorsero nelle città italiane più sviluppate e in alcuni centri del
commercio d'esportazione di altri Paesi (come ad es. le città delle Fiandre, dell'Olanda, ecc.).
Lo sfruttamento degli operai era notevole: la giornata lavorativa, in media, era di 14-16 ore,
sotto lo stretto controllo dei sorveglianti, con salari molto bassi, coi quali spesso l'operaio
doveva pagare delle multe anche per le più piccole infrazioni. La prima rivolta degli operai
salariati avvenne a Firenze nel 1343: fu quella dei cardatori di lana. Poi ci fu quella dei lanaioli
a Perugia nel 1371. A Siena di nuovo i cardatori e infine il grande tumulto dei Ciompi a Firenze
nel 1378. Queste ed altre rivolte non ebbero effetti politici significativi, in quanto nelle città
vennero conservati gli ordinamenti precedenti e i padroni mantennero il possesso dei
laboratori, delle botteghe, degli opifici, mentre gli insorti, male organizzati e troppo
spontaneistici, venivano generalmente travolti dalle forze militari dei poteri costituiti. I quali,
anzi, proprio per questa ragione, divennero sempre più autoritari (vedi ad es. l'istituzione di
signorie e principati).
E tuttavia, se i tumulti popolari non riuscirono a trasformare il capitalismo manifatturiero
italiano in un sistema produttivo più equo e democratico, il frazionamento politico-economico
del territorio (nel quale esso si era pur formato) ne impedì l'ulteriore sviluppo, determinandone
infine la decadenza. Le città italiane, isolate fra loro economicamente, commerciavano merci di
produzione propria, che finivano principalmente sui mercati esteri. Per la conquista di questi
mercati le città erano sempre in concorrenza fra loro: di qui le interminabili guerre, che
portavano sempre all'indebolimento delle reciproche parti. Alla fine del '400 la situazione in
pratica era la seguente: a Milano i duchi della famiglia Sforza; a Venezia l'oligarchia
commerciale; a Firenze i Medici; nell'Italia centrale lo Stato della chiesa e a sud il Regno di
Napoli, governato dalla dinastia spagnola degli Aragona. Lo Stato della chiesa e il Meridione
erano praticamente sottosviluppati: il papato, oltre ad ostacolare fortemente l'unificazione della
penisola, spesso chiamava in Italia i conquistatori stranieri allo scopo di consolidare il proprio
prestigio (famosa fu la rivolta a Roma di Cola di Rienzo nel 1347).
La mancanza di un unico mercato nazionale fu il motivo principale della decadenza economica
dell'Italia (si pensi ad es. alla presenza delle barriere doganali, ai dazi elevati, al protezionismo
reciproco degli Stati: fattori questi che facevano enormemente lievitare i prezzi delle merci).
Peraltro, all'interno di ogni Stato solo la città principale poteva estendere la propria industria.
L'assenza del mercato nazionale aveva prodotto notevoli contraddizioni nella gestione
dell'economia: nelle manifatture si impiegavano ancora metodi di costrizione diretta
insopportabili; la borghesia restava legata ai signori feudali, per cui nella campagna la
manifattura si estese pochissimo (i latifondisti non avevano gli stessi interessi della borghesia e
si accontentavano del rapporto di mezzadria, i cui pesi anzi venivano sempre più accentuati e
scaricati sulle spalle dei contadini); l'export si riferiva soprattutto al tessile; le corporazioni
continuavano ad esistere...
Fu sufficiente la scoperta dell'America, che spostò il traffico commerciale sulle coste
dell'Atlantico, a far perdere all'Italia la sua importanza nel commercio mondiale e a farla
ritornare al sistema feudale, rendendola di nuovo appetibile per le nazioni straniere (specie
Francia e Spagna). Quando Inghilterra, Francia e altri paesi nord-europei svilupparono una loro
manifattura, i prodotti tessili delle città industriali italiane non furono più concorrenziali, sia in
quantità che in qualità. Successivamente altre industrie furono rovinate dalla concorrenza
straniera: cantieristica, bellica, cotonifici, ecc. In sostanza solo i prodotti di lusso continuavano
ad essere richiesti (seta, oreficeria, vetro veneziano, oggetti d'arte), il cui consumo ovviamente
riguardava l'élite.
Il Mediterraneo perse d'importanza per le città italiane anche a causa dell'occupazione di
Costantinopoli nel 1453, data a partire dalla quale i nostri mercanti, per riavere i diritti
commerciali di un tempo, dovevano pagare forti tasse. L'unica via di transito per l'oriente era
quella egiziana, ma qui erano i sultani arabi a detenere il monopolio del commercio.
A causa della decadenza economica, mercanti ed imprenditori cominciarono ad abbandonare
l'attività commerciale e industriale, ricercando altri settori nei quali investire con profitto i
propri capitali. Fu così che si svilupparono le operazioni finanziarie e usuraie (con prestiti ai
proprietari terrieri, ad es.), ma anche l'acquisto di terre insieme ai titoli nobiliari da parte della
borghesia cittadina. Imprenditori, mercanti e banchieri si trasformavano in proprietari terrieri
che concedevano piccoli appezzamenti di terra in affitto a contadini a condizioni semi-feudali.
La rendita feudale divenne la fonte principale dei loro redditi.
Nell'Italia settentrionale, man mano che si chiudevano gli opifici, una gran quantità di operai
era costretta a lasciare la città e a ritornare in campagna: di qui il grande sviluppo
dell'orticoltura. Il tipo dominante di affitto era la mezzadria: in base a un contratto il mezzadro
doveva assumersi tutte le spese dell'azienda, apportare i miglioramenti necessari e introdurre
nuove colture. Naturalmente il proprietario poteva sempre interferire, però s'impegnava a
fornire sementi, bestiame, strumenti agricoli o il denaro per comprarli. Il mezzadro doveva
dare metà del raccolto al proprietario e pagare le imposte allo Stato. Purtroppo, i mezzadri,
dovendo sopportare le guerre di conquista franco-spagnole e vessati da interessi usurai,
divennero ben presto, pur essendo formalmente liberi, schiavi del loro padrone, per cui la fuga
dalla terra veniva sempre punita col carcere. Col tempo ovviamente il padrone pretenderà,
oltre alla metà del raccolto, anche altre corvées. In una situazione ancora peggiore si
trovavano gli operai salariati agricoli, completamente privi di qualunque proprietà.
Il frazionamento politico rese l'Italia facile preda degli Stati vicini, Francia e Spagna, che
avevano già ultimato la loro unificazione alla fine del '400 mediante forti monarchie
centralizzate. Il primo a scendere fu Carlo VIII chiamato da Ludovico il Moro di Milano per
combattere Ferdinando I, re spagnolo a Napoli. Carlo VIII s'insediò nel napoletano
coll'intenzione di restarvi, ma Milano, Venezia, il papato, il re di Spagna e l'imperatore d'Austria
riusciranno a cacciare i francesi.
La guerra naturalmente continuò ancora per molti anni: sino alla pace di Cateau-Cambresis
(1559), che sancì definitivamente l'egemonia spagnola in Europa e in Italia. La Francia dovette
rinunciare a ogni pretesa sull'Italia.
Durante queste guerre, l'Italia cattolica si vide impegnata anche nella Controriforma con il
Concilio di Trento (1545-63): si ripristinò il Tribunale dell'inquisizione e si istituì l'Indice dei libri
proibiti.
Contro gli avidi feudatari di Spagna e Francia, e contro le bande di mercenari che con i loro
saccheggi devastavano il paese, insorsero le masse popolari al centro-nord con idee eretiche e
riformatrici (valdesi e anabattisti), al sud, senza idee eretiche ma con uguale volontà di
resistenza. Tuttavia la Spagna trionfò su tutti, continuando a rapinare e a tenere in condizione
di vassallaggio gran parte dei territori italiani.
Nel corso del XVI sec. si cominciò ad avanzare l'idea dell'unificazione del paese (vedi ad es.
Machiavelli e Guicciardini): un'idea che avrebbe dovuto essere realizzata ad ogni costo e con
qualsiasi mezzo e soprattutto per opera di un principe risoluto e senza scrupoli. Il modello del
Machiavelli era il figlio del papa Alessandro VI, Cesare Borgia, duca di Romagna, famoso per i
suoi delitti. Quadro culturale
Premessa
Probabilmente i risultati più significativi e duraturi l'Italia li ottenne non sul terreno economico
e politico, ma su quello culturale, con la nascita dell'Umanesimo e delle arti rinascimentali.
L'insorgere dei rapporti capitalistici portò infatti alla formazione della scienza sperimentale, alla
riscoperta e allo studio dei documenti della cultura antica (in funzione antiscolastica e
antimedievale), alla fioritura dell'arte e allo sviluppo di una concezione immanente del mondo
che spezzava l'egemonia intellettuale della chiesa. Si ebbero anche la formazione di letterature
nelle nuove lingue vive dell'epoca e la comparsa del teatro professionale.
Sul piano delle scienze sperimentali si ebbero grandi progressi nelle costruzioni navali, nella
scienza della navigazione (impiego della bussola, delle carte geografiche, ecc.). Si sviluppò
anche la medicina, la botanica, la matematica, l'astronomia, ecc. La borghesia aveva bisogno
dello sviluppo delle scienze basate sull'esperienza, indispensabili alla produzione, allo smercio
dei prodotti, all'aumento della produttività del lavoro.
Questa nuova concezione del mondo si espresse nel Rinascimento italiano soprattutto nelle
opere dei poeti, dei pittori, degli scultori e degli architetti, che erano al servizio dei ricchi
cittadini, dei signori feudali di larghe vedute e del papato.
Per "nuova concezione del mondo" s'intende quella dei ricchi abitanti di città, trasformatisi col
tempo in borghesi. Con la parola "humanista" s'indicava nel XVI sec. il carattere terreno,
pratico, immanente della nuova scienza e della nuova letteratura, in antitesi alla teologia e alla
scolastica.
Il tratto più caratteristico dell'umanesimo era l'individualismo, nel senso che si considerava la
soddisfazione delle esigenze dell'individuo un fine in sé. Spesso infatti si giustificava l'idea
secondo cui il successo rende leciti i mezzi con cui lo si consegue. Da questo punto di vista le
personalità che più si dovevano stimare erano quelle "emergenti" per ricchezza, cultura e
potere.
Un altro tratto caratteristico era il destarsi negli umanisti di una coscienza nazionale: lo attesta
non solo il bisogno di scrivere nelle lingue volgari o popolari, pur essendo essi ottimi
conoscitori del latino e del greco classici, ma anche l'ideale di una forte monarchia centralizzata
come organizzazione politica della nazione.
Uno dei più grandi umanisti del XIV sec., Lorenzo Valla, dimostrò che nella traduzione latina
della Bibbia (VULGATA) erano stati commessi numerosi errori e che il documento sul quale i
papi fondarono le loro pretese al potere temporale (la cd. Donazione di Costantino) era un
falso composto nell'VIII sec.. Questo è un solo esempio, benché notevole, di come gli umanisti
cominciassero a togliere alla chiesa il monopolio dell'interpretazione biblica e della tradizione
cristiana.
Il difetto principale degli umanisti era che si consideravano una casta intellettuale al di sopra
del popolo. I movimenti intellettuali
Se cominciamo col movimento intellettuale che per molti aspetti è il più caratteristico del
Rinascimento, l'umanesimo, ci troviamo di fronte a discussioni e controversie riguardo alla sua
durata, al suo significato e al suo valore. Tra gli storici italiani l'umanesimo fu spesso
identificato con la cultura del Quattrocento e separato dal Rinascimento vero e proprio che
sarebbe il Cinquecento, abitudine che è forse venuta meno negli anni recenti.
Nei paesi di lingua inglese la parola humanism che comprende ciò che in italiano viene distinto
bene come umanesimo e umanismo, ha portato a una grande confusione poiché il significato
vago e moralizzante dell'umanismo contemporaneo viene senz'altro applicato all'umanesimo
del Rinascimento e si dimentica che l'umanesimo del Rinascimento insiste sì sui valori umani,
ma persegue questi valori attraverso una cultura classica (greco-romana) e umanistica.
L'umanesimo del Rinascimento è strettamente collegato con gli studia humanitatis, schema che
si distingue nettamente dalle arti liberali del Medioevo e dalle belle arti del tempo moderno e
che comprende la grammatica, la retorica, la poesia, la storia e la filosofia morale. Siccome la
grammatica si intendeva come lo studio della lingua e letteratura classica greca e latina, e la
retorica e la poesia consistevano sia nello studio dei prosatori e poeti classici che nella pratica
della composizione in prosa e in versi, ne risulta che gli studia humanitatis di cui gli umanisti
furono maestri comprendevano tra l'altro la filologia classica, la letteratura (latina e anche
volgare), la storiografia e la filosofia morale, ed escludevano le altre discipline che facevano
pure parte dello studio e dell'insegnamento universitario nel Rinascimento come nel tardo
Medioevo, cioè le altre discipline filosofiche come la logica, la filosofia naturale e la metafisica,
e poi la teologia, la giurisprudenza, la medicina e le matematiche. Quindi l'umanesimo non
costituisce l'insieme del sapere o del pensiero del Rinascimento, ma soltanto un settore
parziale e ben definito.
Tra le discipline filosofiche, soltanto la filosofia morale fa parte degli studia humanitatis mentre
le altre ne rimangono fuori. D'altra parte, gli studia humanitatis includono, all'infuori della
filosofia morale, parecchi studi che non hanno niente a che fare con la filosofia nel senso
stretto della parola: la filologia, la letteratura, la storia.
Tra gli umanisti alcuni dettero contributi importanti al pensiero morale, quali il Petrarca, il
Salutati, il Bruni, il Valla, l'Alberti e molti altri, ma questi stessi umanisti si occupavano anche
di storia, letteratura e filologia, e molti altri umanisti si occupavano di poesia, retorica, filologia
o storia senza dare un contributo neanche minimo al pensiero morale o filosofico.
Le tematiche
Bisogna notare anzitutto i temi di cui gli umanisti si occupano nei loro trattati. Sono in parte gli
stessi temi che si trovano nella letteratura filosofica antica e medievale, e specialmente quella
popolare: il sommo bene, la virtù e il piacere; il fato, la fortuna e il libero arbitrio; la dignità
dell'uomo e la sua miseria; la nobiltà e la ricchezza e i loro rapporti con la virtù. Gli umanisti
parlano del rapporto tra intelletto e volontà, e favoriscono spesso la volontà. Parlano dei doveri
e dei vantaggi di varie forme di vita, e spesso fanno il paragone tra di esse. Difendono poi
l'importanza dei loro studi contro i critici scolastici e teologici, o addirittura attaccano la
filosofia scolastica come astrusa e inutile.
I temi e gli argomenti sono interessanti, ma non sono profondi o rigorosi secondo i criteri della
filosofia antica o moderna o anche medievale. Le conclusioni sono spesso ambigue, e le tesi
chiare di un Petrarca, Bruni o Valla non costituiscono un pensiero sistematico o un insieme di
dottrine generalmente accettato dagli altri umanisti. Ciò che li unisce non sono determinate
dottrine, ma certi atteggiamenti generali: un ideale culturale che si basa sullo studio dei
classici latini e greci e che viene messo al centro degli studi e della scuola elementare e
secondaria, e la convinzione che l'antichità fu superiore ai tempi più recenti e che bisognava
arrivare a una rinascita delle lettere, degli studi e del pensiero.
Gli umanisti non furono contrari al cristianesimo, come lo erano alla filosofia e alla teologia
scolastica; per loro la rinascita dei classici comportava anche la rinascita dei classici cristiani,
cioè della Bibbia e dei Padri della Chiesa. Ma lo studio intenso della letteratura e filosofia antica
portava a una secolarizzazione degli studi e della cultura.
Abitudini stilistiche e filologiche
La quaestio e il commento vengono man mano sostituiti dal trattato e dal dialogo, dal discorso
e dall'epistola, e finalmente dal saggio. La prosa elegante ciceroniana o almeno
classicheggiante sostituisce il ragionamento dialettico degli scolastici, non solo nella struttura
dei periodi ma anche nella terminologia, spesso con una perdita di precisione. La
generalizzazione astratta cede all'opinione personale e all'esperienza individuale. Si sente poi
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia moderna e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università La Sapienza - Uniroma1 o del prof Scienze Storiche Prof.
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