Anteprima
Vedrai una selezione di 7 pagine su 28
Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 1 Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 2
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 6
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 11
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 16
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 21
Anteprima di 7 pagg. su 28.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Riassunto esame Storia Greca, prof. Costa, libro consigliato Filippo e Alessandro, De Sanctis Pag. 26
1 su 28
D/illustrazione/soddisfatti o rimborsati
Disdici quando
vuoi
Acquista con carta
o PayPal
Scarica i documenti
tutte le volte che vuoi
Estratto del documento

II_ GRECI E BARBARI NEL IV SECOLO A. C.

Il primato culturale europeo si afferma soltanto nei secoli VIII-VII a. C., dopo essere stato a lungo

detenuto dagli imperi orientali. Sono le colonie greche dell’Asia Minore ad avviare questo sviluppo,

che raggiungerà poi il suo culmine nell’Atene del V secolo, massima espressione tanto di libertà

politica quanto di libertà di pensiero. Il governo democratico, il progresso del sapere storico e

filosofico ed il trionfo delle arti che la contraddistinguono sono l’apice di uno sviluppo che riguarda

più in generale tutti i greci. La consapevolezza di questa superiorità rispetto agli altri popoli li porta

ad attribuire un significato negativo al termine “barbaros”, con cui già da tempo venivano

identificati i popoli non greci. Contemporaneamente si sviluppa l’idea di un’unità non etnica ma

culturale tra i greci, a cominciare da Isocrate che per primo attribuisce questo significato al termine

“Elleni”. Al primato culturale non si accompagna però immediatamente un primato politico. Non si

può intendere in tal senso né la colonizzazione della seconda metà del II millennio a. C. indirizzata

alle coste dell’Asia minore, né la colonizzazione dei secoli VIII-VI indirizzata alle coste meridionali

di Italia, Francia e Spagna e alle sponde del Mar Nero. In entrambi i casi i greci non fecero alcun

serio tentativo di conquista e penetrazione nell’entroterra, restando invece in prossimità delle coste

dei paesi che occupavano. La colonizzazione greca è infatti la risposta a una accelerazione della

crescita demografica, ma esprime nello stesso tempo lo spirito di iniziativa e scoperta dei greci. Le

ragioni che impediscono a questo movimento di espansione di divenire un movimento politico di

conquista sono molteplici: non soltanto l’isolamento in cui vengono a trovarsi le colonie sia rispetto

alla madrepatria che tra di loro, ma anche la natura dei popoli con cui si scontrano, particolarmente

bellicosi quelli dell’Italia meridionale, appartenenti a monarchie di gran lunga più potenti delle

poleis greche quelli dell’Asia minore. L’assenza di questo spirito di conquista è del resto

testimoniato anche dai grandi autori di quel periodo, ad esempio Eschilo ed Erodoto, che mostrano

sempre un certo rispetto per i popoli barbari, ora in virtù della loro umanità, ora per l’antichità della

loro cultura. A questo senso di partecipazione se ne contrappone però uno di disprezzo, motivato

dalla loro disponibilità alla servitù e all’obbedienza in netto contrasto con i greci. Di questo ne è

testimonianza anche l’opera di Eraclito, che parla dei barbari non tanto in riferimento ai popoli non

greci, quanto piuttosto agli uomini privi di cultura, indipendentemente dalla loro appartenenza

etnico - politica. L’unità culturale dei greci viene fortemente promossa dallo sviluppo di quella

lingua comune (koinè) che, avviatosi nel corso del IV secolo, si consolidò definitivamente in età

ellenistica. Alla base di questa lingua comune trova posto l’attico, sia perché le poleis confederate

erano tenute a svolgere una buona parte dei loro processi ad Atene, sia perché la grandezza culturale

di questa città la rendeva particolarmente apprezzata dai sofisti, che diffondevano poi le loro

dottrine nel resto della Grecia. 2

L’affermarsi di questa koinè si avvale però dell’attico solo in quanto lingua parlata, essendo invece

più semplice e comprensibile come lingua scritta il dialetto ionico, il cui alfabeto gli stessi ateniesi

impiegano già dalla fine del V secolo per introdurlo nell’uso ufficiale intorno al 402/403 a. C.

Questa unità trova però un grande ostacolo nelle singole poleis, che restano fortemente attaccate

alle loro tradizioni anche come reazione al prestigio crescente delle maggiori tra loro; e questo

spiega come mai abbia tardato ad attecchire quel senso di rivincita contro la Persia cui incitavano

già Gorgia da Leontini e Isocrate. Esso si afferma circa un secolo dopo le guerre persiane e non a

causa dell’intrusione persiana negli affari greci, quanto piuttosto per la richiesta che prima Sparta e

dopo Atene insieme alle sue città alleate rivolsero alla potente monarchia orientale per conquistare

l’egemonia tra le poleis greche nel primo caso (guerra del Peloponneso e guerra corinzia), e per

esserne liberate nel secondo. Particolarmente interessante l’atteggiamento di Isocrate, che vede

nella guerra alla Persia l’unico modo per ricostituire l’unità della Grecia. Per quanto poi egli cerchi

di giustificare quest’impresa riportando la memoria alla guerra passata e alla più recente pace di

Antalcida (386) , è in realtà evidente che dietro le sue parole si nasconde un forte nazionalismo,

1

convinto della superiorità per natura dei greci e attratto dalle ricchezze che una guerra contro la

Persia avrebbe procurato. Isocrate vede infatti l’origine delle continue guerre tra le poleis greche

nella loro povertà, che le spingerebbe a cercare di estendersi l’una contro l’altra. Sarebbe allora la

guerra alla Persia l’unico rimedio a questa stato di cose, nell’idea che la superiorità dei greci li

avrebbe portati a vittoria sicura; la ricchezza così conseguita avrebbe poi reso inutili le guerre

interne che da sempre li avevano divisi. Questa previsione non sarà però confermata dai fatti storici,

e le poleis continueranno ancora a lungo a combattere l’una contro l’altra. Ad ogni modo lo spirito

bellicista di Isocrate non trova ascolto, a dimostrare che una vera volontà di riscatto nei confronti

della Persia non c’è. Nel periodo successivo si assiste al tentativo da parte delle maggiori città

greche, e cioè Atene, Sparta e Tebe, di assumere quel ruolo di garante dell’ordine e dell’equilibrio

tra esse che la pace di Antalcida attribuiva al Gran Re. In realtà ancora in un decreto ateniese del

378/7, nella pace del 375/4 e in quelle del 371 che precedettero e seguirono immediatamente la

battaglia di Leuttra è mantenuto nel testo un riferimento il più delle volte esplicito alla pace del re,

cioè alla pace di Antalcida del 386, e lo stesso si può dire, secondo la testimonianza che ce ne dà

Senofonte, della pace promossa dai Tebani poco dopo. Tuttavia anch’essa, come tutte quelle che

l’avevano preceduta, non durò a lungo, minata come’era alla base da una partecipazione soltanto

parziale delle città greche; infatti Sparta e Tebe non sottoscrissero mai una pace comune, non

volendo la prima riconoscere l’indipendenza di Messene e la seconda rinunciare alla conquista della

Beozia. Il risultato fu la battaglia di Mantinea in cui Tebe si trovò contro Sparta e Atene, a cui seguì

nel 362 l’ennesima pace. Questa però presenta per prima la particolarità di non fare nome del re, a

cui si era affidata almeno nominalmente la tutela di quelle precedenti. Essa è dunque

particolarmente interessante perché successiva a una battaglia in cui l’entità delle forze messe in

campo e la nullità dell’esito portano ad accettare lo status quo, cioè quell’equilibrio che si è venuto

a creare tra le maggiori città greche. Con la battaglia di Mantinea i greci si sono dunque resi conto

della loro parità di potenza e dell’inutilità di chiamare il Gran Re a partecipare delle loro vicende.

Per queste sue caratteristiche, cioè per il fatto di non avere come obiettivo né l’organizzazione di

1 Eccone la formulazione:”Il re Artaserse ritiene giusto che le città [che sono] in Asia siano sue e delle isole

[siano sue] Clazomene e Cipro, e che si lascino autonome le altre città elleniche piccole e grandi ad

eccezione di Lemno, Imbro e Sciro; queste, come per l’antico, [ritiene giusto] essere degli Ateniesi. E quanti

non accolgono questa pace, a questi io farò guerra assieme a coloro che lo vogliono e per mare e per terra e

con navi e con denari” (XEN., Hell.V 1, 31). 3

una guerra, né il riconoscimento più o meno esplicito di una egemonia tra le poleis, questa può

essere considerata la prima e unica koinè eirène che vi sia mai stata tra i Greci. Gli effetti della pace

del 362 sono evidenti nell’atteggiamento che le maggiori città greche tennero ora nei confronti del

Gran Re, in difficoltà per la ribellione dei satrapi dell’Asia Minore. Sparta, Atene e Tebe

contribuiscono ognuna a suo modo alla guerra attraverso i propri uomini più valorosi (Agesilao,

Cabria e Pammene). Nonostante il successo delle loro imprese i rapporti di forza tra Greci e

Persiani non subiscono significativi mutamenti, sia a causa delle circostanze in cui si vengono a

trovare i primi, e in particolar modo il processo di sfaldamento della Lega e le prime vittorie che

Filippo II va riportando in Tracia, sia a causa dell’abilità di Artaserse III, che salito al trono riesce in

breve tempo a ristabilire l’unità dell’Impero.

III_ I PRIMI ANNI DI REGNO DI FILIPPO

La crescente importanza del regno macedone intorno alla metà del IV secolo deve essere

innanzitutto ricondotta alle sue dimensioni e alla potenza militare che aveva a disposizione. Il

territorio della Macedonia è di gran lunga superiore a quello raggiunto all’apice della loro potenza

dalle maggiori città stato greche, vale a dire Sparta, Atene e Tebe, e anche l’estensione della

Tessaglia, nel breve periodo in cui l’accordo tra le sue tetrarchie è più stabile e simile a una vera

unità politica, è al massimo pari a un terzo del regno macedone. Per quanto riguarda poi la

questione della potenza militare possiamo dire con relativa sicurezza che l’esercito macedone

ammonta sotto Alessandro Magno a circa 30.000 uomini tra fanti e cavalleria , e per quanto questa

cifra possa sembrarci oggi irrisoria non bisogna dimenticare che per quel tempo rappresenta un

vantaggio enorme rispetto alla forza mediamente disponibile; la Macedonia deve essere infatti posta

allo stesso livello di Roma e Cartagine e forse del dominio siracusano al massimo della sua potenza,

escludendo però la Persia che per quanto disponesse di un esercito molto più numeroso aveva

conoscenze tecniche neanche paragonabili alle loro. In questo aveva per altro giocato un certo ruolo

il contatto di Filippo con gli ufficiali della scuola di Epaminonda durante il periodo in cui è ostaggio

di Tebe, occasione per apprendere importanti nozioni di arte bellica messe genialmente a frutto nelle

numerose guerre che scandiscono il suo regno (360-336). Sicuramente le risorse territoriali e

demografiche dell

Dettagli
A.A. 2012-2013
28 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/02 Storia greca

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gennaro Caruso di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Roma Tor Vergata o del prof Costa Virgilio.