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Il retore menzionava inoltre la discendenza degli Argeadi da Eracle per evidenziare la grecità del re
macedone ma anche per proporgli come modello da imitare l'antenato (Eracle aveva condotto una
spedizione in Asia contro il re di Troia Laomedonte).
Isocrate dichiarava di aver composto il suo scritto per ridare lustro agli occhi degli Ateniesi e dei
Greci all'immagine di Filippo offuscata dagli oratori ateniesi.
Sebbene non si trattasse di un discorso all'assemblea, tuttavia lo scritto di Isocrate ebbe ampia
diffusione. Il retore lo inviò alla corte macedone per il tramite del suo allievo Pontico e lo fece
probabilmente circolare anche tra i suoi allievi stranieri; ne rese noto il contenuto nella sua città
dove trovò ampia eco tra gli intellettuali (sia antimacedoni come Demostene sia filomacedoni come
l'accademico Speusippo). Le parole di Isocrate evidenziavano una spaccatura politica in Atene.
3. La mano di Apollo
346: accordo tra Filippo e Atene. Ne fu l'artefice Filocrate; era un accordo bilaterale: nonostante le
pretese ateniesi su Anfipoli, riconosceva a entrambe le parti i possedimenti acquisiti:
- agli Ateniesi il controllo del Chersoneso
- a Filippo il controllo su Anfipoli
Tuttavia esso non costituiva una pace comune, poiché lasciava fuori:
- Chersoblepte
- la Tracia
- i Focesi, che continuavano a occupare il santuario di Delfi e ad avere il controllo sulle Termopili
Ma il vantaggio del trattato è che esso portava ufficialmente Atene dalla parte di Filippo e di fatto,
come emerge nello scritto Sulla pace di Demostene, l'alleanza dava a Filippo mano libera sia in
Tracia sia in Grecia centrale.
Stando a Diodoro, la ripresa della guerra sacra fu determinata dalla richiesta di aiuto a Filippo da
parte dei Tebani nel fronteggiare le scorrerie dei Focesi in Beozia (i Focesi ora erano riuniti attorno
a Faleco).
Filippo esortò gli Ateniesi a mobilitarsi militarmente in nome di una giusta causa, ma Atene si
astenne per non dare soccorso al re nella guerra contro i Focesi ai quali qualche anno prima avevano
offerto il sostegno. La mossa ateniese permise a Filippo di condurre a termine da solo la guerra,
sconfiggere i Focesi e assumersi ogni merito. Fu una violazione da entrambe le parti:
- Atene sarebbe dovuto intervenire
- Filippo non avrebbe dovuto rafforzare i Tebani nella Grecia centrale, che invece devastarono la
Focide e ridussero la popolazione in schiavitù
Peraltro Filippo, avendo affidato il comando nelle operazioni ai Tebani, si era liberato di ogni
responsabilità nella condanna dei Focesi.
La conduzione del conflitto fu aspra: scrive Giustino che Filippo fece uso dell'inganno e attaccò i
nemici all'improvviso, dopo aver promesso di risparmiarli.
Diodoro scrive che la punizione ai sacrileghi fu dura; il consiglio anfizionico infatti:
1. vietò ai vinti l'acquisto di cavalli e armi fino al completo pagamento dell'indennità di guerra
2. maledisse e rese passibili di arresto in tutta la Grecia quanti avevano preso parte al saccheggio
3. decretò la totale distruzione delle città focesi
4. il trasferimento della popolazione in villaggi di massimo 50 case e distanti l'un l'altro almeno
uno stadio
5. il pagamento annuale al tempio da parte dei Focesi di 50 talenti, fino al completo rimborso delle
ricchezze di cui si erano impossessati
6. affidò a Filippo, ai Beoti, e ai Tessali l'organizzazione dei Giochi Pitici
7. fece spezzare le armi dei Focesi e dei mercenari contro le rocce
8. stabilì regole precise nella cura dell'oracolo e in questioni riguardanti il culto, imponendo pace e
concordia tra i Greci
Filippo, una volta sconfitti i Focesi, subentrò loro nel consiglio anfizionico, del quale ebbe il
controllo. Demostene coniò il termine "filippizzare" per definire l'atteggiamento condiscendente dei
Greci nei confronti del re in seguito alla vittoria sui Focesi.
Dunque, pur avendo giocato un ruolo importante nella risoluzione del conflitto e tratto vantaggi
dall'eliminazione dei Focesi, il re macedone si presentò come esecutore materiale di risoluzioni
adottate dal consiglio anfizionico; la triste sorte dei Focesi fu perciò determinata solo dai Greci. Se
il consiglio anfizionico aveva decretato la punizione dei Focesi, lo stesso Apollo aveva punito i
sacrileghi: Diodoro per esempio narra che vi era stato un incendio nel santuario di Apollo ad Abe,
dove si era rifugiato un gruppo di Focesi in seguito a un attacco dei Beoti; il castigo divino aveva
colpito poi i diversi comandanti focesi: Filomeno, Onomarco, Faillo, Faleco.
Fu proprio l'attacco ai Focesi e la vittoria su di essi ad alimentare nuovamente le ostilità degli
Ateniesi verso Filippo. Demostene nel suo discorso Sulla pace accusava il sovrano di aver
partecipato alla Terza Guerra Sacra per controllare le Termopili, acquistare fama e apparire nelle
vesti di chi personalmente aveva risolto il conflitto, e quindi indire i giochi Pitici. Solo qualche anno
dopo, nella II Filippica e nell'orazione Sull'ambasceria, attribuiva al re e non all'Anfizionia l'intera
responsabilità di aver reso serve Orcomeno e Coronea, potenziato Tebe, espulso dall'Anfizionia
alcuni suoi membri a vantaggio dei barbari Macedoni, privato Atene del diritto di consultare per
prima l'oracolo.
Anche in questo caso Filippo celebrò la sua vittoria sui Focesi allestendo una festa a cui ammise a
partecipare gli ambasciatori delle diverse città greche: il re e i convenuti offrirono sacrifici agli dei,
intonarono il peana, bevvero alla coppa dell'amicizia.Il re macedone fece della festa del 346 un'altra
occasione per dimostrare ai presenti il suo rispetto nei confronti del dio Apollo.
Gli abitanti di Delfi lo ringraziarono elevandogli una statua d'oro di fronte a quella di Apollo
delfico. Gli Anfizioni gli concessero la presidenza dei Giochi Pitici del 346 (carica che per primo
Apollo aveva ricoperto). Alcuni intellettuali greci composero opere celebrative: Callistene,
Aristotele e il retore Leone di Bisanzio composero la Lista dei vincitori ai Giochi Pitici. Cefisodoro,
allievo di Isocrate, fu anch'egli autore di un'opera sulla guerra sacra; ripresero il tema Eforo,
Teopompo, Antipatro di Magnesia e Speusippo.
Rimanevano i sospetti degli Spartani e la diffidenza degli Ateniesi.
Tra guerra e pace, tra libertà e tirannide
1. La liberazione della Tessaglia
L'epilogo della guerra sacra riaccese ad Atene le ragioni degli antimacedoni. Per questo la città non
partecipò ai Giochi Pitici e non inviò alcun rappresentante alla riunione del consiglio anfizionico,
risultando così inadempiente agli obblighi di membro del consiglio stesso.
Ma Filippo evitò di esacerbare gli animi degli Ateniesi sia tollerandone la mancata partecipazione al
suo fianco nel conflitto sacro sia riaprendo il dialogo con una serie di concessioni. Fece loro una
serie di promesse (scrive Eschine nel Discorso contro Timarco) e decise di lasciare Delo sotto il
loro controllo. Conclusa la guerra sacra, per la Grecia sembrò cominciare un periodo di pace; ma
Filippo, scrive Diodoro, aveva altri progetti.
1. spedizione contro gli Illiri
2. riorganizzazione politica della Tessaglia.
- espulse gli Alevadi di Larissa (rafforzando così l'oligarchia di Farsalo)
- impose guarnigioni a Fere
- divise la regione in tetrarchie, ognuna affidata a un suo fedelissimo
Gli Alevadi, da alleati, divennero i tiranni contro cui Filippo era stato chiamato a condurre la sua
spedizione al fine di ripristinare la libertà dei Tessali (lettura sostenuta anche da filomacedoni come
Isocrate e Speusippo, contro cui si scagliarono Demostene e Teopompo).
Un atteggiamento bifronte, dunque, quello del re verso la Tessaglia e gli Alevadi, ricordato anche
da una fonte tarda come Polieno; egli racconta che il sovrano si impadronì della Tessaglia non con
le armi ma con stratagemmi, come la benevolenza verso i vinti o l'essere amico del popolo.
2. Guerra per la pace
344: Filippo promise di inviare aiuti in denaro e truppe ad Argivi, Messeni e altre comunità del
Peloponneso in funzione antispartana; Atene reagì, mandando nel Peloponneso una delegazione
guidata da Demostene per tentare di convincere le diverse comunità a rompere l'alleanza con
Filippo, in ragione del fatto che Filippo era un tiranno nemico della libertà. Le accuse di Demostene
non rimasero inascoltate.
Dalla parte di Filippo invece c'era Isocrate. In una lettera esortava il re a compiere imprese sicure e
illustri e a non suscitare ansie inutili tra gli amici e infondate speranze tra i nemici, lo invitava
inoltre a comportarsi con gli Ateniesi in modo altrettanto benevolo che con i Tessali. Gli proponeva
inoltre nuovamente il progetto di una spedizione in Asia contro i Persiani. In funzione di questa
impresa invitava il re a cercare l'amicizia con Atene concedendole benefici, dal momento che
nessuna città sarebbe stata più utile.
343: Filippo non mancò di replicare alle accuse inviando ad Atene un'ambasceria guidata da Pitone
di Bisanzio, allievo di Isocrate (il discorso è ricordato dall'oratore antimacedone Egesippo nello
scritto Su Alosenno). Filippo accusava gli Ateniesi di aver dimenticato la sua amicizia e
benevolenza. Proponeva inoltre di rivedere gli accordi del 346 ed estendere a tutti i Greci la pace
trasformandola in una sorta di pace comune che impegnasse i contraenti a intervenire contro
chiunque avesse osato violarla.
Nonostante Demostene avesse replicato a Pitone e si vantasse di aver prevalso (Sulla corona), i
discorsi dell'emissario di Filippo ebbero un impatto positivo sull'opinione pubblica ateniese: poco
dopo infatti la città negò il suo aiuto al re di Persia Artaserse III Ocho nella la spedizione in Egitto.
Anche Speusippo si mise in evidenza agli occhi del re: nel 343, forse proprio dopo l'ambasceria di
Pitone e della lettera di Isocrate al re, il filosofo scrisse una lettera a Filippo in cui difendeva con più
forza rispetto a Isocrate le azioni militari e le scelte politiche del re, proponendo per la sua scuola e
per l'allievo Antipatro di Magnesia un posto di primo piano alla corte macedone.
Ma la pace con Atene fu un nulla di fatto. Inoltre la situazione fu peggiorata dal sostegno di Filippo
alle fazioni filomacedoni di Megara, dell'Elide, dell'Arcadia e dell'Eubea. Ancora una volta Filippo
mandò una lettera agli Ateniesi in cui promise benefici alla città se solo non avesse dato retta ai
sicofanti calunniatori.
Replicando al re, l'antimacedone Egesippo esortò invece a punire severamente hi avesse dimostrato
benevolenza verso il sovrano più che verso la patria e rivendicò la libertà di parola per gli oratori
ateniesi, oltre che citare la questione dell'isola di Alonneso (Filippo aveva fatto passare per