Riassunto esame Storia greca, prof. Antonetti, libro consigliato Filippo il Macedone, Squillace
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- Filippo non avrebbe dovuto rafforzare i Tebani nella Grecia centrale, che invece devastarono la
Focide e ridussero la popolazione in schiavitù
Peraltro Filippo, avendo affidato il comando nelle operazioni ai Tebani, si era liberato di ogni
responsabilità nella condanna dei Focesi.
La conduzione del conflitto fu aspra: scrive Giustino che Filippo fece uso dell'inganno e attaccò i
nemici all'improvviso, dopo aver promesso di risparmiarli.
Diodoro scrive che la punizione ai sacrileghi fu dura; il consiglio anfizionico infatti:
1. vietò ai vinti l'acquisto di cavalli e armi fino al completo pagamento dell'indennità di guerra
2. maledisse e rese passibili di arresto in tutta la Grecia quanti avevano preso parte al saccheggio
3. decretò la totale distruzione delle città focesi
4. il trasferimento della popolazione in villaggi di massimo 50 case e distanti l'un l'altro almeno
uno stadio
5. il pagamento annuale al tempio da parte dei Focesi di 50 talenti, fino al completo rimborso delle
ricchezze di cui si erano impossessati
6. affidò a Filippo, ai Beoti, e ai Tessali l'organizzazione dei Giochi Pitici
7. fece spezzare le armi dei Focesi e dei mercenari contro le rocce
8. stabilì regole precise nella cura dell'oracolo e in questioni riguardanti il culto, imponendo pace e
concordia tra i Greci
Filippo, una volta sconfitti i Focesi, subentrò loro nel consiglio anfizionico, del quale ebbe il
controllo. Demostene coniò il termine "filippizzare" per definire l'atteggiamento condiscendente dei
Greci nei confronti del re in seguito alla vittoria sui Focesi.
Dunque, pur avendo giocato un ruolo importante nella risoluzione del conflitto e tratto vantaggi
dall'eliminazione dei Focesi, il re macedone si presentò come esecutore materiale di risoluzioni
adottate dal consiglio anfizionico; la triste sorte dei Focesi fu perciò determinata solo dai Greci. Se
il consiglio anfizionico aveva decretato la punizione dei Focesi, lo stesso Apollo aveva punito i
sacrileghi: Diodoro per esempio narra che vi era stato un incendio nel santuario di Apollo ad Abe,
dove si era rifugiato un gruppo di Focesi in seguito a un attacco dei Beoti; il castigo divino aveva
colpito poi i diversi comandanti focesi: Filomeno, Onomarco, Faillo, Faleco.
Fu proprio l'attacco ai Focesi e la vittoria su di essi ad alimentare nuovamente le ostilità degli
Ateniesi verso Filippo. Demostene nel suo discorso Sulla pace accusava il sovrano di aver
partecipato alla Terza Guerra Sacra per controllare le Termopili, acquistare fama e apparire nelle
vesti di chi personalmente aveva risolto il conflitto, e quindi indire i giochi Pitici. Solo qualche anno
dopo, nella II Filippica e nell'orazione Sull'ambasceria, attribuiva al re e non all'Anfizionia l'intera
responsabilità di aver reso serve Orcomeno e Coronea, potenziato Tebe, espulso dall'Anfizionia
alcuni suoi membri a vantaggio dei barbari Macedoni, privato Atene del diritto di consultare per
prima l'oracolo.
Anche in questo caso Filippo celebrò la sua vittoria sui Focesi allestendo una festa a cui ammise a
partecipare gli ambasciatori delle diverse città greche: il re e i convenuti offrirono sacrifici agli dei,
intonarono il peana, bevvero alla coppa dell'amicizia.Il re macedone fece della festa del 346 un'altra
occasione per dimostrare ai presenti il suo rispetto nei confronti del dio Apollo.
Gli abitanti di Delfi lo ringraziarono elevandogli una statua d'oro di fronte a quella di Apollo
delfico. Gli Anfizioni gli concessero la presidenza dei Giochi Pitici del 346 (carica che per primo
Apollo aveva ricoperto). Alcuni intellettuali greci composero opere celebrative: Callistene,
Aristotele e il retore Leone di Bisanzio composero la Lista dei vincitori ai Giochi Pitici. Cefisodoro,
allievo di Isocrate, fu anch'egli autore di un'opera sulla guerra sacra; ripresero il tema Eforo,
Teopompo, Antipatro di Magnesia e Speusippo.
Rimanevano i sospetti degli Spartani e la diffidenza degli Ateniesi.
Tra guerra e pace, tra libertà e tirannide
1. La liberazione della Tessaglia
L'epilogo della guerra sacra riaccese ad Atene le ragioni degli antimacedoni. Per questo la città non
partecipò ai Giochi Pitici e non inviò alcun rappresentante alla riunione del consiglio anfizionico,
risultando così inadempiente agli obblighi di membro del consiglio stesso.
Ma Filippo evitò di esacerbare gli animi degli Ateniesi sia tollerandone la mancata partecipazione al
suo fianco nel conflitto sacro sia riaprendo il dialogo con una serie di concessioni. Fece loro una
serie di promesse (scrive Eschine nel Discorso contro Timarco) e decise di lasciare Delo sotto il
loro controllo. Conclusa la guerra sacra, per la Grecia sembrò cominciare un periodo di pace; ma
Filippo, scrive Diodoro, aveva altri progetti.
1. spedizione contro gli Illiri
2. riorganizzazione politica della Tessaglia.
- espulse gli Alevadi di Larissa (rafforzando così l'oligarchia di Farsalo)
- impose guarnigioni a Fere
- divise la regione in tetrarchie, ognuna affidata a un suo fedelissimo
Gli Alevadi, da alleati, divennero i tiranni contro cui Filippo era stato chiamato a condurre la sua
spedizione al fine di ripristinare la libertà dei Tessali (lettura sostenuta anche da filomacedoni come
Isocrate e Speusippo, contro cui si scagliarono Demostene e Teopompo).
Un atteggiamento bifronte, dunque, quello del re verso la Tessaglia e gli Alevadi, ricordato anche
da una fonte tarda come Polieno; egli racconta che il sovrano si impadronì della Tessaglia non con
le armi ma con stratagemmi, come la benevolenza verso i vinti o l'essere amico del popolo.
2. Guerra per la pace
344: Filippo promise di inviare aiuti in denaro e truppe ad Argivi, Messeni e altre comunità del
Peloponneso in funzione antispartana; Atene reagì, mandando nel Peloponneso una delegazione
guidata da Demostene per tentare di convincere le diverse comunità a rompere l'alleanza con
Filippo, in ragione del fatto che Filippo era un tiranno nemico della libertà. Le accuse di Demostene
non rimasero inascoltate.
Dalla parte di Filippo invece c'era Isocrate. In una lettera esortava il re a compiere imprese sicure e
illustri e a non suscitare ansie inutili tra gli amici e infondate speranze tra i nemici, lo invitava
inoltre a comportarsi con gli Ateniesi in modo altrettanto benevolo che con i Tessali. Gli proponeva
inoltre nuovamente il progetto di una spedizione in Asia contro i Persiani. In funzione di questa
impresa invitava il re a cercare l'amicizia con Atene concedendole benefici, dal momento che
nessuna città sarebbe stata più utile.
343: Filippo non mancò di replicare alle accuse inviando ad Atene un'ambasceria guidata da Pitone
di Bisanzio, allievo di Isocrate (il discorso è ricordato dall'oratore antimacedone Egesippo nello
scritto Su Alosenno). Filippo accusava gli Ateniesi di aver dimenticato la sua amicizia e
benevolenza. Proponeva inoltre di rivedere gli accordi del 346 ed estendere a tutti i Greci la pace
trasformandola in una sorta di pace comune che impegnasse i contraenti a intervenire contro
chiunque avesse osato violarla.
Nonostante Demostene avesse replicato a Pitone e si vantasse di aver prevalso (Sulla corona), i
discorsi dell'emissario di Filippo ebbero un impatto positivo sull'opinione pubblica ateniese: poco
dopo infatti la città negò il suo aiuto al re di Persia Artaserse III Ocho nella la spedizione in Egitto.
Anche Speusippo si mise in evidenza agli occhi del re: nel 343, forse proprio dopo l'ambasceria di
Pitone e della lettera di Isocrate al re, il filosofo scrisse una lettera a Filippo in cui difendeva con più
forza rispetto a Isocrate le azioni militari e le scelte politiche del re, proponendo per la sua scuola e
per l'allievo Antipatro di Magnesia un posto di primo piano alla corte macedone.
Ma la pace con Atene fu un nulla di fatto. Inoltre la situazione fu peggiorata dal sostegno di Filippo
alle fazioni filomacedoni di Megara, dell'Elide, dell'Arcadia e dell'Eubea. Ancora una volta Filippo
mandò una lettera agli Ateniesi in cui promise benefici alla città se solo non avesse dato retta ai
sicofanti calunniatori.
Replicando al re, l'antimacedone Egesippo esortò invece a punire severamente hi avesse dimostrato
benevolenza verso il sovrano più che verso la patria e rivendicò la libertà di parola per gli oratori
ateniesi, oltre che citare la questione dell'isola di Alonneso (Filippo aveva fatto passare per dono
quella che era una restituzione).
Il clima antimacedone è confermato da due processi contro esponenti filomacedoni che ci
avvennero ad Atene nel 343:
1. contro Filocrate, il quale venne accusato da Iperide di essersi lasciato corrompere dal re
macedone. Se ne andò volontariamente in esilio evitando il processo
2. contro Eschine, il quale venne accusato da Demostene di aver agito contro gli interessi della
città nel corso di una delle ambascerie a Filippo per la stipula della pace. Ci fu la piena
assoluzione dell'imputato
Gli antimacedoni fecero un'ambasceria al re di Persia e affidarono a Demostene e a Callia di
Calcide una missione diplomatica del Peloponneso al fine di creare un fronte antimacedone; gran
parte dei peloponnesiaci aderirono alla guerra contro il re.
L'invio dell'ennesima lettera da parte di Filippo è prova di quanto l'attività diplomatica degli
antimacedoni lo spaventasse. Filippo si disse nuovamente amareggiato per l'atteggiamento degli
Ateniesi e accusò gli Ateniesi di essere caduti nell'ingiustizia, prendendo spunto dal tentativo di
stipulare un'alleanza difensiva col re persiano contro i Macedoni.
Scrisse inoltre che Alonneso grazie a lui era stata liberata dai pirati e dal loro capo Sostrato e
censurava il comportamento degli oratori ateniesi; ribadiva la legittimità del suo potere su Anfipoli
e si diceva pronto a reagire a ogni provocazione in nome di una giustizia divina.
La guerra scoppiò in seguito a:
- attacco del re alle postazioni ateniesi a Perinto e Bisanzio
- cattura della flotta commerciale di Atene
Ma già tra il 343 e il 341 Filippo aveva condotto manovre contro:
- l'Epiro di Aribba: al suo posto aveva insediato Alessandro il Molosso
- il regno di Tracia di Chersoblepte: venne del tutto sottomesso
- il regno di Scizia: assoggettato dopo la morte in battaglia del re Atea.
A esse erano seguite le manovre dello stratego ateniese contro:
- il territorio di Cardia, città alleata a Filippo, ad opera dello stratego ateniese Diopete, a sostegno
dei coloni ateniesi stanziati sull'Ellesponto. Demostene aveva difeso nel suo discorso Sui fatti del
Chersoneso, seguito dalla III Filippica.
La dichiarazione di guerra di Atene al re fu sancita dalla richiesta di Demostene all'assemblea di
ritenere violate e quindi nulle tanto la pace quanto l'alleanza (Sulla corona). Questo giustificava la
guerra a Filippo e la richiesta di aiuto ai Persiani: una guerra che ancora una volta aveva come
nemico un barbaro (non più i Persiani ma i Macedoni) e come fine la difesa della libertà greca.
3. Ancora paladino di Apollo
Iniziò così la cosiddetta Quarta Guerra Sacra, la quale finì per rafforzare sul piano militare e
ideologico le ragioni di Filippo.
Scrive Demostene nello scritto Sulla corona che, poiché gli Anfissei coltivarono un territorio sacro
e vi pascolarono il bestiame, impedendo con la forza lo svolgimento del congresso generale dei
Greci, si recherà da Filippo Cottifo d'Arcadia e gli chiederà aiuto, conferendogli, in nome del
ripristino della giustizia di Apollo, pieni poteri (strategos autocrator). Ancora una volta Filippo
partecipò alla guerra legittimamente, a seguito di una esplicita richiesta.
Le vicende della guerra sacra si intrecciarono con il conflitto contro Atene che, schierata contro
Filippo, dovette porsi dalla parte degli Anfissei e quindi dell'ingiustizia.
La guerra sacra si chiuse rapidamente con la resa di Anfissa alle truppe anfizioniche.
Filippo conquistò Elatea (vicino alle Termopili); la notizia gettò nel panico gli Ateniesi e li indusse
a cercare alleati tra i Greci: Demostene riuscì a ottenere l'appoggio tebano (nonostante anche una
delegazione macedone, guidata da Pitone, si fosse recata a Tebe per chiedere alla città di allearsi).
Demostene promise a Tebe di affidarle il comando delle truppe e di far sostenere ad Atene due terzi
dei costi militari.
Benefattore, vendicatore, liberatore dei Greci
1. Rappresaglia e magnanimità
338: vittoria di Filippo sulla lega greca antimacedone (Atene, Tebe, Megara, Corinto, alcune
comunità dell'Acaia, Eubea, Acarnania) a Cheronea.
L'esercito macedone era composto da 30.000 fanti e 2.000 cavalieri (sul fronte greco non abbiamo
fonti precise).
Diodoro ci fornisce il racconto dello scontro: Filippo dispose il figlio Alessandro ad una delle ali,
mentre l'altra la comandò lui stesso. Gli Ateniesi divisero lo schieramento per etnia, affidando
un'ala ai Beoti, l'altra veniva comandata da loro stessi. Entrambe le parti subirono numerose perdite;
Alessandro ruppe per primo il fronte nemico e mise in difficoltà gli avversari, costringendoli alla
fuga. Anche il re allora fece lo stesso. Nella battaglia caddero 1.000 Ateniesi, 2.000 vennero fatti
prigionieri. Dopo la battaglia Filippo concesse le esequie ai caduti e compì sacrifici in onore degli
dei.
Inoltre impose presidi su Corinto e Ambracia e governi filomacedoni a Trezene, Megara, in
Acarnania ed Eubea, insediò la tirannide di Aristrato a Sicione; nel Peloponneso incrementò il
territorio di Messeni, Megalopolitani, Tegeati e Argivi, ai danni di quello degli Spartani.
Fu Tebe a subire la più dura repressione:
- racconta Diodoro che il re impose una guarnigione militare nella città
- Giustino narra che Filippo la obbligò al pagamento di un riscatto per il rilascio dei prigionieri e la
sepoltura dei morti; comminò ad alcuni Tebani la pena capitale, ad altri l'esilio; permise agli esuli
filomacedoni di rientrare in città affidandone il governo a 300 di essi.
- per Pausania il re fece rientrare in Beozia gli abitanti di Platea, Orcomeno e Tespie e consegnò
Oropo agli Ateniesi in funzione antitebana.
Dimostrò invece estrema benevolenza verso Atene, come racconta Polibio:
- rimandò indietro senza riscatto i prigionieri
- seppellì gli Ateniesi caduti
- ne affidò le ossa ad Antipatro
- rivestì quasi tutti quelli che lasciò andare
In questo modo gli Ateniesi erano stati colpiti nell'orgoglio e divennero suoi alleati: se Filippo
avesse infierito sui vinti, difficilmente questi avrebbero dato il proprio consenso ai suoi progetti
orientali.
Atene, dopo la disfatta, si affidò a Licurgo per riassestare il suo bilancio.
Con tale benevolenza, soprattutto verso i defunti, Filippo non solo mostrò di conoscere a fondo le
tradizioni della città, ma, permettendo la sepoltura dei corpi nel Ceramico, fece capire di volerle
rispettare. Paradossalmente il discorso di Demostene per i caduti a Cheronea finì per essere un
elogio al re macedone.
In altri modi Filippo beneficò Atene, a parte lo scioglimento della Seconda Lega Navale:
- consegnò Oropo
- lasciò il possesso di Lemno, Imbro, Scidro, Samo, Delo
- permise di mantenere la flotta
Si legò ad Atene con un trattato di amicizia e alleanza: la spedizione in Asia era imminente e a tal
fine Atene era indispensabile.
Gli Ateniesi affidarono il governo a forze filomacedoni e attribuirono onori a Filippo (gli
assegnarono la cittadinanza, gli elevarono una statua nell'Odeion, gli attribuirono onori nel ginnasio
di Cinosarge, forse lo proclamarono tredicesimo dio e gli eressero un tempio). Artefice della pace e
degli onori fu l'oratore Demade.
2. La vendetta contro i Persiani
337: pace di Corinto tra i Greci e Filippo. Assicurò la pace alla Grecia e la legò a Filippo e alla
monarchia macedone. L'accordo interessò tutto il mondo greco tranne Sparta.
A distanza di poco tempo il nuovo organo (definito nel trattato sinedrio comune) riunitosi a Corinto,
designò Filippo come comandante in capo (strategos autocrator) dei Greci pronti ormai ad
affrontare il comune nemico persiano.
Sebbene i Greci non avessero alternative alla ratifica del contratto, Diodoro elenca le ragioni che
avrebbero persuaso i Greci a sottoscriverlo: nel presentare la guerra ai Persiani, la propaganda di
Filippo riprendeva il tema della libertà dei Greci dalla tirannide, accostando l'impresa alle guerre
persiane.
La spedizione iniziò non prima di aver consultato gli dei, scrive Diodoro: Filippo mandò
preventivamente in Asia Attalo e Parmenione con una parte delle truppe e con l'ordine di liberare le
città greche; egli intanto interpellò la Pizia sull'esito del conflitto; l'oracolo fu ambiguo, ma Filippo
preferì interpretarlo a suo favore.
Dopo la profezia, Filippo preparò sacrifici agli dei e a Ege celebrò le nozze della figlia Cleopatra
con Alessandro il Molosso, fratello di Olimpiade e re d'Epiro; alla festa volle che partecipassero
anche moltissimi Greci: intendeva manifestare la sua amicizia ai Greci e ringraziarli dell'egemonia
concessagli. A Ege giunsero così ambasciatori dalle città più importanti della Grecia, i quali
onorarono il sovrano offrendogli corone d'oro; lo stesso fecero gli Ateniesi. Nel corso del simposio
l'attore tragico Neottolemo, su incarico di Filippo, recitò versi che auspicavano il rovesciamento del
re di Persia e il successo del sovrano macedone (ma il brano si rivelò un presagio della morte di
Filippo).
L'ottimismo sull'esito della spedizione servì anche a cementare Greci e Macedoni intorno al loro
capo che si proponeva nuovamente nelle vesti di re giusto e pio; Ege era una città antica sede dei re
Macedoni e delle loro sepolture, conferiva alla festa e alle celebrazioni la suggestione necessaria a
conquistare o rafforzare il sostegno dei presenti a Filippo e al regno, secondo il trattato di Corinto.
Tuttavia non andò tutto secondo i piani: Pausania di Orestide, una guardia del corpo, avendo subito
violenza da Attalo, assassinò pugnalate Filippo, il quale aveva la colpa di non aver condannato
l'ufficiale; dunque un fatto strettamente privato mandava in frantumi il progetto asiatico.
La morte di Filippo lasciò il regno macedone in preda alla confusione: sebbene l'erede più
accreditato fosse Alessandro, il matrimonio di Filippo con Cleopatra apriva l'ipotesi di una
successione interamente macedone.
Alla notizia dell'assassinio di Filippo gli Ateniesi esultarono, conclusero un trattato di mutua
assistenza con Attalo e invitarono nuovamente le città greche a ribellarsi ai Macedoni e a
rivendicare la propria libertà. Demostene manifestò apertamente la sua gioia: fece elevare ad Atene
un altare in onore del regicida Pausania, offrì sacrifici di ringraziamento agli dei per la buon notizia
e si lasciò andare a insulti verso Alessandro.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giulia.Rossi di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Ca' Foscari Venezia - Unive o del prof Antonetti Claudia.
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