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Mozzoni e Paolina Schiff: il femminismo italiano si trasforma in movimento politico. In ogni caso,
il ruolo principale della donna – per quanto paritario – doveva rimanere in seno alla famiglia. Il
terreno d'azione era la previdenza e l'assistenza sociale, in particolare la tutela della maternità.
Mozzoni fu la più importante pensatrice femminista di fine '800, e dalla rivista “La donna”
esponeva principi liberali ed egualitari.
L'orientamento politico delle Leghe era vario, ma una rivista funzionava per coordinarle: “Vita
femminile”. Le Leghe vennero represse dopo i “fatti di maggio” (1898) e ben presto apparvero
nuove organizzazioni di coordinamento nazionale, prima tra tutte l'Associazione per la donna. Il
Partito socialista era ufficialmente a favore dell'emancipazione femminile e reclutava attivamente
donne, ma dava poi un sostengo altalenante su questioni come il suffragio: la classe era comunque
più importante del genere.
La figura di Anna Kuliscioff è ed è stata molto dibattuta: si trovò in minoranza all'interno del PSI
per aver detto che la questione della donna non era un problema solo economico, ma anche e
sopratutto culturale. Fu poi criticata da molte (Mozzoni in primis) per l'appoggio alla nuova
legislazione sociale del 1902 sul lavoro femminile, che secondo alcuni mirava ad espellere il lavoro
femminile dal mercato del lavoro.
Nel 1905 viene fondata l'Unione femminile nazionale, improntata a un femminismo pratico:
assistenza di donne in difficoltà. Provò a gettare le fondamenta di uno stato sociale con gli Uffici
indicazioni e assistenza, che ebbero un notevole successo, sebbene spesso i toni delle donne
(borghesi) che vi prestavano servizio erano moraleggianti nei confronti delle assistite. Sono molte le
voci critiche nei confronti dell'Ufn, ma Buttafuoco ha individuato nell'Unione i prodromi del
femminismo anni '70, soprattutto nel concetto di equivalenza che sostituisce quello di uguaglianza
(ovvero uguaglianza nella differenza). Il femminismo pratico, secondo lei, ha avuto come punto di
froza l'idea che l'acquisizione di consapevolezza delle donne attive nel mondo avrebbe aiutato altre
donne ad emanciparsi.
Le donne cattoliche sottolineavano il ruolo materno: il cattolicesimo sociale ha inizio con la Rerum
Novarum del 1891.
Nel 1908 viene indetto a Roma il congresso del Consiglio nazionale delle donne italiane,
apparentemente laico, interclassista e apolitico ma in realtà fortemente conservatore e intenzionato a
contenere il sovvertimento sociale. Era formato soprattutto da artistorcratiche e altroborghesi.
All'interno del congresso sono rappresentate donne di tutte le forze sociali e politiche, ma si
producono fratture profonde all'interno del movimento (insegnamento della religione, divorzio,
aiuto statale alle casse di maternità).
Nel dicembre 1908 viene fondata l'Unione donne cattoliche d'Italia, sottoposta al saldo controllo del
Vaticano: nonostante la forte gerarchia, le sezioni locali ebbero una discreta indipendenza che aiutò
a modernizzare la figura della donna cattolica.
La lotta per il suffragio fu difficile: fu proposto di appoggiare candidati favorevoli alla causa,
scontentando così le socialiste. Un'altra grave frattura (la prima, secondo Buttafuoco) ci fu con la
guerra di Libia, in cui alcune donne (Labriola e il Cndi) appoggiarono l'impresa, convinte che il
governo avrebbe ricambiato con il suffragio: la Kuliscioff chiese alle socialiste di abbandonare i
comitati pro suffragio, il PSI condannò la doppia militanza. Soltanto nel 1911 il PSI si risolse ad
appoggiare apertamente e politicamente il suffragio femminile.
Capitolo 3 – Sul fronte interno: la Grande Guerra (1915-1920)
Il sovvertimento dei ruoli di genere durante una guerra è sempre temporaneo, e l'ordine viene
ristabilito con veemenza in tempo di pace. Inoltre, la guerra esalta in realtà le caratteristiche
stereotipiche di genere (la donna madre, l'uomo guerriero).
La guerra di trincea mette in crisi il canone tipico di virilità, che viene incarnato solo dagli arditi:
l'enfasi militarista fascista può essere interpretata come un tentativo di rimedio a una crisi identitaria
maschile.
La guerra esacerbò le differenze di classe presenti nel movimento femminista, schierando gli strati
popolari in campo antimilitarista e le classi più agiate in campo interventista. In ogni caso, la
maggioranza delle donne si dichiarò neutralista ma portò assistenza sociale assistendo le famiglie
dei combattenti. Nella fase finale della guerra, dall'assistenza si passò alla propaganda, avvicinando
una parte del movimento femminista ai sentimenti antidemocratici della destra nazionalista.
La produzione di uniformi e di vestiti militari era considerata una forma di assistenzialismo, e
perciò funzionava malissimo. Il salario era irrisorio (veniva considerato un'integrazione) e a volte il
lavoro veniva a mancare perchè scarseggiavano le materie prime. Inoltre, le organizzatrici del
lavoro erano volontarie e mancavano quindi di costanza e professionalità.
Nelle fabbriche, le donne non sostituirono gli uomini, ma andarono a occupare i nuovi ruoli nati
dalla moderna organizzazione del lavoro, così come nei lavori d'ufficio (dattilografe, telefoniste).
La prima guerra non causò veramente un aumento del lavoro femminile, perchè in sostanza
lavorarono soprattutto quelle che avrebbero lavorato comunque. Inoltre, i cambiamenti non
rimasero nel dopoguerra, e le donne vennero in gran parte licenziate – spesso sottolineando come il
loro lavoro in tempo di guerra fosse da considerarsi assistenziale, negando loro il sussidio di
disoccupazione -. In ogni caso, vennero introdotte alcune nuove normative di regolamentazione del
lavoro, permettendo alle donne l'accesso ad alcune professioni fino ad allora vietate (l'avvocatura,
ad esempio). In due occasioni furono presentate e approvate dalla Camera leggi per il suffragio
universale, ma in entrambi i casi non passarono al Parlamento.
Capitolo 4 - “Sposa e madre esemplare”: sotto la dittatura fascista
La maternità è un servizio da rendere alla patria. Oltre agli incentivi per la campagna demografica,
il fascismo rende più aspre le pene per chi procura aborti e per chi abortisce (era illegale anche
prima, ma poco applicata). La risposta della società non è però uniforme: i giudici tendono
comunque a comminare pene piuttosto basse e i medici che procurano aborti sono spesso protetti da
un velo di omertà dell'intera società, quando non acclamati pubblicamente.
L'istruzione femminile elementare era incentivata, perchè venivano assorbiti anche i messaggi e
l'ideologia di regime, ma quella superiore osteggiata. In particolare, il maggior afflusso femminile
alle scuole magistrali preoccupava i fascisti, che ritenevano che i bambini dovessero avere in classe
dei modelli virili.
Capitolo 5 – Per la patria (o per la Chiesa): mobilitazione di massa durante il ventennio
fascista
Le organizzazioni femministe vennero per la maggior parte abolite, o ridotte solo a ruoli
assistenziali. Solo l'UDCI si sviluppò, accrescendo il numero delle iscritte cercando consensi nelle
giovani, con l'appoggio del Papa. Proponeva un'idea molto tradizionale dei ruoli di genre,
osteggiando le spinte modernizzatrici.
Il primo Fascio femminile fu fondato a Monza nel 1920 (solo nove erano le donne in Piazza San
Sepolcro). Nello statuto del PNF i Fasci femminili vennero posti sotto il controllo dei dirigenti del
Fascio: il loro scarso interesse, però, poiché il fascismo doveva essere maschio, permise in realtà un
ampio margine di movimento alle donne. Nel 1927 Turati, successore di Farinacci, diede un giro di
vite al femminismo fascista – in coincidenza con la campagna demografica -. Si diffuse però
l'assistenza sociale fascista quando le donne vennero chiamate a tesserarsi e a militare attivamente:
non c'era alcuna traccia di emancipazionismo, ma era un efficace strumento di propaganda,
soprattutto per arrivare agli strati più poveri della popolazione.
Le sezioni create per riunire le lavoranti (SOLD, lavoranti a domicilio, e Massaie Rurali) diventano
negli anni '30 fondamentali per ricevere assistenza sociale e per trovare lavoro; inoltre, l'iscrizione
costa meno che quella ai Fasci Femminili.
I gruppi femminili giovanili partecipavano ad “attività demografiche” (economia domestica,
esercitazioni con le bambole, orto, pronto soccorso...) e attività assistenziali. Venne incentivato lo
sport femminile (in particolare quello che formava alla leggiadria) e le insegnanti vennero formate
all'Accademia femminile nazionale di educazione fisica di Orvieto (1932), che aveva una retta alta
ma una buona possibilità di accedere alle borse di studio.
Capitolo 6 – La guerra raggiunge le donne (1940-1945)
Sotto il razionamento, c'è un temporaneo ribaltamento di forza tra popolazione contadina e urbana.
La prima azione di resistenza femminile è il “maternage diffuso” nei confronti degli uomini dopo l'8
settembre. Il ruolo materno è spesso scelto come chiave narrativa nei racconti di resistenza
femminile, perchè è l'unico caso in cui sia socialmente accettato che la donna si a più forte
dell'uomo, ed è inoltre un ruolo asessuato.
Nella Repubblica di Salò venne istituito un corpo militare femminile (Saf), addestrato come gli
uomini ma che non combatté mai, limitandosi a ruoli di assistenza di guerra.
Il governo dell'Ossola ebbe un ministro donna.
Capitolo 7 – Trasferirsi in città: nuovi ruoli sociale ed economici (1945 – 1967)
Nel '50 viene varata una nuova legge proposta da Teresa Noce per allungare il congedo di maternità
ed estenderlo a nuove categorie, proibire il licenziamento in gravidanza e fino al primo anno di età
del bambino. Nella pratica, scoraggiò i datori di lavoro ad assumere le donne.
“L'era della casalinga”: esserlo rappresenta quasi una conquista del benessere, la possibilità di
essere buone madri.
La modernità e l'arrivo degli elettrodomestici sono presentati come un'opportunità per la casalinga
stessa, che può dedicarsi ad altri compiti (aiuto dei figli, standard di pulizia più elevati). Inoltre,
significano una progressiva reclusione della donna, che prima doveva uscire per svolgere alcuni
lavori.
L'ONMI proseguì la sua opera, e venne mantenuto il codice civile del '42. Aborto e divorzio
continuarono a non essere legali, e fino al 1971 fu proibita la diffusione di materiale informativo
sugli anticoncezionali. Nel 1953 venne fondata l'AIED, oggetto di repressione