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Vedi Depero e Giacomo Balla
Dadaisticità intrinseca della fotografia
Bisogna riconoscere una autentica e originale coincidenza tra la poetica della corrente avanguardistica del dadaismo e il ruolo complessivo interpretato dalla fotografia nei confronti delle arti visive. Il parallelismo, che fu teorizzato da Cravan*, si fonda su alcuni fattori fondamentali che si sposano pienamente con la filosofia dadaista: la fotografia è estranea al sistema tradizionale delle belle arti, si contrappone anzi alla pittura e riesce a sostituire l'arte con la vita. È evidente che dichiarare che la fotografia è estranea alle belle arti non significa precludere una sua partecipazione ad una diversa dimensione del fenomeno, come che dire che è contrapposta alla pittura vuol dire saltare la precedente disputa nata allo sviluppo della fotografia e separarle, nonostante le apparenti somiglianze, concettualmente. La fotografia insomma, per Cravan, sembra essere dadaista quasi
percepire il potenziale artistico della fotografia. Questo nuovo approccio dadaista alla fotografia si basa sull'idea di sfruttare le possibilità tecniche offerte dalla macchina fotografica per creare immagini che siano autonome e indipendenti dalla pittura tradizionale. Nel dadaismo, la macchina fotografica diventa il centro dell'attenzione e gli artisti dadaisti si dedicano a studi approfonditi sulle potenzialità del mezzo. Questa scelta potrebbe sembrare ovvia in un'epoca in cui il futurismo aveva già esaltato i vantaggi della tecnologia, ma nel dadaismo si assiste a una vera e propria rivoluzione: i dadaisti adottano un atteggiamento operativo nei confronti della fotografia, passando da un principio teorico e formale a un approccio pratico. Il risultato di questa rivoluzione è che i fotografi possono rappresentare gli oggetti in maniera oggettiva, senza essere censurati dagli artisti. Al contrario, gli artisti dadaisti sembrano finalmente comprendere e apprezzare il potenziale artistico della fotografia.costretti ad inseguire. Con l'apporto dei ready mades di Duchamp, la rivoluzione è completa: la manualità non è più verifica e controllo dell'artisticità; il reale può essere esibito direttamente, prescindendo da qualsiasi forma di manipolazione da parte dell'autore; è l'atto mentale che fa di un'opera, un'opera d'arte. Vedi Duchamp, Mulas6.
Il Dadaismo come fotografia
Con Duchamp ci si trova, forse per la prima volta davanti alla figura non più del fotografo che tende all'arte, ma a quella dell'artista che utilizza la fotografia (questo non significa che il fotografo non possa essere considerato un artista, ma si preferisce intendere come fotografo un operatore rigidamente legato alle specificità tecniche del mezzo, convinto che la fotografia marci per conto proprio, con proprie regole). Diverso è l'atteggiamento dell'artista che utilizza la fotografia, tanto
che in generale la sua produzione appare caratterizzata da un esplicito disinteresse per la tecnica: Duchamp ne è un chiaro esempio in lui è il rifiuto di un buon utilizzo del mezzo e addirittura della manualità, tanto da essere difficilmente considerato un autore fotografico. Bisogna sempre tenere conto però, come suddetto, che la fotografia non smette nemmeno per un attimo di avere un ruolo da protagonista, poiché senza di esse tutte le idee di Duchamp (realizzate spesso in collaborazione con Man Ray) non sarebbero state possibili. La maggior parte dei lavori di Duchamp, dei suoi "ritratti", si basano infatti su proprietà appartenenti solo alla fotografia: quello che ad esempio Barthes ha definito come il "noema" della fotografia, e cioè la sua capacità di rendere indiscutibile l'esistenza dell'oggetto (o della persona) rappresentata nella foto. Queste ed altre proprietà,All'apparenza potrebbero sembrare addirittura anti artistiche, ma assumono una valenza con Duchamp che non solo gli permette una rivalsa, ma permette anche che l'arte contemporanea vada in certe direzioni a discapito di altre. Anche Francis Picabia indirizza le proprie attenzioni non all'espressività formale dell'immagine ma alle sue capacità di nominazione linguistica, con il significato dell'opera "fornito dalla sostituzione di un segno con un altro segno lungo un'asse di contiguità metonimica interrotta dallo scarto metaforico del titolo". Man Ray, al contrario dei due suddetti, fu invece fotografo nel senso pieno del termine, tanto da lavorare professionalmente per la pubblicità e la moda. La contraddizione e l'ambiguità che contraddistinguevano i suoi lavori, hanno comunque caratterizzato l'intera parabola creativa di un artista per il quale fotografia, pittura, ready made, aerografo e altre.
erano tecniche assolutamente intercambiali, senza privilegi e preferenze, restando il senso dell'opera legato alla sua idea. Fu questo pensiero a permettergli di spaziare tra i vari settori, percorrendo in ognuno di essi strade differenti, se non addirittura opposte. Con questo modo di fare, Man Ray è stato capace di essere da un lato impeccabile e sapiente utilizzatore dell'obiettivo, e dall'altro audace sperimentatore di novità. È proprio il poliedrico artista a fornire spunti per l'eterna disputa tra foto e pittura che trova, dalle sue parole, le seguenti considerazioni: la fotografia permette di dipingere con la luce e le sostanze chimiche, la sua duttilità equivale a quella del pennello, è semplicemente la sua versione moderna, sono una il prolungamento dell'altra. Un orientamento fondamentalmente non anti-pittorico, quasi come se il fotografo non fosse conscio di tutte le novità operative connesse all'uso dello strumento.
in maniera ancora più evidente nel suo caso. Lo stesso Man Ray, nelle sue dichiarazioni, lasciava chiaramente percepire le sue concezioni dipittura e fotografia, una diametralmente opposta all'altra, l'una "questione molto intima e personale" (la pittura) l'altra "un fatto pubblico". A emergere, in tutta la produzione fotografica di Man Ray, è comunque la sua idea, il suo tentativo di indicare una relazione particolare tra soggetto e oggetto all'interno della fotografia.6.1 Ambiguità del fotomontaggio
Nasce come risposta alle ben note critiche ottocentesche circa le difficoltà e i limiti che impediscono alla fotografia di essere considerata arte, indicato come una delle modalità per avvicinare il lavoro del fotografo a quello del pittore. L'errore era quello di non accorgersi che il fotomontaggio godeva comunque di una credibilità nettamente superiore al quadro, presentandosi come trucco che non
Appare o comunque, nei casi in cui era esplicitamente mostrato ma pure inconsciamente credibile. Il fotomontaggio trova piena e diffusa applicazione attorno al 1920 nell'ambiente dadaista tedesco, lontano da qualsiasi influenza delle teorie dechampiane, più vicino invece al dadaismo "mediano" di Schwitters. Il fotomontaggio oscilla tra il rifiuto dei canoni estetici tradizionali e il richiamo esercitato dal sistema pittorico e divide gli "addetti ai lavori" in chi si considera ingegnere più che fotografo e chi "dipinge con le fotografie". Un'analisi posteriore, ci spinge più vicini alla seconda opzione, rispetto alla prima: il fotomontaggio opera la sua ricostruzione simbolica della realtà in una superficie bidimensionale. Vedi Haussman e Hoch e Heartfield7. Impossibilità di una fotografia metafisica? Ad una prima impressione, sembrerebbe del tutto impossibile qualsiasi forma di contatto tra fotografia e metafisica.
Del resto era l'unico movimento che in quegli anni di generale entusiasmo per la modernità, proponesse un convinto recupero del passato e della tradizione. Gli ostacoli tra le due parti, che paiono in partenza bloccati e insormontabili, verranno man mano smantellati per dar vita al confronto. La più grande difficoltà nello stabilire un contatto riguardava il mezzo fotografico e l'effettiva mancanza di una pratica stilisticamente vicina ai moduli della pittura metafisica. Le idee che inquadravano il mezzo fotografico come uno straordinario strumento del modernismo erano assolutamente vere, ma non escludevano che contemporaneamente potessero farsi strada altre identità, minori di numero ma non di fascino e la mancanza di un punto di collisione fu escluso con le prime partecipazioni della fotografia alla poetica della Metafisica pur in assenza di immagini simili alle opere madri del genere (De Chirico su tutti). La fotografia può essere facilmenteconsiderata la tecnologia che ha modificato il nostro rapporto col passato, fino ad annullarlo concettualmente nel mantenimento virtuale permesso dalle registrazioni. DeChirico stesso, suggeriva per le sue opere le possibilità di conservazione, per avere tracce del passato. De Chirico provvede anche a dissimulare le varie interpretazioni sbagliate della metafisica che, intesa come totalmente estranea alla fisicità delle cose, non si sposa affatto con la fotografia, sostenendo e suggerendo un'interpretazione che coincide alla perfezione con quella di Proust. De Chirico racconta dello straniamento, il vedere cose diverse da come solitamente si vedono, del metafisico che passa proprio attraverso il rifiuto della cosiddetta memoria abitudinaria, dalla distruzione del codice. Proust, dalla sua, rimanda ad una visione dell'operatore fotografico come impassibile e rispettoso della meccanicità del suo strumento. L'estraneità espressa dal fotografoÈ l'intuizione assolutamente anticipata di un'identità fotografica caratterizzata dall'esaltante predominio della macchina. Fotografia e metafisica si ritrovano quindi a spingere entrambe verso l'andare oltre la superficie dell'immagine, un piccolo frammento di qualcosa nascosta, addensata nell'opera che osserviamo. 8. I due "grandi metafisici" Se nel complesso della ricerca artistica di inizio Novecento la presenza della metafisica incrina profondamente un orizzonte di ricerca in gran parte proteso alla ricerca del nuovo, qualcosa del genere si può dire accada anche per la fotografia, ugualmente divisa tra vigorose spinte moderniste e un ingombrante peso del passato, bollata in maniera sbrigativa dalla critica come una fase di sbandamento, la fotografia pittoricista. In realtà esistono casi differenti, dove il rifacimento esibisce i caratteri di una scelta consapevole. Se nella scrittural'intenzionalità citazionista è espressa dall'apposizione delle virgolette, in campo visivo la cosa è meno esplicita, ma ugualmente visibile da una voluta esagerazione dei tratti. È il caso di Wilhem von Gloeden, tedesco, considerato l'equivalente nella fotografia del pittore preraffaellita.