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MEDITATIONES, ORATIONES
Pagine ispirate al tema della preghiera, dell’oratio.
LA PREGHIERA: Partecipazione interiore con la fede. L’esperienza della fede suscita
nell’intelligenza dell’uomo, la capacità di avviare una scienza del vero: la mette in condizione
di partecipare, indirettamente, della conoscenza che Dio ha di se stesso e della sua
creazione. [ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO AGOSTINIANO “CREDO UT INTELLIGAM”]
GAUNILONE DI MARMOUTIER
Secondo alcune fonti, Gaunilone fu un monaco del Maius Monasterium, oggi Marmoutier, che
una tradizione vuole che fosse fondato dal vescovo Martino dopo il 371, e che sorge a due
miglia dalla città di Tours. Appartenente forse alla famiglia dei conti di Montigny, Gaunilone
entrò in questo convento nel 1044 e vi morì nel 1083.
Membro del movimento filosofico cristiano della Scolastica, divenne famoso per avere
criticato, nel suo Pro insipiente (Difesa dello stolto, 1070), [2] la prova ontologica
dell'esistenza di dioproposta da Anselmo d'Aosta nel Proslogion, nel quale questi, citando i
Salmi 14, 1 e 53, 1 - «Lo stolto ha detto in cuor suo: Dio non c'è» - aveva avanzato una
dimostrazione razionale dell'esistenza di Dio, di fronte alla quale nemmeno uno stolto avrebbe
potuto continuare a negare Dio.
POLEMICA CONTRO ANSELMO: Contestando la relazione tra pensiero e essere - fondamento
della «prova» anselmiana - Gaunilone sostiene che non si può dedurre l'esistenza di un
oggetto pensato per il solo fatto che esso esiste nella nostra mente. In particolare propose
l'argomentazione secondo la quale, a partire dal pensiero di un'isola perfetta, non si può
dedurre l'esistenza dell'isola stessa. Questa argomentazione era stata proposta per confutare
la tesi anselmiana che affermava l'esistenza di un essere supremo per il solo fatto che esso è
pensato come «ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore».
29 Storia della Filosofia Medievale
→ TESI ANSELMIANA: si può provare la reale esistenza di Dio, ossia dell'ente del quale
nulla si può pensare di più grande. In primo luogo, anche chi dubita o non crede in
questo ente siffatto, pensandolo e comprendendo ciò di cui si parla, lo ha già
nell'intelletto. In secondo luogo, sempre secondo Anselmo, «quel che egli capisce è
necessario che esista non solo nell'intelletto, ma anche nella realtà». Ora, un essere
che esista tanto nell'intelletto che nella realtà è sempre maggiore di un essere che
esista solo nell'intelletto e dunque un essere che esista solo nell'intelletto sarà sempre
minore di qualsiasi essere esistente nella realtà. Perciò, per non cadere in
contraddizione, è necessario che ciò di cui non si può pensare nulla di maggiore «non
sia nel solo intelletto, ma anche nella realtà, perché diversamente non potrebbe essere
il più grande di tutto». Una seconda dimostrazione presentata da Anselmo -
strettamente legata alla precedente - è quella della necessità dell'esistenza dell'ente
maggiore di ogni altro. Scrive Anselmo: «Questo ente esiste veramente in modo tale da
non potersi nemmeno pensare che non è». Infatti, si può pensare qualcosa che è
impensabile che non sia, cioè che deve esistere necessariamente, e questa cosa,
secondo Anselmo, è più grande di ogni cosa della quale si può pensare che non esista,
è cioè più grande di ogni essere contingente. Perciò, se si potesse pensare che l'essere
più grande non esista, questo essere più grande non sarebbe ciò di cui non si può
pensare qualcosa di più grande. «Ma ciò è contraddittorio», sostiene Anselmo, per il
quale «esiste veramente qualcosa di cui non si può pensare nulla di più grande, in
modo tale che non si possa nemmeno pensare che non sia. E questo sei tu, o Signore
[...] Se qualche mente potesse pensare qualcosa di meglio di te, la creatura salirebbe
più in alto del creatore: il che è assurdo».
→ OBIEZIONE DI GAUNILONE: La prima obiezione di Gaunilone è di carattere generale:
non tutto ciò che abbiamo nell'intelletto deve esistere necessariamente nella realtà.
Anche le cose false, infatti, sono presenti e comprese dall'intelletto, e tuttavia
certamente non esistono nella realtà.
Supponiamo però che «quell'ente sia tale, per cui lo si possa avere nel pensiero, ma
non allo stesso modo in cui si hanno le cose false o dubbie»: resta da dimostrare la
necessità che tale ente esista anche nella realtà. Infatti, se questo assunto fosse così
immediatamente evidente, «perché si è impostata tutta questa disputa contro chi nega
o dubita» dell'effettiva esistenza di Dio? Gaunilone rileva altresì che ciascuno potrebbe
ritenere logiche, e perciò intellettualmente vere, cose che in realtà sono false, essendo
«ingannato come sovente accade».
• ESEMPIO DEL PITTORE: Anselmo, pensando di dimostrare la reale esistenza
dell'ente compreso dall'intelletto, aveva portato (Proslogion II) l'esempio del
pittore: «quando il pittore pensa in anticipo a quel che farà, lo ha nell'intelletto,
ma non lo intende ancora come esistente, perché non l'ha ancora fatto. Quando
invece lo ha dipinto, lo ha nell'intelletto e capisce anche che esiste quel che ha
fatto». Quest'esempio - osserva Gaunilone - non dimostra nulla: il pittore, finché
non realizza l'opera, ha l'immagine del dipinto soltanto nell'intelletto e il dipinto
diviene reale solo dopo che è stato realizzato dal pittore. Solo il concreto operare
del pittore rende reale il dipinto, mentre Dio deve esistere ancor prima di essere
pensato e non può esistere solo perché viene pensato. «S'aggiunga poi» -
argomenta Gaunilone - «che quell'ente maggiore di tutte le cose che possono
essere pensate», cioè Dio, secondo la definizione di Anselmo, «io, quando ne ho
sentito parlare, non posso pensarlo né averlo nel mio intelletto secondo cosa
nota per specie e per genere». Dio, infatti, non è classificabile in un genere o in
una specie e perciò «posso anche pensare che non esista». Qui Gaunilone si
attiene alla logica aristotelica, secondo la quale ogni ente va definito secondo
categorie: così l'uomo è definito ente di genere animale e di specie razionale;
ora, «se sentissi dire qualcosa intorno a un certo uomo particolare, a me
sconosciuto al punto di ignorarne anche l'esistenza, io, per quella nozione di
genere o di specie grazie alla quale so che cosa è l'uomo o che cosa sono gli
uomini, potrei pensare di quel tale, secondo la sua natura, che egli è un uomo. E
tuttavia potrebbe succedere che chi mi ha parlato di quell'uomo abbia mentito, e
che perciò quell'uomo che io penso in realtà non esista». In questo caso, nel mio
30 Storia della Filosofia Medievale
intelletto non avrei la nozione di quell'uomo particolare ma soltanto la nozione
generale di essere umano.
Per la nozione di Dio le cose vanno invece diversamente: «mentre potrei pensare a
quell'uomo secondo realtà, vera e a me nota, a Dio non potrei pensare affatto, se non
secondo la parola, mediante la quale, da sola, a stento o mai si può pensare a qualcosa
di vero». Le parole «Dio» o «ente più grande di tutto», come suono di lettere e sillabe
sono reali, come è reale qualunqueflatus vocis, ma non lo sono quanto al loro
significato.
Una volta negata la presenza nella mente sia della nozione logica di Dio che della
nozione logica di «essere maggiore di ogni altro», non ha più motivo la deduzione di
Anselmo secondo la quale questo essere deva esistere anche fuori della mente. Per
Gaunilone la dimostrazione a priori è impossibile: «è necessario che io sia certo che
quel 'qualcosa di più grande' esista realmente in qualche luogo e allora finalmente, per
il fatto che quell'ente è il più grande di tutti, non vi sarà più dubbio che esso esiste
anche in se stesso».
• L’ISOLA PERDUTA: Per sottolineare che avere l'idea di una cosa nella propria
mente non significa necessariamente che quella cosa ideale esista anche nella
realtà, Gaunilone porta l'esempio dell'«Isola perduta»: Si sostiene che non si può
dubitare che quell'isola esiste veramente anche nella realtà, dal momento che
non si può dubitare che essa esista nell'intelletto, poiché, secondo Anselmo, se
quell'isola esistesse soltanto nell'intelletto, qualunque altra terra realmente
esistente le sarebbe superiore.
• L’ESSERE NECESSARIO: All'altra argomentazione di Anselmo, circa l'impossibilità
di pensare la non esistenza dell'ente più grande, in quanto «essere necessario»,
Gaunilone, dopo aver rilevato che la prova della sua esistenza fornita da
Anselmo è ancora fondata sul medesimo argomento - cioè che se non esistesse,
non sarebbe neanche l'essere più grande - sottolinea che «lo stolto» non ha mai
sostenuto che l'ente maggiore di tutto esista nella realtà: pertanto, occorrerebbe
provare prima che esso esiste veramente e solo dopo si potrà affermare che non
è possibile pensarlo non esistente. Dunque la necessità dell'esistenza di un
essere è subordinata alla prova dell'effettiva sua esistenza: non si può stabilire
prima la necessità dell'esistenza di un essere per dedurre poi l'esistenza reale di
questo essere. Occorre poi distinguere il «pensare» (cogitare) e il «pensiero»
(cogitatio) dall'«intendere» (intelligere) e dall'«intelligenza» (intellectus), non
dicendo, come Anselmo, che la sostanza somma non può essere pensata come
non esistente, ma piuttosto che non può essere intesa come non esistente:
«infatti, secondo proprietà di linguaggio, non si può intendere il falso, che invece
può esserepensato». Gaunilone conclude il suo opuscolo lodando la «verità,
chiarezza e grandiosità» delle rimanenti parti dello scritto di Anselmo, ricco di
«pii e santi sentimenti» che «odorano di un profumo penetrante».
Gaunilone non espresse con incisività la sua critica, che tuttavia può essere così riassunta:
secondo il