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Enrico. Purtroppo però Anselmo dovette riprendere la via dell'esilio già nel 1103, dato che

erano sorti nuovi motivi di contrasto con il sovrano, ma continuò le trattative con la corte

inglese finché riuscì a far prevalere il suo punto di vista sui beni ecclesiastici. Tornato nel

1106 in Inghilterra, morì a Canterbury nel 1109.

Una meditazione monastica. il Monologion. Il Monologion nasce dalle riflessioni

teologiche che avevano luogo all’interno del monastero di Le Bec: in questo contesto la

speculazione filosofica, la ricerca intellettuale diventa un tutt’uno con la preghiera, un

rivolgersi a Dio con la mente e la pura razionalità oltre che con il cuore. Anselmo dichiara

di aver scritto questo testo in accordo con le argomentazioni dei Padri della chiesa e

soprattutto di Agostino, di cui cita il De Trinitate, ma sottolinea l’originalità del proprio

approccio: ovvero quello di porsi nell’animo di un uomo che si interroga mentalmente tra

sé e tenta di comprendere cose che prima non aveva capito per arrivare a dimostrare la

verità della fede senza ricorrere all’autorità delle scritture, ma soltanto attraverso

argomenti necessari (rationes necessariae).

Fin dai primi paragrafi incontriamo alcuni dei problemi fondamentali del pensiero di

Anselmo, che già erano stati al centro della riflessione di autori come Boezio e Scoto

Eriugena: l’essenza di Dio, il rapporto fra Dio e le sue creature, il problema del sommo

bene e del libero arbitrio. Il metodo usato da Anselmo nella sua meditazione conferisce

piena legittimità all’uso della dialettica nelle dispute teologiche, affermando che per

mostrare la luce della verità bisogna argomentare attraverso rationes necessariae

piuttosto che basarsi sull’auctoritas scritturale. La razionalità per Anselmo non è però uno

strumento completamente slegato dalla verità manifesta nelle Scritture: la ragione deve

infatti essere utilizzata per approfondire i contenuti di una fede che è già data e che deve

soltanto essere compresa più a fondo. Quando l’indagine razionale resta a livello di 13

semplice comprensione della realtà circostante essa ha un valore solo soggettivo, e solo

quando entra in relazione e tenta di comprendere le verità di fede la ratio umana assume

un valore oggettivo ed è capace di fornire conoscenza vera. La funzione principale della

ragione per Anselmo è dunque quella di portare il cristiano ad avere una consapevolezza

razionale delle verità di fede contenute nelle scritture, in modo da mettere in grado il fedele

di difendere la dottrina cristiana anche all’interno di un dibattito filosofico e di ribattere ad

ogni possibile obiezione rivoltagli.

Il Monologion si concentra sul problema dell’esistenza delle cose buone e della loro

origine, il bene sommo, strutturandosi attraverso quattro diverse prove, che permettono di

comprendere l’esistenza di una natura superiore a ciò che esiste, autosufficiente, beata e

dotata di immensa bontà che conferisce l’essere a tutte le altre cose e le rende buone. La

prima prova parte dalla constatazione che tutti aspirano a godere delle cose che giudicano

buone: poiché si possono confrontare beni tra loro diversi, deve esistere un fondamento

comune, un criterio di valutazione, il bene sommo, dal quale tutte le cose traggono la

bontà per partecipazione. Nella seconda prova si dimostra che il bene sommo è anche

l’essere più grande che possa esistere, dal quale tutto l’ordine delle cose create riceve la

grandezza. La terza prova prende le mosse dalla piena comprensione della distanza

ontologica fra il creatore e le creature: tutte le cose create esistono in virtù di un

qualcos’altro che invece esiste soltanto per se stesso, la somma sostanza che ha fatto

tutto l’universo. Il rapporto fra la somma sostanza (l’essere) e gli enti viene descritto

efficacemente da Anselmo attraverso la metafora della luce: essenza, essere e ente

stanno fra di loro nella stessa relazione che troviamo fra la luce, lo splendere e la cosa che

splende. La quarta prova si riallaccia alle prime due, considerando il modo nel quale gli

enti sono ordinati secondo una scala di perfezione, per concludere che deve esistere una

natura somma e pienamente perfetta. Queste quattro prove, dette ‘a posteriori’, hanno

caratteristiche molto simili alle cinque vie che Tommaso d’Aquino userà per provare

l’esistenza di Dio: sono permeate da una concezione metafisica marcatamente realistica,

di stampo platonico e agostiniano che sostiene la “pienezza del mondo” (e quindi la

superiorità dell’essere rispetto al non essere) e che ritroviamo alla base di molte altre

filosofie del medioevo. Su questa stessa concezione si basa la possibilità di provare le

verità di fede attraverso argomenti necessari, che presuppone una analogia fra il modo in

cui è strutturata la realtà creata e il modo in cui ragiona la mente umana.

La nuova “prova ontologica” dell’esistenza di Dio. il Proslogion. Le riflessioni del 14

Monologion vengono portate avanti da Anselmo nella sua seconda opera, di pochi anni

successiva, il Prosologion: una sorta di preghiera o meglio di dialogo con Dio (come indica

il titolo) in cui viene illustrata la ricerca di un argomento che da solo realizzi la prova

dell’esistenza di Dio: la celebre prova ontologica. Nel Prologo Anselmo descrive questo

difficile processo di riflessione, da cui emerge chiaramente la natura nuova ed intuitiva di

questa dimostrazione, che presenta un modo diverso da quello del Monologion e tutto

interiore di arrivare a Dio. La prova ontologica rappresenta il contributo più originale e

fecondo di Anselmo alla storia della filosofia, capace di suscitare interesse e attenzione in

molti filosofi posteriori, da Tommaso fino a Kant. Nel passaggio dalle prove del Monologion

a quella del Proslogion sembra inoltre darsi un leggero slittamento di prospettiva e la

componente morale sembra assumere un valore più evidente: il Dio di cui si vuole

dimostrare l’esistenza non è più semplicemente il Sommo Bene, ma si caratterizza come il

Dio della Bibbia, che può e deve essere dimostrato con l’intelletto, ma solo da chi lo ha

prima accolto con la fede, come mostra l’altro titolo del Proslogion, Fides quaerens

intellectum (La fede che cerca l' intelligenza), che riecheggia Isaia VII,9: 'se non avrò

creduto non potrò capire'. Anche la negazione dell’esistenza di Dio da parte dello stolto

(insipiens) ‘disse l’insipiente in cuor suo: Dio non esiste’, da cui prende il via

l’argomentazione, è di origine biblica. Ad essa il filosofo replica che perfino l’insipiente, per

poter negare l’esistenza di Dio deve riconoscere di possedere in sé l’idea di Dio, ovvero

l’idea di un qualcosa di cui non si può concepire il maggiore. Ora, secondo Anselmo se si

ammette che l’idea di Dio esiste nell’intelletto, che ha quindi una realtà mentale, è

necessario ammettere che esista anche nel mondo reale: infatti, poiché Dio è ciò di cui

non è possibile pensare il maggiore, egli deve avere in sé tutte le perfezioni possibili, e

dato che l’esistenza nel mondo reale è una perfezione, è impossibile che non la si possa

attribuire a Dio, perché in quel caso sarebbe possibile immaginare qualcosa che in virtù

della sua esistenza reale è più grande e più perfetto di Dio, cadendo così in una

contraddizione logica. Alla base del discorso anselmiano vi è una premessa fondamentale,

ovvero l’attribuire un intrinseco valore al puro fatto di esistere: l’esistenza come perfezione

dell’essere, secondo il principio della pienezza dell’essere, già ricordato a proposito del

Monologion, per il quale una cosa che può essere solo pensata ha un minor valore

ontologico di una cosa esistente nella realtà. A questa premessa si aggiungono le

considerazioni logiche basate sull’analisi della significatio del termine Dio e sulla possibilità

di dedurne la necessità logica della sua esistenza extramentale, passando dal piano del

pensiero a quello dell’essere. Ancora con considerazioni logiche si spiega l’apparente 15

contraddizione nel pensiero dell’insipiente; per Anselmo esistono infatti due distinti

significati del termine “pensare”. ‘ Pensare una cosa’ può intendersi come ‘pensare alla

parola usata per riferirsi a tale cosa’ e come ‘pensare all’essenza della cosa’, ovvero il

pensiero può essere mediato dal piano linguistico o può invece riferirsi direttamente al

piano dell’essere: quindi lo stolto può, al livello meramente linguistico del pensiero, negare

alla parola Dio l’esistenza, ma neanche lui può pensare che Dio non esista nella seconda

accezione (quella più vera) del termine pensare. Come si può notare Anselmo fa già uso in

questo testo della distinzione fra appellatio e significatio e della definizione di verità, che

verranno esplicitate meglio in testi di poco successivi come il De Grammatico e il De

Veritate.

Il dibattito sul Proslogion: la difesa dell’insipiente di Gaunilone e la replica di Anselmo.

Questa complessa e innovativa dimostrazione non fu accolta unanimemente: molto presto

Gaunilone, monaco nell’abbazia di Marmourtier, la cui biografia ci è quasi del tutto

sconosciuta, portò avanti le sue obiezioni alle teorie di Anselmo e scrisse un breve

opuscolo in risposta al Proslogion intitolato Liber pro insipiente (In difesa

dell’insipiente/stolto). Gaunilone attacca al cuore l’argomento di Anselmo, negando che il

legame tra pensiero e realtà sia sufficientemente stretto da servire come prova

dell’esistenza di qualcosa. Secondo Gaunilone non è possibile effettuare il passaggio

dall’udire e comprendere un concetto, ovvero dall’avere tale concetto nell’intelletto, al suo

essere; cioè non si può passare dall’esistenza mentale a quella extramentale: l’esistenza

non è una perfezione attribuibile ad un concetto dall’intelletto (l’esempio che egli porta è

quello dell’isola perfetta: è possibile immaginarsi un’isola dotata di tutte le perfezioni e

tuttavia dubitare della sua esistenza). Per Gaunilone l’insipiente può quindi dubitare

dell’esistenza di Dio senza incorrere in contraddizione logica. Gaunilone e Anselmo non

stanno qui dibattendo realmente sulla questione della fede nell’esistenza di Dio: il punto di

disaccordo è il modo di considerare il linguaggio, la natura del legame fra parole e

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A.A. 2006-2007
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/08 Storia della filosofia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Giuseppe.massimo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Pontificia Salesiana - Unisal o del prof Perillo Graziano.