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Vediamo brevemente il significato di queste distinzioni: con fondazione “bilaterale” o
“unilaterale” s’intende rispettivamente la reversibilità o irreversibilità del nesso di
fondazione tra due parti qualsiasi dell’intero, per cui nel primo caso esse si fondano
reciprocamente l’una nell’altra, nel secondo una fonda l’altra ma non vale l’inverso.
Esempi di questi rapporti sono rispettivamente il nesso colore-estensione «nell’unità
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di qualcosa che è visivamente intuito come tale» [III RL, pag. 83] e il nesso che
lega determinate rappresentazioni a un’asserzione come ciò che deve essere posto
a suo fondamento ma che in sé non richiede un simile sviluppo; il giudizio assertivo
non è l’esito necessario di determinati contenuti rappresentativi. Per quanto riguarda
la distinzione tra una fondazione mediata e una fondazione immediata s’intende
sostanzialmente questo: una parte α è detta “mediatamente fondata” in una parte γ
se α è fondata in β e β è fondata in γ, “immediatamente fondata” se non c’è
interposizione di una terza parte tra le prime due. Husserl trova esempi di fondazione
immediata nei nessi che legano i momenti generici “colore” e “luminosità” al colore di
un determinato oggetto, come ciò in cui soltanto possono realizzarsi, e quindi
mediatamente all’estensione che esso richiede come propria necessaria
integrazione.
19 In questo facciamo nostro il punto di vista di Giovanni Piana; cfr. Piana G., 1977, pag. 8.
20 Questa precisazione è particolarmente importante. In effetti senza di essa non si vedrebbe la
necessità di una fondazione bilaterale: se infatti da una parte è chiaro che “se un oggetto è colorato, allora è
esteso”, dall’altra non si può dire altrettanto per l’inverso, vale a dire: “se un oggetto è esteso, allora è
colorato”. Il punto è che l’estensione di un oggetto è una determinazione che può, entro certi limiti, essere
tanto un contenuto visivo quanto tattile, mentre il colore è esclusivamente un contenuto visivo: un cieco ha
esperienza di oggetti estesi senza avere esperienza di colori, senza cioè che questo senso di un’estensione
di oggetti richieda un’integrazione cromatica. Lo stesso accade del resto ogni qual volta si parli
dell’estensione di oggetti che non sono percepiti visivamente, come nel caso delle “correnti di aria fredda o
calda” che si spostano sui continenti, o di oggetti di cui non si può dire, propriamente parlando, che siano
“colorati”: ad esempio le superfici riflettenti (uno specchio) o trasparenti (il vetro di una finestra). L’utilità di
questi esempi è solo quella di mostrare ciò che si presenta a livello concettuale, e cioè che il concetto di
“estensione” non è intrinsecamente connesso a quello di “colore” mentre vale l’inverso. Ad ogni modo vale
quanto detto in precedenza e, al di là del discorso husserliano, sembra che questo concetto di “estensione”
abbia una sua plausibilità di senso comune; soprattutto esso ha il vantaggio di mostrare in che senso
“estensione” e “superficie” non sono termini equivalenti (nel primo non c’è il rimando a una determinazione
potenzialmente anche tattile), il che consente di tener fermo il carattere necessario e a priori del nesso
colore-estensione rispetto ad alcune situazioni che potrebbero sembrarne, a tutta prima, falsificazioni (come
i “fasci di luce colorati” dell’arcobaleno). In altri termini: «[…] non è concepibile (immaginabile) che si possa
un giorno fare l’esperienza di un colore senza una estensione corrispondente (il che non significa senza una
superficie, poiché vi sono colori “atmosferici”, non localizzabili, come il blu del cielo).» [Romano C., 2012,
pag. 320]. 13
§ Il concetto di “fondazione unitaria” e la distinzione tra due specie di interi
Acquisite queste prime distinzioni possiamo passare a definire il concetto di “intero”
per mezzo del concetto di “fondazione unitaria”, secondo il percorso seguito da
Husserl che così fissa il significato del termine, fino a quel momento dato per
presupposto. Ecco come si esprime:
«[…]nelle nostre definizioni e descrizioni […] il concetto di intero era presupposto.
Tuttavia si può sempre fare a meno di questo concetto, sostituendolo con il semplice
sussistere insieme di contenuti prima indicati come parti. Si potrebbe, ad esempio,
enunciare la seguente definizione: un contenuto della specie α è fondato in un
contenuto della specie β, se non può esserci un α per sua essenza (cioè per legge,
sulla base della sua natura specifica) senza che sussista anche un β. […] Con intero
intendiamo un sistema di contenuti che vengono abbracciati da una fondazione
unitaria, e precisamente senza ricorso ad altri contenuti. Noi chiamiamo parti i
contenuti di un simile sistema. Quando si parla di unitarietà della fondazione si vuol
dire che ogni contenuto si trova, direttamente o indirettamente, in un rapporto di
fondazione con ogni altro contenuto. Ciò può accadere in modo tale che tutti questi
contenuti siano fondati gli uni negli altri, immediatamente o mediatamente, senza
ricorsi esterni; o inversamente, essi fondano tutti insieme un nuovo contenuto,
sempre senza ricorsi esterni» [III RL, pag. 66].
E più avanti: «si nota subito come differenze di questo genere determinino distinzioni
essenziali tra gli interi. Nei casi indicati per primi le “parti” (definite come membri del
sistema in questione) “si compenetrano”; negli altri, le parti sono “esterne le une alle
altre”, ma determinano forme reali di connessione, concatenandosi tutte insieme
oppure a coppie. Quando si parla di collegamento, connessione, ecc., in senso
stretto, si intende l’intero della seconda specie […]». Si tratta allora di comprendere
meglio questa nozione di “fondazione unitaria” alla luce della distinzione tra interi di
prima e seconda specie cui dà luogo. Abbiamo letto che la fondazione può assumere
due forme: quella della compenetrazione e quella
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della connessione reale di parti. Ovviamente qui tutto dipende dalle parti cui si fa
riferimento: nel primo caso avremo a che fare con momenti astratti, nel secondo con
frazioni, cioè con parti indipendenti dell’intero. Il punto importante è però lo stretto
rapporto tra i due tipi di interi, nel senso che gli interi di cui possiamo avere
concretamente esperienza derivano tanto dall’unione di parti indipendenti realmente
connesse, quanto di parti non-indipendenti che si compenetrano reciprocamente;
l’esempio di Husserl è quello di una figura colorata che può essere presa come un
intero di prima specie rispetto ai suoi momenti astratti del colore e dell’estensione, di
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seconda specie rispetto alle frazioni in cui è possibile dividerla . Proprio la funzione
delle frazioni negli interi di seconda specie richiede ora qualche precisazione. Il fatto
che si parli di “forme di collegamento” tra frazioni come criterio discriminante degli
interi di seconda specie non significa che queste frazioni siano sempre date
realmente come tali; è sufficiente che esse siano date potenzialmente, come parti in
cui è in linea di principio divisibile l’intero. Quello delle frazioni date realmente e
raccolte in unità mediante forme di collegamento è il caso particolare degli “interi
percettivi” cui Husserl accenna immediatamente dopo e che rappresentano una
sottocategoria degli interi di seconda specie. In effetti il modo più semplice di chiarire
le distinzioni teorizzate da Husserl sembra quello di descrivere le diverse forme di
contiguità tra parti indipendenti; ne abbiamo infatti di tre tipi:
1) contiguità di parti che non sono distinte
l’intero si presenta come un contenuto assolutamente unitario, compatto, non
articolato in parti. Esempi possono essere una macchia di colore uniforme o
variato con continuità;
2) contiguità di parti che sono distinte; ulteriormente articolata in:
2.1) contiguità di parti distinte e collegate tra loro
21 Si può quindi affermare che, almeno per quanto riguarda l’ambito dell’esperienza percettiva, tutti gli
interi di prima specie sono interi di seconda specie e viceversa. Interi di prima specie che non siano di
seconda specie potrebbero essere rappresentati dai nessi tra le parti non-indipendenti quando queste
siano considerate in astratto, come generi e specie pure non ulteriormente determinati (come nella
formulazione seguente: “la specie ‘colore’ è non-indipendente rispetto alla specie ‘estensione’”); ci si
può comunque chiedere se anche in questo caso l’intero di seconda specie non debba essere
presupposto, in senso altrettanto astratto e generale, come idea di un intero estensivo. Sembrano
invece esclusi per principio interi di seconda specie che non siano di prima specie, essendo per
definizione fondati sulla non-indipendenza della forma di collegamento rispetto ai contenuti dati.
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l’intero si presenta come un contenuto articolato in parti, come una totalità di
parti date intuitivamente. Esempi sono i cosiddetti “interi percettivi”: una fila di
alberi, una costellazione di stelle, una melodia di suoni;
2.2) contiguità di parti distinte che non sono collegate tra loro
non abbiamo un intero, cioè un contenuto ulteriore alle parti, ma la loro
semplice giustapposizione, per la quale si può al più parlare di “contesto” della
percezione. Esempi sono tutti quei casi di vicinanza spaziale o temporale di
parti, quale può essere rappresentata in modo emblematico da oggetti “fuori
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posto” o da suoni che si succedono senza alcun rapporto tra loro .
Per le prime due forme di contiguità si può parlare di “interi di seconda specie”, in
quanto esse danno luogo a contenuti, a unità di senso fondate sulle parti connesse;
per la terza non si può invece parlare di intero nel senso della definizione prima
proposta in quanto manca il “momento di unità” delle parti. Il punto è che per avere
un intero in senso proprio non è sufficiente che le parti siano attualmente connesse
tra loro; è necessario che su questa base si determini un contenuto unitario come
contenuto non-indipendente rispetto ad esse. Il vero principio distintivo de