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Se dunque diremo che il sofista possiede un’arte produttrice di immagini, egli potrà benissimo domandarci
che cosa si intende per “immagine”. E’ sulla natura delle immagini che deve vertere ora il ragionamento.
Teeteto si limita a elencare casi particolari, ma lo Straniero vuole una definizione concettuale, perché è
proprio questo che non permetterà una confutazione del sofista, una definizione che si desuma sai discorsi.
Così Teeteto distingue il vero verace dal vero ontico: l’immagine è ciò che, costituito a somiglianza di una
cosa vera, è altro da essa, ma tale quale. Ciò che è somigliante non essendo realmente, non è vero.
Dunque, mentre non è realmente, è realmente ciò che chiamiamo immagine somigliante. I due
interlocutori sono allora arrivati a dire che ciò che non è, in qualche modo è. Il sofista li ha quindi portati a
contraddirsi.
Abbiamo detto anche che il sofista propone un’arte ingannatrice che fa dire cose false. Un discorso falso è
che quello che dice essere le cose che non sono e non essere le cose che sono. Ma in questo senso i due
dicono che si danno falsità nelle opinioni e nei discorsi: il problema sta nel fatto che avevano
precedentemente affermato che non è possibile riferire l’essere a ciò che non è.
I protagonisti però non vogliono rinunciare a catturare il sofista.
Riassumendo: Parmenide dice che è impossibile pensare e dire il non-essere. Il sofista per difendersi si
aggrappa al detto parmenideo, grazie al quale può sostenere di non poter dire il non-essere. Ora lo
Straniero e Teeteto vogliono catturare il sofista dimostrando che non può avere Parmenide come alleato.
Proprio per questo il loro discorso sarà finalizzato a costringere Parmenide, torturandone il testo, ad
ammettere che ciò che non è sotto qualche rispetto è, e che ciò che è in qualche modo non è. Bisogna
dunque avere l’ardire di attaccare il discorso paterno.
242c Quante sono le cose che sono: Pluralisti e Monisti
Vengono ora analizzate le posizioni dei pensatori precedenti circa le cose che sono. Questi pensatori hanno
indagato ciò in modo molto semplicistico, abbiamo cioè proposto miti di guerre, di nozze, abbiamo
proposto anche un numero preciso di cose che sono. La stirpe eleatica ha detto che “tutte le cose” in realtà
è una: in Parmenide però, che l’essere sia uno, ricorre solo una volta (questo è quindi ciò che pensa di lui
Platone). Le Muse più intonate, ossia le Muse di Eraclito, hanno sostenuto l’armonia degli opposti, quelle
più molli invece che hanno semplicemente giustapposto cronologicamente unità e molteplicità, odio e
amicizia. C’è stato anche chi ha parlato di caldo e freddo, e chi ha parlato di aggregazione e disgregazione.
Lo Straniero confessa che quando era giovane e sentiva parlare di cio che è, non si sentiva in difficoltà nel
comprenderlo. Ora invece si trova senza via d’uscita: il discorso sull’essere non è affatto più facilmente
praticabile di quello sul non-essere.
Le posizioni dei pluralisti vengono ridotte ad un’unica, quella che pone due principi, perché il tipo di
confutazione messa in atto viene a colpire automaticamente qualsiasi tesi pluralista. Questo è l’andamento
della confutazione:
- Se l’essere è distinto da caldo e freddo, sarà una terza cosa da definire
- Se è identificato con uno dei due, in entrambi i casi i due verranno a essere un’unica cosa
- Se è identificato con entrambi presi assieme, si avrà la stessa conseguenza
Se ogni cosa designa qualcosa che è, l’essere dei pluralisti deve essere diverso da caldo e freddo,
singolarmente o presi insieme, pena la rinuncia al pluralismo.
Viene ora indagata la posizione di coloro che dicono che il tutto è uno. L’attribuzione di una dottrina
monistica a Parmenide è problematica perché l’attributo dell’unità sembra in lui secondario, mentre è
accentuato in parte da Zenone e soprattutto da Melisso. La confutazione di tale posizione si basa
sull’assunto “l’uno è”. Va però notato che così abbiamo due cose, ossia l’essere e l’uno. Ora: considerando
che è assurdo che ci siano due nomi per una stessa cosa o che il nome e la cosa coincidano (sarebbe così
nome del nome), e anche che ci sia un nome non significativo di nulla, allora vi sono almeno due cose, non
una. Inoltre non si può neanche dire che l’uno sia l’intero: l’intero è infatti costituito di parti. Pertanto o ciò
che è è uno e intero perché affetto dall’unità, o ciò che è non è l’intero. Platone sostiene qui che l’intero ha
come affezione di essere uno, ma ciò è diverso da quello che sostengono i monisti, ossia che l’uno sia
l’intero. Se l’essere non è un intero, perché è uno di per sé anziché semplicemente subire l’affezione
dell’uno, esso mancherà di sé stesso. Se poi l’intero non è assolutamente, la stessa cosa varrà per l’essere, il
quale, oltre a non essere non potrà mai venire ad essere qualcosa che è perché ciò che viene ad essere
viene sempre ad essere come un intero. E ancora, ciò che non è un intero non deve neppure essere di una
certa quantità.
246 Quali sono le cose che sono: Materialisti e Idealisti
Lo Straniero sottolinea nuovamente la difficoltà di un discorso sull’essere, il quale è al centro di una
“gigantomachia”. Protagonisti di questa battaglia sono da una parte i materialisti, ossia coloro che dicono
che è solo ciò che si offre all’urto e al contatto determinando come identici corpo ed essere, dall’altra, gli
amici delle forme, ossia quelli che dicono che il vero essere sono idee intelligibili e incorporee.
Materialisti= Vista l’arroganza dei soggetti in questione, lo Straniero inizia la sua confutazione fingendo che
siano più mansueti e procede in maniera socratica, iniziando col chiedere se si pensi che il vivente mortale
sia qualcosa. Domanda poi sia corpo animato e se l’anima sia una delle cose che sono. I materialisti certo
concorderebbero, e lo farebbero anche sul fatto che dell’anima una parte è giusto, l’altra ingiusta. Bene:
una cosa si dice giusta se possiede giustizia, ma la giustizia non è visibile. Lo stesso discorso vale per molte
altre cose, tra cui l’intelligenza. Se per alcuni materialisti l’anima è comunque corpo, la stessa cosa non la
possono dire per l’intelligenza. Basterà per confutarli che ammettano anche solo una cosa incorporea.
Lo Straniero avanza una definizione di ciò che è (realmente): qualcosa capace in qualche misura di agire e di
patire.
Idealisti= Essi separano divenire ed essere, l’uno che comunica col corpo, l’altro con l’anima. Comunicare
però equivale all’agire e al patire propri di ciò che è. Ma i materialisti sostengono che all’essere nessuno dei
due si adatta. Il punto è però questo: l’anima conosce l’essere che è conosciuto, e l’essere conosciuto è un
patire. Movimento, vita, anima e pensiero intelligente non se ne stanno in una immobile quiete. Se tutte le
cose fossero immobili non ci sarebbe intelletto su niente. Per il filosofo diventa quindi necessario non
accettare che il tutto sia in quiete, ma deve dire che ciò che è, il tutto, è costituito da entrambe le cose,
mosse ed immobili.
Movimento e quiete sono in sommo grado opposti, ma essi sono, entrambi e ciascuno dei due. Essi sono
abbracciati dall’essere che non è né in quiete né si muove, ma una terza cosa. Per chiarire che rapporti ci
siano fra movimento, quiete ed essere, vengono proposte 3 possibilità:
- Movimento, quiete ed essere non sono in alcun modo mescolabili: la conseguenza è che allora
movimento e quiete non partecipano in nessun modo dell’essere. In questo caso sia quelli che
muovono il tutto, sia quelli che lo pongono in quiete come uno e per quelli che dicono che gli enti
sono in forma di idee, tutti loro, riferiscono l’essere alle loro entità e quindi vedono disfatto il loro
sistema. Quelli che sostengono che non ci sia alcuna koinonìa si confutano da soli, basta che
parlino.
- Movimento, quiete ed essere comunicano reciprocamente: la conseguenza è che allora il
movimento di per sé sarebbe assolutamente in quiete e la quiete di per sé si muoverebbe. Ma che
il moto sia in quiete e la quiete si muova contrasta con il principio di non contraddizione.
- Movimento, quiete ed essere si mescolano parzialmente: dovrebbe accadere quindi come con le
lettere, tra le quali le vocali hanno un ruolo essenziale perché senza di queste è impossibile che una
delle rimanenti si accordi con altre. I due protagonisti convengono nel dire che vi è un’arte nel
farlo, ossia la grammatica, come per i suoni, la musica. Anche i generi ammettono quindi
mescolanza reciproca, ed è necessario che nel suo procedere attraverso i discorsi sia in possesso di
una certa scienza. Essa è una scienza propria degli uomini liberi, dei filosofi. Questa scienza prevede
che si divida per generi e che si distingua, relativamente ad un genere, dove ciascuno può
comunicare e dove no. Questo è prettamente il compito del filosofo, ma anche lui come il sofista è
avvolto dall’oscurità e non si riesce a delimitare con chiarezza.
Abbiamo detto che tra questi tre generi, moto e quiete non sono mescolabili l’uno con l’altro, mentre
l’essere è mescolabile con entrambi. Allora i generi sono 3 e ciascuno è diverso dagli altri due. Vengono
allora introdotti due importanti concetti: identico e diverso.
Identico e diverso non sono certo quiete e movimento. Poiché movimento e quiete partecipano entrambi
sia del diverso sia dell’identico, se essi fossero identici all’identico o al diverso, il movimento verrebbe a
partecipare della quiete e la quiete del movimento. Questo perché ciò che si dice in comune di generi
incompatibili fra loro non può essere né l’uno né l’altro.
Ma l’identico non coincide neanche con l’essere, altrimenti essere e identico sarebbero una cosa sola, ma
questo è impossibile. Infatti l’essere si può concepire di per sé o in relazione ad altro, mentre il diverso è
sempre tale rispetto ad una determinata cosa. Pertanto essere e diverso sono eterogenei, e il diverso è da