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E NOS, MARMOR, IUVATO! (ter)
TRIUMPE TRIUMPE TRIUMPE TRIUMPE TRIUMPE!
- Lases > Lares: forma anteriore al fenomeno del rotacismo; i Lari erano le divinità romane, forse di
origine etrusca, protettrici delle proprietà dei campi
- iuvate: imperativo tipico del linguaggio prescrittivo
- neve: congiunzione negativa seguita da congiuntivo o imperativo
- lue rue: in asindeto, rispettivamente "pestilenza" (lues, is) e "rovina" (ruina, ae)
- Marmar: forma raddoppiata del tema ma- e forse appellativo di Marte
- incurrere: forma recentiore poichè ha agito il fenomeno del rotacismo
- ber ber: forse appellativo di Marte
- Semunis: divinità che presiedevano alla semina
- advocapit > advocabit: labializzazione
- triumpe > triumphe: "battere il piede tre volte", chiusura della preghiera ad anello
Trascrizione plausibile in latino classico a opera dello studioso Pighi:
O nos, Lares, iuvate! (ter)
Ne luem, ruinam, Marmar, sinas incurrere in plures! (ter)
Satur esto, fere Mars, limen sali, sta illic, illic! (ter)
Semones alterni advocabit cunctos. (ter)
O nos, Marmor, iuvato! (ter)
Triumphe triumphe triumphe triumphe triumphe! (ter)
Oh, a noi, Lari, aiutateci! (tre volte)
No, pestilenza e rovina, o Marmar, non permettere che trascorrano tra il popolo! (tre volte)
Sii sazio, o feroce Marte, balza sulla soglia, fermati là, là! (tre volte)
I Semòni, a turno, li chiamerà tutti a parlamento. (tre volte)
Oh, a noi, Marmor, aiutaci! (tre volte)
Trionfo, trionfo, trionfo, trionfo, trionfo!
CARMEN SALIARE
2.
Il Carmen Saliare è un frammento in latino arcaico il cui testo veniva recitato nei rituali praticati dai
sacerdoti Salii. Esso era chiamato anche axamentum, ovvero inno in onore degli dei cantato solo con la
voce.
Il nome dei Salii deriva dal verbo latino salire, "saltare", per via della particolare andatura saltellante che
tenevano durante le processioni sacre; essi erano presieduti da un magister, al quale si affiancavano il
vates, direttore del coro, e il praesul, che dirigeva le danze mostrando i passi agli altri sacerdoti (amptruo,
are), che dovevano poi ripeterle (reamptruo, are).
I Salii erano distinti in due collegi di dodici Salii ciascuno, ovvero i Salii Palatini e i Salii Quirinales: i Salii
Palatini erano i sacerdoti consacrati a Marte ed erano uomini prestanti e di bell'aspetto che custodivano
dodici scudi ovali tagliati ai lati (ancilia), mentre i Salii Quirinales erano i sacerdoti consacrati al dio
Quirinus.
I Salii avevano il compito di aprire e chiudere ogni anno il tempo della guerra e per gli antichi romani
tale periodo andava da marzo a ottobre; questo tempo di passaggio aveva un'importanza fondamentale
per il cittadino romano: in particolare, con il mese di marzo il cittadino romano diveniva miles e passava
sotto la giurisdizione militare e la tutela del dio Marte, passaggio -questo- segnato dai Salii Palatini;
invece, nel mese di ottobre il cittadino romano tornava a essere civis e a occuparsi delle attività
produttive sotto la tutela del dio Quirino, passaggio -questa volta- segnato dai Salii Quirinales, che
purificavano gli uomini, le armi e gli animali che avevano partecipato alle attività belliche.
I Salii vestivano un elegante costume composto da una tunica bordata di rosso (come gli antichi
guerrieri romani), cinta da una cintura di bronzo a cui era agganciata una spada; sopra la tunica
indossavano una pettorina corazzata in bronzo e un mantello e in testa l'apex, ovvero un berretto a
forma di cono dotato di una punta di legno d'ulivo all'apice e fissato sotto il mento con delle stringhe.
Alcuni frammenti dell'inno, composti in versi saturni stessi con cui furono scritti anche l'Odusia di
(gli
Livio Andronico e il Bellum Poenicum di Gneo Nevio), si sono conservati grazie all'erudito Varrone, che
ha riportato il primo e il terzo nella sua De lingua Latina, e al grammatico Scauro, che ha tramandato il
secondo nel suo De orthographia. I linguisti, però, non sono stati in grado di tradurre la maggior parte del
testo, che contiene errori di trascrizione dovuti alla trasmissione non su pietra, ma su codice di IV
secolo a.C.
Frammento 1: DIVUM EMPTA CANTE, DIVUM DEO SUPPLICATE
Cantate Lui, il padre degli Dei, supplicate il Dio degli Dei
Frammento 2: CUME TONAS, LEUCESIE, PRAE TET TREMONTI
QUOT IBET ETINEI DE IS CUM TONAREM
Quando tuoni, o Dio della Luce, davanti a Te tremano
tutti gli Dei che lassù ti hanno sentito tuonare
- Leucesie: si conserva il dittongo eu, non ancora mutato nell'italico ou
- tremonti: -nti è antica desinenza di III persona plurale, spia di sonti > sunt (con caduta di -i)
Frammento 3: COZEULODORIESO.
OMNIA VERO ADPATULA COEMISSE.
IAN CUSIANES DUONUS CERUSES DUNUS IANUSVE VET POM MELIOS EUM RECUM
...
... di Cerere ... Giano ...
Fibula praenestina, fot. 18 - latino non urbano
La Fibula praenestina è una spilla d'oro del 670-650 a.C. lunga circa 10 cm, proveniente da Praeneste, a
Sud di Roma. Essa porta sulla sua lunghezza la sottoscrizione dell'artigiano Manius, più il nome del
committente, in un latino classico di VII-V secolo a.C.:
MANIOS MED VHEVHAKED NUMASIOI
Manius me fecit Numasio
Manio mi fece per Numerio
Inizialmente, alcuni studiosi, come la Guarducci, hanno avvalorato la tesi secondo cui il gioiello fosse
vero ma l'iscrizione un falso di XIX secolo, mentre analisi successive hanno dimostrato la sua veridicità
basandosi sul fatto che essa sembrava essere stata fatta con lo stesso metodo della decorazione.
La sua scrittura ha andamento sinistrorso, ovvero è disposta da destra verso sinistra (come nella
scrittura etrusca).
- vhevhaked /fefaked/: perfetto con raddoppiamento tipico del latino non urbano o dell'italico (vs fecit)
- Numasioi: dativo italico in -oi > -o
Coppa argentea della Tomba Bernardini, fot. 19 - latino urbano
La coppa d'argento della Tomba Bernardini a Praeneste risale con molta probabilità al VII secolo a.C.
(il Prosdocimi azzarda un 675-650 a.C.) e contiene un'iscrizione in caratteri etruschi di andamento
sinistrorso, ovvero disposti da destra verso sinistra:
FETVSIA
Vetusia
- Vetusia: il dativo femminile in -a indica o l'appartenenza alla gens (e dunque è il gentilizio) o la coppa
stessa. Si ricordi che il dativo singolare dei temi in -ā poteva essere anche -ai, mentre quello dei temi in
-ŏ/-ĕ era -ō (anche ablativo)/-oi.
Due iscrizioni di Tita Vendia, fot. 20-21
Non si sa se le due iscrizioni, entrambe di VII secolo a.C. (620-600 a.C.), siano o meno collegate.
fot. 20
L'iscrizione é impressa su un otre di vino ritrovata in una tomba presso Gabii, vicino Roma, e reca un
saluto che dice: SALVE TOD, TITA
Salve te, Tita
Salute a te, Tita
- salve: gr. χαίρε
- -tod: antico pronome scomparso, "in questo momento"
- Tita: nome femminile
fot. 21
L'iscrizione è impressa su di un otre di vino, e reca il nome del proprietario del recipiente e il suo
fabbricante: ECO URNA TITA VENDIAS. MAMAR [M] ED VHE[CED]
Ego urna Tita Vendias. Mamar me fecit
Io (sono) l'urna di Tita Vendia. Mamar mi fece
- Tita Vendias: ci aspetteremmo Titas visto il successivo Vendias, ma il Prosdocimi pensa che lo si tolga
per evitare il rotacismo finale tipico dell'umbro Titas > Titar, e quindi per economia della lingua.
Lapis niger o Cippo del foro romano, fot. 22
Il Lapis Niger (dalla pietra nera che sovrasta il cippo), è la più antica iscrizione monumentale latina. Fu
scoperta nel 1899 vicino all'arco di Settimo Severo, probabilmente in un santuario, e risale alla fine del
VI secolo a.C. (attorno al 500 a.C. circa). L'iscrizione, benché lacunosa, pare essere il testo mutilo di
una legge sepolcrale, visto che l'inizio sembra essere proprio una formula di maledizione scagliata
contro chi avesse violato il luogo sacro. Il suo andamento è bustrofedico in senso verticale, ricorda
cioè il movimento del bue che ara il campo, per cui va letta una colonna dal basso in alto e la
successiva dall'alto in basso.
- quoi > qui
- sacros > sacrs >sacers > sacer
- recei > regi
- quos: rimane invariato nel latino classico
- calatorem: tecnicismo dal gr. καλέω, "araldo, messo"
- iouxmenta > ioumenta > iumenta: "giumento"
- iouestod > iusto: trittongo oue non ancora semplificato
-od: antico ablativo
Vaso di Dueno, fot. 23
Il cosiddetto Vaso di Dueno è un manufatto in argilla nera composto da tre recipienti alti 3,5cm,
disposti in triangolo e non comunicanti fra di loro; la sua cronologia è incerta, ma si tende a farlo
risalire alla fine del VI secolo a.C. circa (attorno al 500 a.C.).
La scrittura spiraliforme che esso presenta è sinistrorsa, cioè ordinata da destra verso sinistra, e si svolge
attorno ai tre vasi lungo tre righe sovrapposte e senza spazi tra una parola e l'altra.
L'assenza di divisione tra le parole e la lingua arcaica ne rendono difficili la lettura e di conseguenza
l'interpretazione; però siamo certamente nel campo degli "oggetti parlanti" di tradizione etrusca: nel
mondo latino arcaico, infatti, era diffusa l'usanza di incidere sugli oggetti artigianali una frase in prima
persona, attraverso la quale l'oggetto stesso sembrava spiegare le sue caratteristiche, oppure il nome del
committente o della persona cui veniva regalato. In questo caso, con buona verosimiglianza, si
tratterebbe di istruzioni per l'uso del contenuto, probabilmente una pozione magica per conquistare
l'amore di una ragazza (il vaso di Dueno, infatti, era stato probabilmente fatto fare da una donna per un
amante che l'aveva rifiutata).
Il Pisani ha visto nella prima e terza riga uno schema giambico e uno schema dattilico nella seconda.
L'iscrizione recita:
IOVESAT DEIVOS QOI MED MITAT NEI TED ENDO COSMIS VIRCO SIED
ASTED NOISI OPE TOITESIAI PACARI VOIS
DUENOS MED FECED EN MANOM EINOM DUENOI NE MED MALO STATOD
Iurat deos qui me mittit nisi in te comis virgo sit.
At te nisi [-----] Toteria pacari vis.
Bonus me fecit in [----------] bono. Ne me malo stato.
Chi mi manda giura per gli dèi che nessuna vergine ti sia compagna.
se non vuoi essere soddisfatto per opera di Toteria.
Un abile artigiano mi ha fatto per un uso buono. Non usarmi per un fine cattivo.
- iovesat: -s- non soggetta a rotacismo
- sied > sit: ottativo arcaico
- Toitesiai: "Tutera" o "Toteria", nome della committente, con -s- non soggetta a rotacismo
- pacari: radice di pax
- Duenos: per molto tempo si è pensato che fosse un nome proprio, indicante l'artigiano che aveva
fabbricato il vaso, secondo la tradizione tipica degli "oggetti parlanti"; di recente, invece, si è
indivi