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Fin dal ‘700, notevole importanza ebbe l’attività tessile; riscontrò notevole successo con
l’introduzione e la coltivazione del cotone. La lavorazione del cotone era affidata alle
donne; il cotone andava battuto con l’archetto, si filava con il fuso. Secondo la qualità del
filo variavano le spese.
Le condizioni climatiche erano particolarmente favorevoli: il terreno era umido e fertile e
grasso. L’attività tessile era soprattutto rivolta all’uso personale e con qualche sbocco si
mercati locali.
Il settore cotoniero, mancando di modernizzazione, rimase legato a pochi tipi di
manifatture tradizionali, non meccanizzate.
La lavorazione del cotone, oltre alla manifattura a domicilio, esistevano piccoli stabilimenti
che utilizzavano una manodopera locale, impegnata nelle varie fasi della lavorazione.
Comunque vi erano diversi ostacoli alla coltivazione del cotone, come la tradizionalità delle
cure agricole, inadeguatezza delle tecniche di raccolta e di lavorazione del prodotto e
infine la difficoltà di disporre di finanziamenti. La coltivazione del cotone era inserita nei
vari tipi di rotazione agraria.
Meno diffusa era la coltivazione del lino; la qualità delle piante era scadente; la canapa
aveva minore diffusione ed uso domestico più modesto della lana e del cotone.
La mancanza di credito e l’assenza di macchine adeguate comportava dei costi elevati,
aggravati anche del caro-trasporti.
Si andò sviluppando una serie di coloranti diversi; infatti si svilupparono le industrie
chimiche.
La lavorazione della seta si diffuse alla fine del ‘700; la seta venne lavorata per un
pubblico vasto, con prezzi accessibili a tutti. Nacque un’estesa industria serica a base
artigianale, a domicilio protetta dal protezionismo dello Stato.
Si coltivavano anche piante di gelso, gelso moro come frutto da mangiare e gelso bianco
che serviva da nutrimento per il baco da seta. La quantità della seta grezza era eccessiva
nei confronti della possibilità di lavorazione della regione stessa; questo perché non
esistevano delle attrezzature tecniche efficienti.
Allevamento del bestiame…
Nel ‘700 si aveva una netta prevalenza di allevamento degli ovini nei confronti dei bovini; i
pascoli erano magri e la scarsità di cibo fresco induceva ad allevare e poi a par pascolare
più ovini e caprini che non equini e bovini. Questo perché gli ovini riescono a cibarsi di
piante selvatiche e sopravvivono all’aridità dei pascoli. I bovini avevano bisogno di pascoli
grassi con erbe ad alto fusto e non erano in grado di arrampicarsi sui pendii. I bovini
vivevano male; avevano una struttura fisica magra. Producevano poco latte o latte
scadente. I pastori dovevano abbattere superfici boschive per portare gli animali a
pascolare dove avevano pascoli con nuove erbe. In seguito si cominciò a distinguere tra
animali da lavoro e quelli da ingrasso. Questo serviva per poter disporre di animali per
come alimentare, anche se il consumo di carne era molto raro e comunque riservato a
classi nobili.
Gli ovini erano utilizzati per la produzione di lana.
Si diffuse l’allevamento degli equini e nella zona di Martina Franca di allevavano muli che
erano utili come mezzi di trasporto.
L’allevamento del bestiame diede dei vantaggi anche nel settore lattiero-caseario, con la
produzione di latte e di formaggi.
La razza pugliese era una razza da fatica adatta ai lavori agricoli e non alla produzione di
carne e latte.
Poco diffusa era la lavorazione del burro di vacca; molto rinomato era il burro bianco di
Otranto. Questo era avvolto nelle foglie di mirto ed era di eccellente qualità. Vi era anche
la produzione di ricotta, cacio-ricotta lasciato seccare su mensole di legno; la ricotta
marzotica che era fatta a marzo e conservata con il sale.
I formaggi non erano trasportato via mare in quanto deperibili; la vendita di solito avveniva
nel luogo di produzione nei paesi di campagna e dei mercatini giornalieri.
Il mare e le sue attività…
La pesca non era molto diffusa e non riuscì mai a svilupparsi. Questo dipendeva dalla
particolare conformazione delle coste, dalla mancanza di insenature naturali, dalla scarsità
di porti. Inoltre le zone costiere erano considerate focolaio di malaria e febbri reumatiche.
Non vi erano corsi fluviali navigabili che permettessero di collegare il mare dall’interno.
Il pesce era sottoposto a prelievi fiscali se veniva trasportato da un luogo all’altro; erano
necessarie autorizzazioni per poter pescare dato che il mare era considerato un bene
demaniale.
Mancava inoltre gente marinara; le attrezzature da pesca erano in comune e così il
pescato era suddiviso in varie parti tra gli interessati sia alla pesca che alla vendita.
Questo portava alla speculazione.
La coltivazione delle ostriche e delle cosse dava un buon raccolto annuo nei mesi tra
aprile e novembre. Queste erano coltivate con impegno ed erano di ottima qualità; quindi
erano rivolte ad un mercato raffinato.
I pesci più comuni non erano molto pregiati ed erano consumati rapidamente sul posto e
non creavano attività commerciali.
Inoltre, dato che non di erano sistemi di conservazione, il esce veniva salato o seccato.
Comunque il ruolo della pesca fu modesto e non contribuì alla crescita del reddito
Otrantino.
Allevamento api e produzione miele…
L’apicoltura era un tipo di allevamento assai diffuso; era legato ad abitudini tradizionali e
non era aperto ad innovazioni. Oltre al problema dei fiori e del polline aveva molta
importanza l’alloggio delle api ed i sistemi di estrazione del miele. I sistemi di allevamento
erano legati alle arnie adoperate. Le arnie di tipo tradizionale erano chiamate arnie
“Silliche” o “rustiche”. Queste furono sostituite dalle arnie a favo mobile.
Particolari cure venivano riservate all’ape regina. Era necessario disporre di un numero
maggiore di api regine, per aumentare il numero degli sciami.
L’arnia a favo mobile era costituita da tanti telai sovrapposti nei quali alloggiavano le api. Al