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MONDIALE
LA GRANDE DEPRESSIONE (1929-1933)pagg 127-158
La caduta delle attività economiche nei primi mesi del 1930 fu considerata da alcuni
un’ordinaria fase discendente del ciclo economico, ma successivamente si capì che non era
così. In tutti i paesi vi fu una consistente riduzione del reddito nazionale. Sulle cause della
crisi, Kindleberger riconobbe che furono molto complesse. La prima è un forte incremento
della base produttiva realizzatosi nella fase ascendente del ciclo e un venir meno delle
aspettative di un’adeguata rimunerazione del capitale investito. Appare quindi chiaro che
fu l’elevato livello delle attività economiche a determinare questa crisi dei mercati. A ciò
vanno aggiunti gli interventi della Federal Reserve che aumentarono notevolmente i tassi di
interesse e provocarono la crisi su scala mondiale. Per alcuni paesi le conseguenze furono a
dir poco drammatiche. I governi di questi paesi per ovviare al problema della cessazione dei
prestiti statunitensi dovettero ridurre i consumi interni con un’elevata pressione fiscale e
ridurre i consumi delle merci di importazione. La conferenza di Londra del 1933 rappresentò
l’ultimo tentativo di uscire dalla crisi. Essa fallì perché nessun paese fu in grado di fornire un
mercato per i prodotti in difficoltà. La mancanza di un sostituto dell’economia inglese ebbe
come risultato i meccanismi di difesa protezionistici che aggravarono i deficit, e l’abbandono
del gold standard. Un altro grave problema era la questione dei debiti di guerra e delle
riparazioni. L’Italia aveva cercato di sistemare il contenzioso ma il piano di Young non era la
soluzione gradita per tutti. Nel 1930 tuttavia gli americani furono costretti ad accettare le
difficoltà della Germania e così Hoover accordò una moratoria e che nel 1932 diventò
definitiva con la Germania. Nel 1931 tutti capirono che la crisi non era affatto passeggera. Il
livello della domanda fu in costante calo, la riduzione della produzione e la falcidia delle
imprese più deboli e la crisi finanziaria costituita dalla caduta dei valori mobiliari ebbero un
effetto dirompente. Dal punto di vista del sistema monetario vediamo anche la fine del gold
Exchange standard, e l’inconvertibilità delle sterline in oro. Nel 1931 quindi in tutti i paesi
vi fu un generalizzato calo della produzione che continuò anche nel 1932. il settore agricolo
fece registrare solo la caduta dei prezzi, quello industriale dei prezzi e delle produzioni.
Questo spiega perché i paesi prevalentemente agricoli risentirono meno della crisi. Il sistema
più diffuso di regolazione e controllo degli scambi fu quello l’adozione degli accordi di
clearing che prevedono che tra gli scambi esteri non si usi la valuta. La crisi in atto era
una buona circostanza per iniziare a dar vita a delle preferenze doganali tra gli stati d’Europa.
Alcuni però videro in ciò un pericolo altri invece videro un valido strumento per tenere sotto
controllo la Germania.
LA SITUAZIONE IN ITALIA
Anche in Italia la situazione non era certo florida. Il reddito nazionale era calato molto e
inoltre a una scarsa elasticità della domanda corrispondeva un’altrettanto scarsa
elasticità dell’offerta. A tutto ciò si deve aggiungere una politica agricola incapace di
stimolare in modo efficace il settore. Ad un elevato grado di sfruttamento del terreno infatti si
accompagnava poca consistenza delle aree coltivabili. Tra i seminativi dominava il frumento,
poi vi era il granoturco e poi gli altri cereali. Tra le arboree prevaleva la vite, gli agrumi e
l’olivo. Tra il 1921 e il 1926 vi era stata una sensibile riduzione dei salariati a fronte di un
aumento degli affittuari, che erano meno vulnerabili alla caduta dei prezzi. Le carenze del
settore agricolo si manifestano anche nei rendimenti delle coltivazioni che erano sempre
inferiori alle agricolture europee. Non meraviglia infatti che l’Italia nonostante la battaglia del
grano importasse ancora il 10 % di frumento. D’altronde gli interventi in politica economica
dell’epoca furono prevalentemente difensivi salvo per la bonifica, con la quale secondo le
intenzioni di Mussolini si sarebbe dovuti giungere all’insediamento di aziende agricole.
L’affanno che caratterizzò l’agricoltura italiana nei primi anni trenta derivò dal
restringimento degli sbocchi sui mercati esteri in conseguenza alla crisi generale e ciò fu di
ostacolo a qualsiasi tentativo di modernizzazione del settore. A determinare questo
andamento furono i costi assai elevati delle macchine agricole la cui offerta era ancora
limitata dalla debole concorrenza dei fertilizzanti. A ciò si devono aggiungere le vicende
metereologi che causarono scarsi raccolti. L’unica coltura che crebbe fu il tabacco.
Per quanto riguarda l’industria superate le difficoltà di trovare un nuovo equilibrio si era
aperto un biennio che durò fino al 1929 assai positivo. Il processo di adattamento alle
nuove condizioni di mercato era avvenuto in parte con la modificazione dei processi
produttivi in particolare l’utilizzo di nuove tecnologie, e inoltre aveva favorito il processo il
contenimento dei costi del personale. Fu aumentato il carico di lavoro e abbassate le
retribuzioni e furono anche ridotti gli organici. La caduta del PIL ovviamente ebbe delle forti
ricadute anche sulle famiglie.
GLI SCAMBI CON L’ESTERO
Il progressivo ridursi degli scambi con l’estero ha motivazioni molto più complesse. Il primo
problema che si viene a porre è l’apprezzamento della lira rispetto alle monete inglese e
americana. Per questo Mussolini decise di imporre nel 1931 un sovra dazio sulle merci
del 15%; tale provvedimento causò una riduzione delle importazioni. Tuttavia furono operate
delle deroghe a tale provvedimento che non era applicato agli scambi con paesi con accordi
commerciali e di clearing, erano escluse le merci provenienti dalle compensazioni private e le
materie di base. Inoltre fu imposto un divieto sull’importazione di alcune categorie di merci.
Se il cambio sopravvalutato della lira rendeva meno cara l’acquisizione delle materie
prime, la forte riduzione delle importazioni di frumento fu la ragione principale di un
miglioramento dei conti con l’estero. Dal punto di vista normativo inoltre il regime
doganale era rimasto del tutto invariato. Rimasero anche invariate le importazioni e le
esportazioni. Nel 1934 per cercare di favorire l’equilibrio dei conti si vietarono tutte le
operazioni in cambio o divise se non rispondevano a necessità dell’industria o del
commercio. Inoltre fu istituito l’obbligo di denunciare il possesso in Italia di titoli stranieri o
emessi all’estero e fu imposta una tassa di bollo sugli stessi. Poiché i provvedimento non
ebbero molto successo si decise di istituire il monopolio dei cambi.
LE BANCHE
Un altro fattore che concorreva ad aumentare il deficit erano i salvataggi effettuati dall’Istituto
di liquidazioni, ma anche dopo la sua fondazione la Banca d’Italia doveva sempre intervenire
massicciamente. Nello stesso periodo maturò la definitiva crisi delle banche miste e proseguì
il processo di concentrazione innescato nel 1926-1927. Il processo di concentrazione portò a
un migliore rapporto fra sportelli e aziende, però tale processo portò alla riduzione delle
piazze bancabili, segno che faceva aumentare il dualismo del paese. Il vigoroso incremento
della raccolta rappresentava una forma di mobilitazione dei redditi familiare molto positiva
anche se da un lato non era corretto che essi andassero ad alimentare la Cassa depositi e
prestiti. Anche la gestione delle banche risentì molto della crisi degli anni 1930. Gli istituti di
credito di diritto pubblico avevano indirizzato i finanziamenti a tre gruppi di destinatari: enti
pubblici, banche e alle costruzioni e opere pubbliche.
La struttura del credito in Italia si era specializzata dal credito fondiario ed agrario al credito
alle amministrazioni locali. Ma non sempre il funzionamento di tale sistema era stato
adeguato alle necessità e per l’agricoltura la questione è già stata affrontata. Nel 1931 tuttavia
fu messa in pratica l’idea di fondare un istituto di credito per le piccole e medie imprese
chiamato IMI. Un sostegno finanziario alle imprese negli anni della crisi del 1929 avvenne
anche da altri enti. Tuttavia la crisi aveva creato un secondo ciclo di salvataggi che richiesero
costi elevatissimi nel 1931-1932. Per risolvere il problema quindi si decise di concentrarsi sul
credito a breve e di attivare tutte le forme di finanziamento del capitale di esercizio, ma anche
di porre fine alle erogazioni a fondo perso. L’unica soluzione per evitare di far intervenire
costantemente lo stato fu la creazione nel 1933 dell’IRI, istituto per la ricostruzione
industriale. Fino al 1937 era diviso in due sezioni: finanziamenti e smobilizzi. Le operazioni
di smobilizzo portarono alla luce una situazione molto confusa. La sezione finanziamenti si
occupava di finanziare i principali settori industriali anche con l’emissione di obbligazioni
dell’IRI stesso, questi finanziamenti erano a medio e lungo termine. Alla sistemazione delle
banche miste raggiunta con la nascita dell’IRI corrispose un netto miglioramento dei conti
della Banca d’Italia. L’IRI inizialmente nato come ente temporaneo diventa permanente per
due motivi:
• È impossibile collocare sul mercato i pacchetti di obbligazioni di controllo per la
mancanza di capitali;
• Si afferma in tal modo un orientamento favorevole all’intervento dello stato in
economia come diretto imprenditore.
Con la nascita dell’IRI notiamo che le imprese vengono ad assumere una conformazione
privata in quanto gli amministratori vengono dall’IRI.
A seguito della crisi del 1929 si era capito che l’economia deve essere regolata poiché il
libero mercato può causare instabilità. Il più fiero sostenitore di questa tesi fu keynes che nel
1920 scrisse un libro “le conseguenze economiche della pace” dove sostiene che l’economia
ha un altro grado di integrazione con la politica in generale. L’IRI diventa nel 1937 un
componente dinamico del sistema economico. La siderurgia italiana si modernizza grazie a
questo ente(dalmine, terni). In sintesi si era dovuti giungere alla creazione dell’IRI perché le
banche avevano tentato di ripetere ciò che era accaduto nel 1921: avevano tentato di ottenere
dei supporti dallo Stato senza però cedere le partecipazioni. Esse desideravano un ‘azione
pubblica che non impedisse il famigerato rapporto banca-industria. Però nel 1931 il ministero
del Tesoro memore della situazione avvenuta dieci anni prima rifiuta le proposte delle banche.
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