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2) GERMANIA: LA REGLAZIONE DI HITLER AL RIARMO
La Germania applicò le politiche deflazionistiche in modo estremo: le imposte vennero
aumentate senza pietà, ed i tassi d’interesse salirono a vette incredibili, provocando il
collasso dell’economia tedesca (eravamo sotto il periodo della Repubblica di Weimar).
Occorre però considerare i seguenti aspetti:
1 – non essendoci più un afflusso di capitali stranieri già a partire dal ’28, per il
pagamento delle riparazioni si doveva provvedere attraverso un avanzo della bilancia
dei pagamenti per ottennero il quale occorreva essere molto più restrittivi degli altri
paesi.
2 – il collasso dell’economia tedesca poteva indurre al cancellamento, o alla
sospensione, delle riparazioni.
3 – il marco non poteva essere svalutato, sempre a causa delle condizioni della pace di
Versailles.
4 – una svalutazione avrebbe aumentato il peso reale del debito.
5 – i salari erano inflessibili a causa del potere dei sindacati.
6 – non vi erano significative elaborazioni contemporanee di linee di politica
economica alternative.
Alle elezioni del 1932, il partito nazista ottenne un rilevante successo che spianò la
strada alla presa del potere da parte di Hitler nel gennaio del 1933. Hitler puntava
tantissimo nel riavviare gli investimenti nel settore edilizio e del trasporto, restaurando
la piena occupazione prima dell’inizio del riarmo su ampia scala (il successo
economico rafforzò tantissimo il regime). Il riarmo fu iniziato nel 1936 e l’obbiettivo di
Hitler era di creare uno stock di armamenti che permettesse una guerra lampo. Due
furono i metodi impiegati per mobilitare le risorse per il riamo: autarchia e
sfruttamento economico dei paesi dell’Europa centro-meridionale. Nel caso
dell’autarchia, si utilizzò con un certo successo l’industria chimica per produrre
materiali sostitutivi, pur rimanendo ancora legati agli altri paesi per petrolio e metalli.
Per quanto riguarda la politica di creazione di uno “spazio vitale” attraverso
l’egemonia su molti paesi Europei, non vi sono dubbi che il commercio tedesco si
indirizzò a loro favore, con una incidenza però del tutto modesta.
3) ITALIA: L’IMPERIALISMO STRACCIONE
Con l’IRI e l’IMI lo stato italiano si trovò a possedere il 21,5% di tutti il capitale delle
società per azioni italiane, riuscendo a controllare il 42% di tale capitale. Nel 1937,
l’IRI, che era stato originariamente pensato come un ente temporaneo fu dichiarato
permanente, mentre nel 1936, venne varata una riforma bancaria che rendeva
pubblica la Banca d’Italia, abolendo la banca mista, abbandonando il gold standard e
legando la lira al dollaro. Nel ’34 però, l’economia italiana non dava ancora cenni di
ripresa, e fu allora che scattò in Mussolini l’idea di parlare di dare sbocco alla
popolazione italiana in Africa, e a progettare un intervento militare che effettivamente
avvenne nel ’35 in Etiopia (nel ’36 venne conquistato il territorio e dichiarato l’impero).
Tutto ciò, andando contro un accordo raggiunto a livello internazionale secondo il
quale non si sarebbero più effettuate campagne coloniali in Africa. Con il patto
d’acciaio del 1938 invece, entrarono in Italia le leggi razziali contro gli ebrei, e fu
l’anticipazione dell’entrata in guerra a fianco della Germania nel 1940.
4) FRANCIA: DALLA CRISI ALLA DISFATTA
Se l’economia francese non fu inizialmente molto colpita dalla recessione a causa del
suo grande stock di oro, dalla svalutazione della sterlina in poi incominciò ad accusa
una notevole caduta delle esportazioni. Quando il paese si rese conto dell’incapacità
dei suoi governi, nel 1936 andò al governo Blum, le cui prime decisioni non furono di
svalutare il franco, ma di aumentare i salari e diminuire le ore di lavoro. L’incongruità
di queste misure rispetto alle condizioni dell’economia francese venne
immediatamente capita dagli imprenditori che iniziarono ad esportare capitali,
rendendo la svalutazione inevitabile. Dal ’37 al ’38 si susseguirono governi di
brevissima durata, e soltanto alla fine si incaricò un personaggio di polso, Daladier,
che chiamò Reynaud a governare l’economia. La settimana di 40 ore venne messa in
soffitta, vennero varati incentivi agli investimenti, promossa la ricerca e la raccolta di
statistiche e venne iniziato un massiccio programma di riarmo. La produzione
industriali risalì, ma troppo tardi per poter efficacemente contrastare l’attacco tedesco
nel 1939.
CAPITOLO 13 – LE CONSEGUENZE SOCIALI ED ECONOMICHE DELLA
SECONDA GUERRA MONDIALE E LA RICOSTRUZIONE
1) PRINCIPALI VICENDE ECONOMICHE DEGLI ANNI DI GUERRA
L’escalation della Germania e dell’URSS a partire dal 1942 e degli USA a partire dal
1943 è evidentissima. Gli incredibili livelli raggiunti dalla Germani a particolarmente
dall’URSS, un paese molto povero, hanno parte della loro spiegazione nel fatto che
ambedue queste nazioni (ma anche la G.B.) potevano contare su risorse aggiuntive
provenienti dall’esterno, dagli USA per la G.B. e per l’URSS, e dai paesi occupati per la
Germania. Nella Germania, l’idea base era quella di un NUOVO ORDINE:
- stato corporativo di stampo fascista;
- programmazione, però non centralizzata allo sovietica, ma da economia mista con
forte presenza dello stato;
- autarchia;
- spazio vitale;
Lo spazio vitale venne interpretato in maniera coercitiva, attraverso l’annessione e
l’occupazione di molti paesi, cui poi veniva richiesto di contribuire all’economia
tedesca. Tuttavia, proprio perché l’intero sistema si reggeva sulla coercizione e la
violenza, i tedeschi dovettero affrontare il serio problema dell’organizzazione di una
forza lavoro spesso riottosa.
In G.B., il primo problema da risolvere fu quello di trovare risorse per far fronte ad una
guerra che, con la sconfitta della Francia, diventava sempre più lunga e costosa. Fu
allora necessario richiedere aiuto agli USA che ancora non erano in guerra. Nel marzo
del ’41 il Congresso americano approvò una legge secondo la quale qualsiasi aiuto di
guerra sarebbe stato fornito senza contropartita, allo scopo di eliminare alla radice una
ripetizione dei perversi effetti dei debiti di guerra nella prima guerra mondiale. Nel
maggio del ’41, la G.B. inviò negli USA una delegazione capeggiata da Keynes per
negoziare un piano di aiuti. Alla fine venne raggiunto un compromesso e varata la
CARTA ATLANTICA, in cui si affermava esplicitamente il principio del multilateralismo e
si invocava un assetto mondiale cooperativo. Il punto di svolta fu l’entrata in guerra
degli USA nel ’42, e fu per questo ruolo predominante che gli americani si
guadagnarono che fu la chiave di volta dell’architettura della pace successiva.
2) LA PRESENZA AMERICANA IN EUROPA DOPO LA FINE DELLA GUERRA ED IL PIANO
MARSHALL
Dopo la guerra, ci si pose il problema di amministrare le zone tedesche occupate, dove
l’economia non funzionava ed il sistema monetario era nuovamente andato distrutto
Ma il problema principale era quello di disegnare una ricostruzione dell’Europa che
desse maggiori garanzie di continuità rispetto a quella che era stata concepita dopo la
prima guerra mondiale con la pace di Versailles. Nel corso del ’47 gli USA si resero
conto che erano di fronte ad un drammatico dilemma: o lasciare che l’Europa si
avvitasse nella sua spirale perversa, o intervenire con un nuovo piano di aiuti. Nel
primo caso gli USA si sarebbero trovati senza un partner per commerciare, con il
rischio di un’altra grande crisi. Nel secondo caso, era chiaro che si sarebbe dovuta
includere la Germania fra i paesi beneficiari del nuovo piano. Nel 5 giugno del 1947,
Marshall annunciò che gli USA erano decisi a finanziare un piano pluriennale di
sostegno alla ricostruzione di tutti i paesi europei che avessero voluto aderire. Il suo
obbiettivo era quello di coprire mediante aiuti americani i disavanzi delle bilance dei
pagamenti dei paesi europei. Il modello di crescita che gli americani proponevano era
il loro, basato sull’aumento della produttività e l’organizzazione scientifica del lavoro.
MA gli americani non si limitarono ad offrire fondi; progettarono anche un meccanismo
di distribuzione degli stessi basato su due concetti: a) si trasferivano direttamente i
beni richiesti, b) qualunque decisione doveva essere concordata con gli americani, che
mantenevano la supervisione e la responsabilità ultime dell’intero sistema.
3) IL PIANO MARSHALL E GLI INIZI DEL PROCESSO DI INTEGRAZIONE EUROPEA
Oltre al ruolo giocato nella ricostruzione materiale dell’economia europea, il piano
Marshall fece da “levatrice” alla nascita di una nuova convivenza in Europa. Nel 1947
venne creato a Parigi un Comitato il cui compito era quello di far effettuare studi
tecnici sulle economie europee per permettere a ciascun paese di formulare il proprio
piano quadriennale e per rendere gli obbiettivi di ciascun paese compatibili a livello
aggregato. Nel ’48 venne tramutato in OECE (Organizzazione per la cooperazione
economica europea). MA l’OECE dimostrò subito di non avere potere decisionale; fu
l’insorgere di un altro serio problema che si rivelò fondamentale: con il piano Marshall
era diventato chiaro che non si poteva più prolungare la ricostruzione dell’economia e
dello stato tedesco. I francesi tuttavia, continuavano a temere la ricostruzione
dell’industria pesante tedesca e agitavano la questione dell’istituzione di un’Alta
autorità che tenesse sotto controllo la Ruhr. Il problema era che non si capiva da chi
dovesse essere guidata tale autorità. Fu per il coraggio del ministro degli esteri
francese SHUMAN che venne proposta una soluzione innovativa, e tale soluzione fu un
accordo diretto con i tedeschi per la costituzione di un organismo congiunto
sovranazionale con pieno potere decisionale, aperto all’adesione di altri paesi, per il
controllo dei settori del carbone e dell’acciaio. Questo accordo a cui parteciparono 6
paesi (Francia, Germania, Italia, Olando, Lussemburgo, Belgio) venne firmato nel 18
aprile del 1951 e fu la CECA.
4) CREAZIONE DI ORGANISMI ECONOMICI INTERNAZIONI: GATT, FMI E BANCA
MONDIALE
Nel 1948 venne creato una sorta di forum per negoziati commerciali denominato
GATT, le cui seduti (round) iniziarono già a Ginevra nel 1947. Vi seguirono numerosi
round che portarono negli anni ‘50 all’eliminazione di quasi tutte le restrizioni
quantitative, oltre che ad abbassare i dazi. Negli anni ’70 ci fu il round denominato
Kennedy che riuscì a diminuire di un terzo