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Estratto del documento

Agostino, che si distanziava da tali posizioni. Difficile fu il confronto tra Greci ed Ebrei, gli imperatori tentarono una riconciliazione

ma fallirono (vd. Claudio). I Greci considerano gli Ebrei antropofagi, disgustosi, atei (accusa reciproca): sono il preludio alla

repressione romana, una guerra che si concluderà con il quasi sradicamento della cultura giudaica. Del resto l’antigiudaismo percorre

la storia, da Lutero a Voltaire al nazismo (che inizialmente attira anche alcuni intellettuali ebrei), e serpeggia nella Chiesa, nel mondo

arabo e in ampi settori del mondo antico: ma non a Roma, che occupa blandamente la Palestina e non la reprime fino al 66, anno

della rivolta. Tale ri-volta si strutturava, come nella Persia, in un ritorno all’antico, contro le monarchie ellenistiche e l’Impero: quelle

giudaiche ed iraniche furono le sole rivolte strutturali nel mondo romano, capaci di darsi un obiettivo, le uniche vere opposizioni

all’Impero. Gli Ebrei trovavano infatti nel monoteismo la loro indipendenza etnica, tanto che furono i sacerdoti a guidare le rivolte

(nonostante molti Farisei collaborarono con Roma); alcune rivolte scossero il dominio di Roma, ma furono tutte fuochi di paglia

incapaci di migliorarsi, mentre in quelle giudaiche si ritrova, con maggior enfasi letteraria, una differenza qualitativa: le rivolte

schiavili furono ampie ma senza seguito, come quella di Sertorio, più pericolosa (specie perché Mitridate, Spartaco e i pirati

fiaccavano parte dell’esercito), e quella di Vercingetorige, o di Arminio (che, pur non intaccando Roma, le precluderà per sempre la

Germania), di Budicca, di Iulius Civilis dei Batavi (entrambe rivolte nativiste); numerose furono le rivolte, ma mai efficaci e

sistematiche come quella giudaica, contraddistinta da fondamentalismo e religiosità senza eguali (anche se non sono da sottovalutare

i moventi economici e socio-politici). In Egitto gli scontri fra Ebrei ed Egiziani iniziarono in epoca faraonica, per continuare in quella

persiana e tolemaica: le loro usanze, alimentari, lavorative, religiose (un monoteismo intransigente, non sincretico e senza immagini),

non venivano tollerate; l’unico imperatore relativamente filo giudaico pare essere Nerva. La circoncisione era una delle pratiche che

più qualificavano la loro alterità, spesso derisa o disprezzata ma mai condannata legalmente. Complessivamente furono gli Ebrei a

interessarsi della cultura greca, non viceversa, ma per tale motivo molti vennero condannati dal proprio stesso popolo: i Tolemei

furono molto tolleranti, contrariamente ai Seleucidi.

a. La composizione sociale delle rivolte giudaiche Forti divisioni percorrono continuamente il mondo giudaico, spesso fra mondo

urbano e rurale. Già con i Maccabei si delineava uno scontro fra élite urbana filosiriaca e la campagna di Giuda Maccabeo. Durante

la guerra del 66-74 saranno le classi più basse a portare avanti ad oltranza la rivolta (i re si schierarono con Roma): non fu solo

antiromana, ma anche fra fazioni in lotta (gli Ebrei non furono mai una nazione particolarmente omogenea); dopo le prime sconfitte, i

farisei ellenizzati si dissociarono, partendo da un pessimismo che si risolve nell’indifferenza verso lo Stato, nella separazione di

religione e politica; le aspre divisioni creano, accanto alle sette di Esseni, Farisei e Sadducei, quella degli Zeloti. Simmetricamente la

rivolta della diaspora contro Traiano si muove da un’internazionale giudaica in tutto il Mediterraneo orientale, e ancora l’ultima, nel

135, vede spaccature profonde fra le élites rabbiniche palestinesi; comunque anche una parte minoritaria di esse partecipò alle rivolte.

b. Antropologia della guerra giudaica Nella spiritualità estremistica si genera il ribellismo inesausto e contradditorio della guerra

giudaica; in essa si diffonde il preconcetto dell’avidità degli Ebrei, e del cannibalismo, tutti fraintendimenti delle loro pratiche

religiose, e anche del suicidio di massa, come nell’episodio di Masada: dopo di esso la presenza romana in Palestina aumenterà.

Giuseppe Flavio sottolinea la fierezza del popolo giudaico, popolo sempre bellicoso e votato al martirio.

c. La rivolta della diaspora (115-117) Si tratta di un movimento di ampia portata, dalla Cirenaica alla Mesopotamia: essa vede i

Greci prendere iniziative antisemite di massa, mentre i Romani cercano di condurre in forme di legalità poliziesca la repressione del

tumulto: è il 14 ottobre del 115. I Romani non vogliono aiuti dai Greci e dagli Egiziani, perché non sono spinti come loro

dall’antisemitismo, ma solo dalla volontà di ripristinare l’ordine. Comunque l’antigiudaismo non è l’atteggiamento dominante fra i

Greci, e rivivrà soprattutto nel cristianesimo egiziano. La rivolta si estende dalla Cirenaica alla Mesopotamia all’Egitto e a Cipro, e

anche all’Arabia Petrea e alla Giudea. Con il regno di Adriano la rivolta si placa, nel 117, e il prefetto antigreco Rutilio Lupo viene

sostituito, lui che aveva sconfitto gli Ebrei ma con gravi perdite. Le fonti in questo caso si sdoppiano, alcune considerando Traiano e

Adriano filogreci e antigiudei, altre il contrario. Ma se sono chiari i rapporti fra Ebrei, Romani e Greci, meno lo sono quelli interni

agli Ebrei. La rivolta del 133, interna alla diaspora, è una fiammata disperata contraddittoria e senza cause precise: sarà l’ultima

rivolta, circoscritta alla Palestina (nonostante Flavio Giuseppe bollasse gli ebrei alessandrini come sediziosi). Si evince così come

all’interno del giudaismo vi siano diversi giudaismi, in ogni rivolta: insieme ai Persiani furono l’unico popolo a non omologarsi a

Roma, ma, al contrario dei primi, persero il loro Stato. Differente fu il rapporto verso i neri, prima mitizzati poi temuti.

13. L’ideologia dell’impero ecumenico

Elio Aristide, il grande nevrotico antico, ciecamente fidato nei sogni, elabora un Encomio di Roma, ma sempre consapevole della

superiorità greca, mai completamente romanizzata. Per egli i Romani hanno abolito le differenze razziali, superato l’idea di barbaro,

unificando il mondo in un’unica cultura e livellando le differenze etniche (anche se i popoli continuarono a combattersi). Tale

ideologia esalta acriticamente un impero di pace, senza tener conto delle numerose guerre intestine: i Greci non si fecero mai

romanizzare, né per questo si opposero, tranne sporadici casi, a Roma. Il documento di Aristide, come molti altri, sono encomiastici,

poco attendibili: la prima marcia su Roma fu in realtà un sanguinoso colpo di Stato, Augusto è violenza e civilizzazione.

14. Invasioni barbariche?

L’ingresso dei barbari nell’Impero determinò una svolta storica e terrore diffuso, ma spesso drammaticamente esagerato, poiché in

realtà di scarsa consistenza demografica, solo una serie di razzie o stanziamenti definitivi ma inseriti nel contesto romano. In breve i

barbari assimilano i costumi latini, anche per acquisire potere politico (vd. Stilicone). La questione sulle cause del tramonto

dell’Impero è ancora aperta (si ipotizza anche un avvelenamento generale da piombo), ma il declino prevalentemente militare va

circoscritto, in un mondo dove anche la Chiesa giustificava la guerra: l’Impero cadde senza rumore, senza tuttavia dissolversi, in

quanto restò vivo in molte pratiche dei regni romano-barbarici. La caduta di Roma non corrisponde alla fine della civiltà.

15. Confini dell’Impero romano? Il problema delle razze

La storia romana si svolge nell’ossessione dei confini, trasformare geometricamente la natura irregolare stabilendo frontiere ed

orizzonti di conquista, cosa in cui i Romani si dimostrarono molto abili; esistono tuttavia dei confini immaginari, definiti da

consuetudini secolari. I gromatici romani preferirono confini ben visibili, non valicabili senza reciproci accordi: dal pomerium alla

limitatio (centuriazione) al limes; ma tali confini cambiavano, a seconda del confine ideologico dell’Urbe. L’Impero doveva

estendersi fino alla fine della Terra, perciò sono numerose le documentazioni, nel tempo e nello spazio; essere un propagator imperii

appariva un titolo esemplare, anche se spesso gli ampliamenti non furono benefici. In genere i Romani non utilizzavano muraglie o

fossati, eccetto alcuni casi, ma la linea di confine era attrezzata in modi articolati, con campi ed avamposti, una linea profonda che

nel tardoantico arriverà a penetrare nel territorio dei barbari. Enormi risorse venivano così convogliate nelle regioni di confine,

garantendo a queste una molla economica. I Romani ambivano ad espandersi più a Sud, a fini esplorativi e di conquista; in età

faraonica l’Egitto conquistò la Nubia e ne venne poi aggiogato, finché la dinastia nubiana venne scacciata nuovamente a Sud, sul cui

confine i faraoni crearono una linea di forti; anche in età tolemaica si attesta un ulteriore stanziamento. In Egitto è ambiguo il ruolo

dell’area della I cataratta, confine ma anche luogo di incontri e scontri, e di interazioni fittissime: difficile è parlare di un confine

netto fra Egitto e Nubia (importante il presidio di Qasr Ibrim). Gli antichi utilizzavano il termine Aithiops per definire i neri in

generale, non una sola popolazione, a Sud dell’Egitto: con questi i Romani entrarono in contatto attraverso l’Egitto, ponte fra Africa

nera e Mediterraneo; inoltre il regno etiope di Kush venne più volte i contatto con la valle del Nilo, da un iniziale dominazione (le

guardie del faraone erano etiopi) alla conquista che delineò la XXV dinastia, a cui succedettero gli Assiri, dialoganti con Kush. I

confini meridionali dell’Egitto rimasero fortemente instabili per tutta l’età ellenistica e l’Impero romano, di cui diverrà confine,

comportando numerosi problemi, ben sottolineati dalle numerose campagne in zona a partire da Augusto. Soprattutto in queste aree

Kushiti ed Egizi vissero un sincretismo intorno al culto della dea universale Iside, poi estesosi nel Mediterraneo; ciò fece nascere una

disputa sull’origine dei faraoni delle XXV dinastia, se neri o caucasici (probabilmente una popolazione mista a predominanza

negroide). Con l’arrivo degli Assiri il regno di Kush si africanizzò, perdendo le caratteristiche egiziane. Diversi furono invece i

rapporti dei neri con Greci e Romani; i primi probabilmente entrarono in contatto con tali popolazioni durante le Guerre Persiane e la

fondazione di colonie in Egitto, i secondi durante le Guerre Puniche: si ipotizza che dopo la guerra annibalica diversi etiopi rimasero

in Italia come schiavi; i contatti si intensificarono con la conquista dell’Egitto, quando Augusto capì la necessari età di mantenere

rapporti pacifici con le popolazioni del confine Sud. Interessante è capire la percezione della cultura greco-romana verso i neri: la

primitiva innocenza in Omero scomparve totalmente quando essi cominciarono a rappresentare una minaccia e si mescolarono alla

popolazione romana; d

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A.A. 2014-2015
8 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/03 Storia romana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gneo Giulio Agricola di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia economica e sociale del mondo antico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Bussi Silvia.