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INTEGRAZIONE E ALTERITÀ
DANIELE FORABOSCHI – SILVIA BUSSI
INTEGRAZIONE E ALTERITÀ
Incontri/scontri di culture nel mondo antico
LE CULTURE
- Greci/Barbari/Schiavi
La storia è da sempre un fenomeno di competitività: così anche per il mondo classico, caratterizzato da una serie di guerre, la vittoria delle quali era festeggiata con festose processioni trionfali.
Nelle fasi più mitologiche si inventano grandi idee di apprezzamento delle altre culture: Omero, per esempio, descrive gli Etiopi come un popolo semidivino e bellissimo.
La realtà storica, però, non è così: le culture diverse vengono disprezzate! Basti pensare al fenomeno dello schiaviltù: gli schiavi di tutte le epoche sono stati considerati esseri inferiori.
Aristotele: gli schiavi, per la loro cultura, non sono esseri umani ma strumenti nelle mani dei padroni
Giovenale: “ma lo schiavo è forse un essere umano?”
Papa Pio IX: la schiavitù non è “del tutto contraria alla legge naturale e divina”
Nietzsche: bisognerebbe reintrodurre la schiavitù
Anche la storia della Chiesa è percorsa da questa idea: né S. Agostino né S. Paolo condannano la schiavitù, vista come struttura sociale inevitabile, fermi nella convinzione che la vera libertà sia quella interiore.
Il disprezzo per gli inferiori fu comunque una costante:
- Le donne hanno una capacità bouluetika senza padronanza
- I bambini hanno una capacità bouluetika incompleta
- I persiani sono dei “barbari” inassimilabili (Eschilo, i Persiani), dovrebbero essere uccisi come bestie e piante (Plutarco).
[In generale Hellenikòn e barbarikòn sono due antipodi]
In sintesi l’esperienza etnografica ci dice che l’altro non è visto solo come uno straniero, ma anche come un individuo inferiore da disprezzare e temere. Dalle pagine del panegirico di Isocrate emerge il senso di superiorità della cultura greca rispetto alle altre; l’idea di essere superiori ha portato i Greci, come sottolinea Momigliano, a una cecità culturale, a un disinteresse per le altre culture; nonostante Erodoto abbia fondato l’etnografia, egli stesso non conosceva il latino.
L'isolazionismo ellenico risale alle origini: già in Omero esiste un opposizione tra il consorzio umano (greci ma anche Troiani) e “gli altri”, esseri mostruosi e selvaggi (ciclopi, amazzoni). Curioso è, inoltre, che i primi coloni greci in Occidente chiamarono il loro insediamento “isola delle scimmie”, con riferimento agli abitanti indigeni.
Malgrado l’esclusivismo delle poleis, che spesso erano in contrasto tra loro, talora i Greci riscoprirono una comune identità ellenica in opposizione agli stranieri.
Ci sono delle forme di sordità culturale che percorrono strutturalmente tutte le civiltà: Colombo scoprì l’America ma non gli americani. Cortès, invece, si interessa della loro cultura, anche se esclusivamente per dominarli.
Scoprire l’altro è un processo mentale complesso, infatti i sincretismi sono fenomeni rari nella storia.
2. Multiculturalità?
I greci furono sordi e ciechi davanti alle culture diverse: erano poco propensi a imparare le altre lingue, in particolare quelle orientali.
I romani, invece, da grandi imperialisti quali erano, avevano una tollerante coscienza multiculturale. Ciò è evidente se guardiamo alla letteratura latina delle origini: essa prende avvio con la traduzione in latino dell’Odissea da parte di Livio Andronico e prosegue a lungo su modello greco (Fabio Pittore, per esempio, scrive gli Annali sulla storia di Roma in greco).
La tolleranza romana si esprime anche sul piano religioso, in un’ottica di “teologia civile”: il politeismo latino e l’apertura a divinità straniere è alla base della lunga durata dell’impero. La via dell’intolleranza viene imboccata dall’imperatore Decio, che perseguitò i cristiani, e successivamente da Giuliano l’Apostata. Segue la stessa linea il cristianesimo: come ogni monoteismo missionario, tentò di imporre la propria divinità.
A livello linguistico i romani si mostrano apertissimi. Molti grandi autori parlavano altre lingue oltre al latino (Ennio e Plauto l’osco, Cecilio Stazio celtico, Ennio osco, greco e latino...). Insomma, Roma non impose mai una lingua.
Lo stesso discorso si può fare sulle arti figurative: i templi, le pitture, le monete sono improntate sullo stile greco e molti artisti erano greci.
Quindi l’intreccio di lingue e culture è un fenomeno più romano che greco. I romani, tuttavia, passarono da una fase in cui si sentivano “barbari” rispetto ai Greci, ad un successivo sentimento di superiorità e di disprezzo per alcuni aspetti dell’etica greca (in particolare il “penetration model”). Il mondo latino mostra entusiasmo per Omero, mentre quello greco ignora Virgilio. Non accade lo stesso nel mondo arabo: Ibn al-Awwam cita l’autore delle Georgiche.
Il primo greco che scrive in latino è il vescovo di Lione Ireneo, nel II sec d.C., ma solo nel IV sec d.C. un greco riesce a scrivere in un latino singolare e artistico: Ammiano Marcellino.
Al contrario, il greco diventa presto la seconda lingua dei Romani acculturati, entro il II sec d.C. e successivamente anche dei meno colti, come si può vedere dalle iscrizioni di Romani in Grecia, tutte scritte in greco corretto.
Anche Arabi e Sìraci scrivono in greco e/o latino e adottano stili pittorici greco-romani (vedi scavi nella città di Faw).
Una città che mostra una multiculturalità è Palmira, città bilingue: il tariffario doganale è scritto in greco e in latino, le divinità avevano un nome greco e l’equivalente locale. Lo stesso fenomeno si mostra in molte altre città della Siria, dove l’onomastica semitica si affianca a quella greco-romana.
Il multiculturalismo nasce sempre da un dramma: conquiste espansionistiche, emigrazioni forzate, ottusità mentale...ma quando diventa dialogo è un arricchimento per tutti.
3. Oracoli/apocalissi/integrazione
Per gli antichi solo gli dei conoscono il futuro, e solo certe categorie di individui come i mantis, indovini e profeti possono condividere questo sapere.
- ORACOLO DEL VASAIO – testo in cui l’Egitto appare come un mito sognato, spesso interpretato come espressione di sentimenti antigreci, ma oggi inteso come propaganda dei Tolomei. In questo testo emerge la tensione tra Alessandria e le campagne egiziane.
porta racconta le vicende che riguardano la moglie del padrone e delle sue relazioni
adulterine col suocero. Mazzarino ha spiegato la poesia in questo modo: presso i romani la
donna entra in famiglia dopo un anno dal matrimonio, presso i celti solo quando il marito
diventa pater familias, cioè alla morte di suo padre. Per questo nuora e suocero potevano
giacere insieme senza commettere abuso.
6. Mobilità sociale e multiculturalità
L’imperatore Claudio, col discorso di Lione, concede ai celti di entrare in senato. In questo
discorso Claudio si richiama alle antiche tradizioni romane: fa riferimento ai primi sette re di
Roma, molti dei quali furono stranieri.
I romani ebbero presto una consapevolezza cosmopolita della loro civiltà: conquistarono il
mondo per imparare da tutti e per promuovere tutti: anche un “cameriere” poteva fare
carriera e diventare addetto ai rifornimenti alimentari dell’esercito.
A testimoniare la mobilità sociale promossa dai romani c’è la documentazione dell’archivio
dei discendenti di Laches: nelle lettere di questa famiglia di ricchi proprietari che vivevano
tra l’oasi del Fayum e Alessandria c’è una grande ricchezza linguistica e diversi ecchi poetici e
filosofici.
7. La magia e l’irrazionale
Tutte le culture, anche le più avanzate, sono pervase dall’irrazionale e dalla magia che,
spesso, si accompagnano alla religione e alla scienza medica. Questo atteggiamento
interessava tutti, perfino gli intellettuali, per esempio Catone il censore, in un famoso passo,
esalta la magia come rimedio contro le lussazioni o le fratture.
La magia presuppone la fede che la divinità compenetri ogni cosa e possa risolvere ogni
situazione: all’epoca religione e magia non si contrapponevano, procedevano anzi
simultaneamente. Significativa è, in tal senso, la definizione di Lucrezio di “scelerata religio”,
che sta a significare proprio la superstizione che, però, talora sconfina nella religione vera e
propria.
Religione e superstizione erano così radicate nell’animo dei popoli, che potevano essere
strumentalizzate per fini politici (nota è l’espressione polibiana di instrumentum regni). Ma
esiste un ambito religioso che il potere politico relega in ambiti occulti: i misteri. I culti
misterici, infatti, per quanto siano stati diffusi, ci restano perlopiù ignoti, fermo restando che
per gli stessi fedeli spesso le cerimonie erano incomprensibili e deliranti.
La mentalità magica è testimoniata dai numerosi papiri contenenti filtri d’amore, formule
magiche per divenire invisibili, maledizioni... un esempio classico è il Giuramento di
Dardanos in cui si spiega come fare un incantesimo d’amore: dopo aver inciso segni e figure
su una pietra magnetica, bisogna dire delle speciali formule per fare innamorare l’altro.
Tale era la fede nel magico che si pensava che anche gli amuleti potessero avere effetti
medicinali.