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In europa le conseguenze della prima guerra mondiale furono fondamentalmente 4, Il baricentro commerciale
mondiale si spostò dall'eurozona all'america, basti pensare che prima l'america deteneva il 13% del commercio
mondiale e dopo la guerra il 32%. Mentre l'europa passò dal 60% al 50%. Inoltre era l'america a decidere le sorti
dell'europa in quanto dopo la guerra possedeva tantissimi crediti nei confronti delle potenze belligeranti, in particolare
Francia, Italia e Inghilterra (debiti che questa ricopriva largamente con i crediti verso le prime due). Infatti se alla fine del
primo conflitto la sua richiesta di rientrare dal debito comportò la crisi, alla fine del secondo (seguendo le tesi di Keynes) il
suo aiuto nella ricostruzione determinò la ripresa.
Si registrò in tutta europa un crollo del valore delle valute nazionali, causato dall'abbandono del Gold Standard, dalla
fine del sostegno Americano e dai dubbi sulla liquidazione dei debiti e delle riparazioni di guerra. Come si è visto in Italia e
vedremo in Germania dove si manifesterà una IPERinflazione.
Il trattato di Versailles determinò il principio del nazionalismo etnico, e ciò comportò la nascita di nuovi stati dalla
divisione dei grandi imperi (Russo, ottomanno, tedesco e austroungarico). Questo cambiamento politico ebbe grandi
riflessi anche sul piano economico, comportò la frammentazione economica. Infatti i grandi imperi vivevano delle
economie complementari, quindi se l'ungheria produceva materie prime e l'austria le trasformava in prodotti finiti, ora il
processo è reso più complesso (aumentando i già enormi debiti dei due stati). Inoltre aumentarono le frontiere e quindi il
costo dei trasporti. A cui va giunto un aumento del protezionismo dovuto al nazionalismo causato dai dubbi sulle
riparazioni e i debiti.
La quarta e ultima conseguenza fu la questione delle riparazioni, infatti la guerra comportò enormi perdite umane e
economiche (si stima che il debito fu 6 volte più grande del debito pubblico generatosi tra il 1800 e l'inizio della guerra), e
si decise che doveva essere la germania a ripagare questo debito poiché lei era la causa prima della guerra. La commissione
delle riparazioni quantificò il debito, che dopo una lunga negoziazione arrivò ad essere di 132 miliardi di marchi d'oro,
pagabili in rate con 6% di interessi, in più la germania avrebbe dovuto versare parte di alcune tasse locali ai paesi vincitori.
Queste condizioni erano insostenibili per la germania e dunque si realizzò quello che Keynes aveva predetto. Gli alleati
invasero la Ruhr, una zona mineraria di importanza vitale per la germania e ciò non fece altro che aumentare il
nazionalismo (che porterà alla nascita del nazismo) e a impedire la ripresa economica della repubblica di Weimar, già piena
di debiti. Per risolvere questa situazione entrò in campo l'USA collocando il debito tedesco a Wall Street, e il debito ottenne
grande successo, solo che:
1-Le obbligazioni fruttavano interessi tanto maggiori quanto maggiore era il PIL tedesco e ciò non fece altro che frenare
la crescita
2-La germania faceva un debito per riparare ad un'altro debito.
A ciò si aggiunse la stampa di moneta che portò la germania ad una condizione di stagflazione, stagnazione
economica+inflazione. Basti pensare che se prima della guerra 1 marco valeva 1 dollaro, dopo 1 dollaro valeva più o meno
400 miliardi di marchi. Per risolvere la situazione si provò oltre a istituire il nuovo marco (ReichsMark) e convertire quelli
precedenti distruggendo il risparmio dei privati, anche vendendo i beni tedeschi.
Dopo la fine della guerra si registrò in europa una prima fase di espansione, dovuta allo sfogo della domanda repressa in
periodo di guerra, ma poi si ebbe una crisi da sovraproduzione.
“Politica economica in età fascista”
Durante il periodo fascista che va dal '22 alla fine della seconda guerra mondiale la politica economica fu affidata da
Mussolini fondamentalmente a tecnici che non appartenevano al partito, dunque l'impressione è che il fascismo non avesse
una precisa ideologia economica così come aveva invece una precisa (anche se a tratti sbagliata) ideologia politica. La
politica economica fascista si può dividere in due fasi. La prima è della liberista/produttivista. Questa va dal 22 al 25 e
corrisponde alla durata del ministero di De Stefani. E' detta liberista perchè in questo periodo l'italia si adatto al liberismo
dilagante nel resto del mondo. E' detta invece produttivista perchè mirava a sostenere la produzione e l'esportazione
industriale. Per fare ciò era necessario aumentare il capitale prestato alle industrie e quindi era necessario abbassare il TUS,
per abbassare il costo del denaro. Per fare ciò prima bisognava raggiungere il pareggio di bilancio, e fu fatto riducendo lo
stipendio della pubblica amministrazione e bisognava ridurre l'inflazione. Per aumentare le esportazioni furono inoltre
innalzate le misure protezionistiche. Questo sistema si rivelò però poco efficace perchè le banche avevano ancora in
bilancio le immobilizzazioni derivanti dalla riconversione industriale e quindi non introdussero altro capitale nel sistema
economico, inoltre dopo la guerra l'economia era devastata e quindi non era presente una forte domanda (dopo una iniziale
fase di espansione della domanda repressa). Dunque queste misure portarono solo a fenomeni di speculazione finanziaria
che portò la borsa dopo lo scoppio della bolla a crollare. De Stefani si dovette quindi dimettere.
La seconda fase della politica economica fascista va da 25 al 38 ed è nominata autarchica/corporativista, per gli effetti
che produsse nel periodo di guerra. Il primo ministro di questa fase fu Volpi, che per scelta del partito si pose come
obbiettivo quello di far rivalutare la lira raggiungendo la famosa quota 90 (1 sterlina=90 lire) mentre all'inizio del mandato
si attestava a quota 155. La lira infatti dopo l'inflazione della prima guerra mondiale aveva ripreso a svalutarsi per la
sfiducia internazionale che ruotava attorno all'italia, si pensava infatti che sarebbe presto fallita dopo che non riuscì a
pagare alla scadenza delle obbligazioni sul debito verso l'estero. Volpi riscì a far rivalutare la lira, producendo effetti
positivi per l'economia italiana, nel 26. Questo risultato fu raggiunto rinegoziando il debito con gli stati uniti, cancellando
il debito verso i cittadini attraverso il famoso prestito al littorio, ovvero che deteneva titoli di stato italiani si ritrovò il
credito liquidato. Fu inoltre applicato un calmiere sui prezzi e ridotta la spesa pubblica (sempre riducendo lo stipendio della
pubblica amministrazione. Gli effetti di questa manovra furono in parte positivi e in parte negativi, positivi per l'industria
italiana di trasformazione inquanto favorì le importazioni, quindi crebbero il siderurgico, il meccanico, il settore chimico.
Negativo per il settore agricolo e tessile invece, poiché al contrario sfavorì le esportazioni. Questo fenomeno non fece altro
che peggiorare ulteriormente il divario presente tra nord e sud. Un ulteriore effetto positivo fu quello sui risparmi che
crebbero (dunque se il prestito al littorio li aveva diminuiti ora si rivalutano), e questo fu positivo anche per le banche.
In questa fase politica si intensificò l'intervento dello stato in economia, grazie alla collaborazione del consigliere
Beneduce fortemente stimato da Volpi e dal Duce. Beneduce sosteneva che lo stato doveva intervenire in economia
limitatamente alla gestione della finanza in modo tale da favorire il confluire del risparmio alle imprese. Fu aumentato il
controllo dello stato sulle banche, per evitare il ripetersi di casi BIS. La banca d'italia diveniva l'unico istituto di emissione,
e esso controllava le banche italiane. Queste dovevano avere un minimo di liquidità e un minimo capitale sociale. Dunque
le piccole banche furono costrette a fondersi. In questa fase politica fu creato l'istituto per la liquidazione, che nasceva dal
CSVI, aggiungendo però alla funzione di sovvenzione per le banche quella della imprese. Dunque questo consorzio
acquisiva le società in difficoltà (come era stato per la banca romana) le risanava e poi le reimmetteva nel mercato. Era un
ottimo strumento che però incontrò la crisi del 29* e dunque un mercato che non riuscì a riassorbire queste imprese. La
crisi del 29 nata in america giunse in europa nel 30, e colpì numerose imprese. Vista la “mostruosa fratellanza siamese” tra
banche miste e industrie a sentirne gli effetti furono anche le banche, tanto che la COMIT e la CREDIT rischiarono il
fallimento. Per questo furono istituiti l'IMI e l'IRI. L'IMI era una banca commerciale che finanziava le aziende in difficoltà
attraverso prestiti a medio/lungo termine con la cassa per i depositi e prestiti dello stato. L'IRI invece mirava a smembrare
le banche miste e eliminare questa fratellanza siamese. Acquistava le partecipazioni delle società in difficoltà in possesso
delle banche miste e concedeva prestiti alle imprese, si fuse inoltre con l'istituto di liquidazione svolgendo anche le sue
funzioni. Il problema è che una volta riabilitare queste imprese non si riuscirono a vendere e quindi l'IRI divenne una
enorme holding che possedeva il 21% del capitale sociale italiano e il 42% delle società in italia. Queste società erano
dunque gestite come private ma avevano tutti i vantaggi delle società pubbliche (diritti di prelazione) dunque operavano sul
mercato concorrenziale ma con alcuni vantaggi. E costituivano inoltre una ragnatela di aziende sotto un unico controllo,
come nel sistema bank oriented tedesco. Questo processo fu portato a termine con la riforma bancaria del 36 che eliminò le
banche miste, rendendole casse di risparmio, dette BIN banche di interesse nazionale, detenute dall'IRI e controllate
dall'ispettorato per la difesa del risparmio e del credito a cui capo c'era il presidente della Banca d'Italia.
Furono creati anche degli istituti di credito speciali, che operavano come delle banche commerciali ma le obbligazioni
che emettevano erano garantite dallo stato e operavano solo in ambiti specifici. Questi erano il crediop e l'icipu. Il primo si
occupava di finanziare la costruzione di opere pubbliche il secondo di finanziare opere di pubblica utilità. Questi due
organi molto simili saranno poi uniti nel 1980.
In questo periodo si assiste a una fascistizzazione della società stato=Pfi. Attraverso il controllo sulla cultura e
l'istruzione, il divieto di libera associazione e quindi l'abolizione dei sindacati e l'istituzione di un unico sindacato fascista.
La chiusura delle cooperative e l'istituzione dell'ente nazionale delle cooperative.
Per quanto riguarda l&