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ELEMENTI PRINCIPALI DELLA FRAGILITÀ DEL CAPITALISMO ITALIANO
Scarsità di materie prime nazionali che vengono quindi importate dall'estero come il carbon fossile.
I più elevati costi di produzione e la scarsa competitività internazionale (in particolare nelle industrie protette come quelle siderurgiche).
Insufficienza del mercato interno (nonostante gli incrementi salariali) e la dipendenza delle grosse imprese dalla domanda dello Stato.
Il forte dualismo tra le imprese che operavano sul mercato interno e internazionale in regime di concorrenza, e quelle che lavoravano prevalentemente grazie alle commesse statali.
La particolare distribuzione territoriale delle imprese (lo sviluppo industriale riguardava prevalentemente il nord-ovest del paese, accentuando il divario economico e sociale con il mezzogiorno).
I gruppi facenti parte delle imprese più forti politicamente attaccate alle commesse statali, fecero pressioni sullo Stato al fine di avere una
politicamilitare più aggressiva (espansione coloniale) e quindi favorire il riarmo eindirettamente le industrie siderurgiche che erano le più colpite dalla crisi. Ciòera richiesto anche per l'integrazione di quei territori non ancora facenti partedel regno (Trentino) e anche per trovare nuovi sbocchi commerciali nei Balcani.Cosi prende sempre più vita il movimento nazionalista, finanziato non a casodalla Ansaldo. Nel 1912 l'Italia conquista la Libia e le spese militari sostenuteaprono vistose falle nel bilancio statale. Allo scoppio del conflitto mondialel'Italia si mantenne neutrale, fino a quando, sotto la spinta nazionalista, passaall'intervento, anche se in Parlamento le forze neutrali avevano la maggioranzae le forze socialiste, i movimenti cattolici e l'opinione pubblica si eranoschierate per la neutralità.Erano infatti i grandi gruppi industriali a volere l'intervento (Ansaldo su tutti)anche se ancora non
Formavano un fronte compatto perché erano comunque molti gli industriali che credevano di trarre profitti dalla neutralità grazie ai rifornimenti di prodotti finiti ai paesi belligeranti. Quando questa "credenza" cadde, a causa del mancato rifornimento di materie prime all'Italia, visto che le potenze belligeranti le utilizzavano nei processi produttivi interni volti alla produzione bellica, si formò un blocco compatto interventista che portò il paese all'entrata in Guerra nel 24 maggio 1915 a fianco di Francia e Inghilterra (le uniche potenze europee che erano in grado di rifornire l'Italia di materie prime).
PRINCIPALI ASPETTI DELL'ECONOMIA DI GUERRA IN ITALIA
Premettendo che venne creato il sottopretoriato delle armi e delle innovazioni (Ministro della guerra) e vennero fondati i comitati regionali per la mobilitazione industriale che erano formati da rappresentanti dell'esercito, degli industriali e del Governo e avevano
Il compito consisteva nel sovrintendere gli stabilimenti industriali bellici. Questi stabilimenti stabilivano il volume della produzione, i tempi di consegna e i prezzi. Ciò garantiva alle imprese di aumentare notevolmente i loro profitti, poiché le richieste degli industriali venivano praticamente accettate sempre. Si formarono così i "sovrapprofitti di Guerra". Questi sovrapprofitti consolidarono il processo di industrializzazione del nostro paese.
In modo dominante, due industrie incrementarono il loro peso: l'ILVA (siderurgica), che si trasformò in un'impresa multisettoriale, partendo dalla ghisa riuscì ad ottenere altri prodotti fino a navi e automobili; e la Ansaldo, interessata da un'innovazione di processo chiamata "sistema verticale a ciclo completo", che coinvolgeva i settori siderurgico, meccanico e cantieristico (produceva armi, navi e munizioni). Anche la FIAT si avvantaggiò, vedendo aumentare i suoi volumi produttivi grazie alla richiesta statale di automezzi. Inoltre, la FIAT nacque e si mosse
primi passi anche l'industria aeronautica. Altro settore interessato è quello chimico che ora produce esplosivi ed infine trae enorme vantaggio anche l'industria elettrica alimentando gli impianti industriali, le più importanti erano la Edison e la SADE. Caratteristiche di questo consolidamento sono la concentrazione produttiva e finanziaria, soprattutto nell'ambiente della produzione elettrica dove un'indagine rivelò la presenza di 276 società elettriche e la gran parte dei capitali investiti nel settore erano in mano a poche di esse che la facevano da padroni (Edison, SADE, SME); era quindi un mercato in oligopolio. Altro aspetto riguarda i finanziamenti: alcune imprese grazie agli enormi profitti di guerra erano autosufficienti ma le più grandi erano comunque costrette al ricorso di capitali di prestito. Per ciò si consolidò anche il ruolo delle banche miste e spesso si formavano delle coalizioni tra banche e grandi.Imprese che portavano queste ad avere l'egemonia finanziaria nell'intero paese. Così nacquero le cosiddette "guerre parallele" fondate sul reciproco tentativo, da parte di queste coalizioni, di acquisire ipacchetti azionari di maggioranza avversari. La Ansaldo unita alla BIS (Banca Italiana di Sconto) tentò una scalata nei confronti della Banca Commerciale Italiana, la quale, in virtù dei suoi investimenti, era fortemente legata all'ILVA; si scontrarono di fatto Ansaldo-BIS e ILVA-COMIT. La FIAT invece tenta la scalata del Credito Italiano in modo da mettere le mani sulle fonti di finanziamento per raggiungere gli obiettivi che si era preposta la casa torinese.
Sul fronte interno si organizzarono politiche di approvvigionamento, ovvero di rifornimento dei beni essenziali alla popolazione, compito affidato ai comuni che erano spesso aiutati dalle cooperative di consumo. Vennero create le tessere anonarie, uno strumento con il quale si razionava il cibo.
I processi inflattivi causati dalla guerra causarono lo scoppio proteste popolari (1917), che avvennero proprio nel periodo di maggiore sforzo bellico, e contribuirono sicuramente alla disfatta di Caporetto.
Le fonti per il pagamento delle commesse statali erano 3: emissione di carta moneta, accensione di prestiti e aumento della pressione fiscale, nonostante ognuno di essi creasse problemi del debito pubblico o di inflazione. L'indebitamento avvenne sia verso l'interno (prestiti chiesti anche a coloro che avevano disponibilità tramite la sottoscrizione di BOT a 1, 5 o 7 anni che causarono un problema del debito pubblico visto le loro scadenze ravvicinate e contribuirono all'inflazione) e verso l'esterno, principalmente verso gli U.S.A.
L'emissione di carta moneta crebbe in maniera esponenziale tra il 1914 e il 1919 alimentando definitivamente i processi inflattivi.
Lo sforzo sostenuto in guerra culminò con una crisi che colpisce il nostro paese nel dopoguerra.
Che ha la sua matrice economica, ma finisce con il colpire gli assetti istituzionali (crisi di regime) e che porterà alla formazione di un regime autoritario.
In questo momento si ha un clima di incertezza economica, la cui prima componente era l'inflazione. Il valore della lira aveva perso l'80% del suo potere d'acquisto, contemporaneamente perse anche molto valore nei confronti di sterlina e dollaro (per una sterlina servivano 93 lire e per un dollaro servivano 21 lire).
L'aumento dei prezzi dei prodotti di prima necessità (e della domanda di questi prodotti) diede un impulso molto forte alla produzione, spinta talmente forte da creare un problema di sovrapproduzione causando così un abbassamento dei prezzi dei prodotti agricoli. La tendenza alla diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli si riflette sui prezzi dei prodotti industriali mettendo in difficoltà le imprese, in particolar modo quelle che avevano investito molto in impianti volti
alla produzione bellica, e che ora si trovavano a convertire i propri cicli produttivi verso prodotti civili.Conflittualità sociale. In campo industriale era difficile la reintroduzione nei processi produttivi dei reduci di guerra, che poi costituiranno la base del movimento nazionalista e fascista. I conflitti sociali raggiungono l'apice nel cosiddetto "biennio rosso" (1920-1922) che manifestarono i loro effetti sia in campo agricolo che in campo industriale dove i lavoratori e le associazioni chiedevano incrementi salariali e un massimo lavorativo giornaliero di 8 ore. Gli industriali reagirono con la serrata delle fabbriche e i lavoratori a loro volta risposero con l'occupazione degli stabilimenti stessi; al termine di questo biennio caratterizzato da queste manifestazioni i produttori accettarono gran parte delle richieste avanzate dai lavoratori (in primis gli aumenti salariali). Contemporaneamente stava crescendo la mobilitazione dei movimenti nazionalisti e fascisti; entrambi agitavano la bandiera della vittoria mutilata (mancata concessione di Fiume e della Dalmazia).
dopo