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DIALOGO SOCIALE
Delors ha inoltre lanciato il dialogo sociale europeo, ovvero l'idea che anche le associazioni
imprenditoriali e sindacali debbano partecipare ai processi decisionali europei. Gli imprenditori
europei sono riuniti in una associazione europea, l'UNICE (Organizzazione degli imprenditori
europei), così come i sindacati, riuniti nella CES (Confederazione europea dei sindacati), che ha
più o meno 80 milioni di iscritti, con sede a Bruxelles. Si tratta di due grandi organizzazioni per
discutere sulla politica del lavoro. La CES organizza 67 confederazioni sindacali di 28 paesi per un
totale di 58 milioni di salariati, mentre l'UNICE organizza 33 federazioni di imprenditori in 25 paesi
europei. All'inizio, il dialogo sociale avveniva in modo informale, ma Delors propone che nel trattato
di Maastricht venga incluso il dialogo sociale. La sua proposta non viene però approvata, in quanto
non si raggiunge l'unanimità (11 paesi sono favorevoli e uno contrario, l'Inghilterra). Solo a partire
dal 97, il nuovo governo laburista di Tony Blair accetta il dialogo sociale che verrà inserito nel
trattato di Amsterdam. I risultati della concertazione, attraverso il dialogo sociale, sono stati: la
parità di trattamento tra uomo e donna, il miglioramento della salute sul luogo di lavoro e il diritto di
informazione dei lavoratori in caso di crisi e ristrutturazione dell'impresa.
Nel 1997 si ha una duplice innovazione: da un lato, il trattato di Amsterdam include per la prima
volta le politiche dell'occupazione. Anche se quest'ultime restano prerogative di Stati membri,
l'unione lancia una nuova procedura di "sorveglianza multilaterale" delle politiche nazionali contro
la disoccupazione e un coordinamento delle politiche nazionali nell'ambito del consiglio dei ministri.
Una seconda innovazione è il fatto che il Consiglio straordinario di Lussemburgo vara la strategia
europea dell'occupazione che stabilisce le prime linee direttrici comuni e avvia il coordinamento
delle politiche occupazionali nazionali.
Un modello europeo di società della conoscenza: LA STRATEGIA DI LISBONA
Nel 2000 l'Europa si rende conto che il suo problema non è solo la disoccupazione ma anche il
rischio che la sua economia sia più arretrata di quella degli Stati Uniti. È necessario creare quindi
in Europa una società della conoscenza, ovvero stimolare l'economia e l'industria e quindi
l'innovazione tecnologica, in particolare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Il
consiglio europeo che si riunisce Lisbona nel marzo del 2000, lancia la "Strategia di Lisbona" per
costruire in Europa una società della conoscenza che sia capace di far entrare le nuove tecnologie
in tutti i settori dell'economia sociale. A questo proposito, l'Europa deve conciliare la competitività
tecnologica con la coesione sociale. La questione del digital divide riguarda anche il divario tra gli
insiders e gli outsiders, cioè quelli che riescono ad adattarsi alla rivoluzione tecnologica e quelli
che non ci riescono. Gli europei vogliono evitare questa sproporzione che si è creata negli Stati
Uniti, affinché tutti abbiano la possibilità di affacciarsi alle nuove tecnologie. L'idea era quella di
una società della conoscenza nuova che non fosse però in contrasto con i valori fondamentali
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dell'Unione europea. Il secondo obiettivo della strategia di Lisbona è evitare che ciascuno Stato
membro risponda individualmente a queste nuove sfide, trasformandosi in Stato che cerca di
sviluppare e modernizzare la sua economia a danno del vicino. Il terzo obiettivo è invece la riforma
dello Stato sociale europeo, ossia della costruzione pluridecennale di istituzioni nazionali basate
sui valori di solidarietà fra le classi sociali che si articolano nella sicurezza sociale, nell'assistenza
sanitaria per tutti, nella scuola pubblica e nei sistemi pensionistici.
Gli obiettivi della Strategia di Lisbona
La strategia di Lisbona individua anche obiettivi specifici quali una crescita economica sostenuta,
intorno al 3% annuo, la riduzione della disoccupazione e l'aumento del tasso di attività, la lotta
all'esclusione sociale, la diffusione dell'innovazione tecnologica, la piena liberalizzazione dei
mercati, lo sviluppo della ricerca ecc., che vengono per la prima volta quantificati e legati a
scadenze precise, che variano a seconda dello Stato.
Sono inoltre previsti obiettivi legati allo sviluppo dell’educazione, quali il progetto dell'"educazione
per tutta la vita", cioè l'apprendimento costante, attraverso corsi professionali che vengono
proposti agli adulti per alzare il livello di qualificazione professionale. Un altro progetto che rientra
nella categoria dell'educazione è il progetto Erasmus. Poi vengono le politiche di sostegno
all'innovazione tecnologica: ci sono una serie di incentivi per far sì che sia facile costruire
un'impresa, diminuendo tutti gli ostacoli burocratici e amministrativi; inoltre si mettono a
disposizione, attraverso centri comuni, le nuove tecnologie per le piccole-medie imprese. Altri
elementi della strategia di Lisbona sono la diffusione di nuove tecnologie nel commercio (e-
commerce). Altre componenti per evitare di approfondire il digital divide sono i programmi massicci
contro la povertà infantile e la riduzione della povertà in generale. La strategia di Lisbona include la
strategia occupazionale, aggiunta nel 2000; nel 2001 viene aggiunta la politica della
modernizzazione aziendale. Verso il 2005 si aggiunge la politica di salute pubblica, come
coordinamento delle politiche nazionali. La strategia di Lisbona cerca di tenere insieme la coesione
sociale come la competitività internazionale, attraverso metodi e regolamentazioni. La strategia di
Lisbona, in sostanza, è una strategia globale in quanto include varie politiche di modernizzazione.
Il METODO APERTO DI COORDINAMENTO (MAC)
A questo proposito sorge la questione di come affrontare con politiche europee obiettivi che
tradizionalmente appartengono alle competenze nazionali. Per realizzare questa strategia è stato
inventato il metodo aperto di coordinamento, un nuovo metodo rispetto al metodo comunitario e al
metodo intergovernativo. Questo nuovo metodo si sviluppa in 4 momenti. Prima di tutto il Consiglio
dei ministri mette a punto per ciascun obiettivo una sorta di lista di obiettivi comuni, validi almeno
per un anno. A questo punto, ogni Stato approva un piano nazionale coerente con le linee direttrici
per ognuna delle politiche in oggetto. Dopo un certo numero di mesi, a seconda delle politiche, il
Consiglio dei ministri, con l'aiuto della Commissione, verifica che gli Stati membri abbiano
adempiuto agli impegni assunti. La Commissione invia le relazioni ai Consigli dei ministri
competenti per materia, che possono contenere raccomandazioni agli Stati che non hanno
rispettato i loro doveri. Inoltre, una volta all'anno il Consiglio europeo valuta il rapporto di sintesi sul
grado di avanzamento della strategia, presentato dalla Commissione. Il metodo aperto di
coordinamento si tratta in sostanza di un compromesso fra il mantenimento della competenza
nazionale e la necessità degli Stati di far fronte insieme alle questioni. L'aggettivo aperto indica che
gli Stati membri sono liberi di decidere i tempi e le modalità per realizzare gli obiettivi comuni,
mentre la seconda apertura è alle parti sociali che sono invitate a discutere su obiettivi comuni. Il
concetto di coordinamento indica, invece, la volontà di convergenza da parte degli Stati membri,
oltre la semplice cooperazione, senza però raggiungere il grado di integrazione tipico del metodo
50
comunitario. Questo nuovo metodo permette di affrontare le questioni per cui la maggioranza degli
Stati non sono disposti a delegare ulteriori competenze all'UE. 51
–
CAP. 11 LA DIMENSIONE ESTERNA. EUROPEISMO E COSMOPOLITISMO
Un’entità politica internazionale di nuovo tipo. La “politica estera interna”.
Durante il periodo del conflitto bipolare tra Usa e Urss, il significato internazionale dell'unità
europea consisteva nella "politica estera e interna". Si trattava di una politica estera rivolta a
fondare una pace stabile all'interno dell'Europa occidentale, in particolare fra i due nemici storici, la
Francia e la Germania. La politica estera e interna, quindi, è stato il contributo che l'UE ha dato nei
suoi primi cinque decenni di vita al mondo, in quanto è riuscita a realizzare nella regione del
mondo da cui sono partite le due guerre mondiali, la pace tra ex e nemici. Questa politica estera
interna dell'Europa ha come conseguenza anche la democratizzazione degli Stati membri. Infatti,
la stabilità e la pace sono state possibili anche grazie alla democratizzazione dei paesi membri.
Questa politica dell'UE è messa in atto ancora oggi, nell'allargamento orientale dell'unione a paesi
che hanno avuto una passato dittatoriale comunista.
LE RELAZIONI DELL’UE
L’espressione relazioni esterne comprende tutti gli aspetti della politica estera dell’UE, ad
eccezione di quelli commerciali, che sono trattati separatamente, e delle relazioni con i paesi in via
di sviluppo dell’Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), con i quali l'Unione ha sviluppato un
sistema di relazioni distinto. Riguardo le relazioni dell'UE con il resto del mondo, in questo ambito
sono comprese la Politica estera e di sicurezza comune (PESC), la politica di sicurezza e difesa, le
relazioni esterne, le questioni commerciali, gli aiuti allo sviluppo e gli interventi umanitari.
In particolare, la PESC si rivolge soprattutto agli aspetti politici delle relazioni internazionali,
compresa la sicurezza e la difesa. Il primo pilastro, invece, riguarda gli aspetti delle relazioni
esterne che si sono sviluppati durante 50 anni di integrazione e tende a coinvolgere sempre di più
la dimensione internazionale del terzo pilastro, relativo alla sicurezza interna: la politica dei visti,
dell'immigrazione, la lotta alla criminalità internazionale.
Relazioni esterne basate sulla Comunità Europea (Primo pilastro)
Le relazioni esterne dell'UE comprendono diversi pilastri:
Cooperazione allo sviluppo
Relazioni con paesi terzi
Tutela dei diritti umani
Aiuti umanitari
Cooperazione allo sviluppo: storicamente la cooperazione allo sviluppo nasce già nel trattato di
Roma ed era inizialmente rivolta alle ex colonie francesi e belghe. Il programma di aiuto allo
sviluppo più importante è l'ACP (Africa, Caraibi, Pacifico), rivolto alle ex colonie europee oggi
indipendenti. Con il successivo allargamento dell'unione, la cooperazione allo sviluppo si è
progressivamente estesa fino a com