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La scuola degli economisti ordoliberali e il ribaltamento del rapporto tra Stato e mercato

Dopo avere assunto nei primi anni trenta una posizione nettamente polemica contro la politica keynesiana e la sua utilità nella soluzione della crisi tedesca, fonda nel 1936 la rivista Ordo e si mette a capo della scuola degli economisti cosiddetti ordoliberali. Questa significativa correlazione è visibile nell'aggregazione intorno al futuro cancelliere Ludwig Erhad di una classe dirigente postnazista costituita da Eucken e da altri personaggi accademici di grande spicco. Eucken, insieme ai suoi colleghi, riprende il progetto neoliberale del primo Novecento e ribalta il rapporto tra Stato e mercato, dislocando l'idea di libertà e la sua possibilità operativa dalla sfera della politica a quella dell'economia. Nell'epoca dello Stato moderno l'autorità pubblica della monarchia assoluta consentiva una relativa autonomia alla libera iniziativa privata dell'individuo. Come aveva capito Hobbes, e come già è stato sottolineato,

Proprio il potere indiscusso e illimitato del Leviatano rendeva possibile a ciascun cittadino suddito una certa libertà privata nel suo foro interno (tra cui quella di produrre e commerciare), purché l'esercizio di questa stessa libertà avvenisse nel rispetto delle leggi vigenti nel foro esterno della politica pubblica dello Stato. Nella Germania del dopoguerra ci si ritrova nella situazione opposta. A fronte della dissoluzione dello Stato nazista, si tratta di ricostruire la legittimità di un nuovo Stato dislocando la sua fondazione nella sfera dell'economia. Qui, il neoliberalismo della Scuola di Friburgo di Eucken e Ehrad, si pone in netto antagonismo con una secolare tradizione interventista dello Stato nell'economia. Foucault accomuna esperienze politicamente diverse quali quella di Bismarck, della Repubblica di Weimar e del nazismo. La loro politica economica si è basata su quattro elementi: economia protetta, socialismo di Stato, pianificazione economica,

interventismo keynesiano. Tutt'altra è la prospettiva degli ordoliberali. Adessi non basta la versione classica del liberalismo che poneva dei limiti all'intervento dello Stato nel mercato, ma si deve fare un passo in più, un sostanziale ribaltamento del rapporto Stato-mercato. Si tratta di adottare il libero mercato come principio di organizzazione e di regolazione dello Stato. Solo così, si può dare inizio a una rifondazione della politica con uno Stato sotto la supervisione del mercato al posto di un mercato sotto il controllo dello Stato. Solo in questo modo, conclude Foucault, si può trovare un modo di dare legittimità a uno Stato che non esisteva ancora e che doveva rendersi accettabile a chi ne diffidava. Lo scenario delineato non è soltanto quello della Germania del 1948, ma è quello dell'Europa attuale, ancora nella fase di una sua timida e difficile costruzione. Rimane del tutto attuale e valido, in relazione alla

creazione di una incompiuta Europa politica e di una comunità internazionale attualmente priva di sovranità, l'interrogativo posto da Foucault: si può attribuire al mercato il potere di dare una forma sia allo Stato che alla società?

Il mercato globale

La domanda di Foucault appare nel contesto attuale come una premonizione che si autoavvera. Il mercato globale è diventato un terzo protagonista, che si è inserito di prepotenza nel rapporto tra il comune cittadino e lo Stato, facendo breccia nel tradizionale spazio della politica. Come è già stato anticipato, è in atto una dislocazione del politico nella forma di una sua dispersione nel mondo dell'economia globale. Una realtà molto foucaultiana, che va vista e rivista in una prospettiva trans-statuale e transterritoriale, togliendosi, secondo il suggerimento della Slaughter, gli occhiali deformanti dello Stato unitario.

Nelle scienze ciò che è acquisito

tende ad assumere le caratteristiche di un sistema dogmatico, di per sé indiscutibile, che invece, alla luce di successive scoperte, può rivelarsi falso e privo di fondamento scientifico. [...] Se ho indugiato in questa lunga disgressione è perché, in merito al problema dello Stato, incontro dappertutto, al livello dello scienziato della politica e del cittadino comune, il rifiuto a pensarne l'identità in una versione diversa da quella tradizionale, ad esempio in quella qui proposta dello Stato disaggregato. La verità è abbastanza semplice. Oggi, dopo il primo decennio del XXI secolo, è di nuovo necessaria una rivoluzione copernicana che renda possibile una coraggiosa autocritica e l'attivazione di una riflessione innovativa. E si può dire, insieme a Ulrich Beck e Zygmunt Bauman, che la comprensione del mondo attuale impone un ripensamento totale e globale. Globale come la globalizzazione in corso, chel'utilizzo di nuove categorie concettuali al posto di quelle in uso. Ma niente o poco di tutto questo sta accadendo. E l'ostacolo principale mi sembra essere di natura psicologica. Ha a che fare con la difficoltà di liberarsi di modelli culturali sedimentati in una formazione ormai datata. Lo Stato e la sua sovranità territoriale erano la realtà indiscutibile della prima modernità. Ma questa è una narrazione che appartiene al passato, quello del dopoguerra della seconda metà del Novecento. Il mondo è mutato negli ultimi quattro decenni con una rapidità sconvolgente. L'economia si è denazionalizzata, deterritorializzata e mondializzata. L'informazione e la cultura sono in larga parte transnazionali (anche la circolazione di prodotti tipici di una nazione li troviamo ovunque -> pizza, kebab, mcdonald, cocacola). Tutto ciò è reso possibile dalla rivoluzione informatica. L'invenzione ela diffusionedi massa del computer stanno portando nella vita di ogni giorno un'inedita nozione edesperienza del tempo e dello spazio. La possibilità offerta da internet di esserepresente in tempo reale e nello stesso istante in qualsiasi luogo della terra ha azzeratola distanza spaziale.Questo sommario excursus sulla mondializzazione dell'esistenza umana, sul pianoincrociato della politica, dell'economia e della cultura, indica un unico fenomenocomune, quello del venir meno dei confini fisici e psicologici che in un recentepassato delimitavano le vite degli esseri umani. Non è caduto soltanto il Muro diBerlino. Intorno al 1989 si sono sgretolate le barriere reali ed emotive chedelimitavano le giurisdizioni dei tradizionali Stati territoriali. Da tempo si dice che loStato-nazione sta perdendo e ha perso pezzi della sua sovranità. Sta svanendo il sensostesso della sua esistenza, perlomeno per come era stato concepito e attuato. A frontedi uncataclisma di questa entità la reazione degli addetti alla conoscenza è del tutto inadeguata. Lo Stato esiste da sempre e non potrà che continuare ad esistere. Lo Stato siamo noi, come più volte si è detto e ridetto. Dunque, tutti ne siamo parte e non possiamo pensare a una nostra estinzione. Eppure, è quanto sta avvenendo. Riprendiamo il filo del discorso della domanda posta da Michel Foucault sul potere acquisito dal mercato di dare forma sia allo Stato sia alla società, e cerchiamo di fare un riepilogo di quanto già detto. La globalizzazione ha messo in gioco dei nuovi soggetti, in realtà già esistenti, ma investiti di identità diverse. Mi riferisco soprattutto allo Stato-nazione e alle grandi corporation. L'attuale identità dello Stato, che è poi quella dello Stato disaggregato, mette in discussione il suo rapporto strutturale e originario con i cittadini. Doveva essere un rapporto di reciproca

costituzione e di responsabile rappresentanza del Sovrano, basato su un presupposto storico-metodologico: quello della realtà preliminare di un'aggregazione sociale di per sè configurante una forma di società, distinta da uno Stato dotato di un dispositivo di coercizione legale. Ciò significa che il discorso della politica e sulla politica inizia da un dato di realtà non discutibile e prioritario, quello di una condizione esistenziale del privato, la cui protezione è l'unico fine della sfera pubblica. Il campo d'azione del cosiddetto politico si realizza ed esaurisce in questo tipo di rapporto, che concepisce il Sovrano e la sua autorità coercitiva come mezzi utilizzati dai suoi cittadini. Questa concezione dello Stato come garanzia di uno stato di diritto, riguardante la società e i suoi membri, porta con sè un'obbligata relazione di dipendenza delle attività dello spazio dell'economia, dove sis

producono i beni necessari alla sussistenza. Nella lingua moderna si direbbe che lo Stato è egemone sul mercato e che il mercato è, e deve essere, al suo servizio. Tuttavia, già Aristotele, che per primo ha stabilito questa scala di valori, ha intravisto un virtuale fattore di rottura in questo rapporto tra sfera pubblica dello Stato e sfera privata del mercato. Perché si tratta di un rapporto mobile dove lo Stato persegue i suoi obiettivi prioritari, ma il mercato in crescita costante tende a imporre una sua mano invisibile, cercando di sottrarsi all'egemonia della politica. È qui che l'economia, nata come oggetto di uso strumentale, acquisisce l'identità autonoma del mercato vero e proprio. Un'identità che lo stesso Aristotele cerca di negare e neutralizzare, stigmatizzando la sua capacità di produrre un'eccedenza nella compravendita. Infatti, ogni prodotto ha un suo "prezzo giusto".

Il paradosso è

Smith in primis. Al contrario, il mercato diventa uno spazio in cui lo Stato esercita il suo potere e la sua influenza, utilizzando strumenti di regolamentazione e intervento per favorire determinati attori economici o perseguire determinati obiettivi. Questa ambivalenza dello Stato come attore economico e politico si riflette anche nella sua relazione con le imprese. Da un lato, lo Stato può essere un importante alleato per le imprese, offrendo loro sostegno finanziario, agevolazioni fiscali, accesso a mercati esteri e protezione legale. Dall'altro lato, lo Stato può anche essere un concorrente delle imprese, creando e gestendo aziende pubbliche che competono direttamente con quelle private. Inoltre, lo Stato può utilizzare il suo potere di regolamentazione per influenzare il funzionamento del mercato e favorire determinati settori o interessi. Ad esempio, può introdurre norme ambientali più rigide per penalizzare le imprese inquinanti o promuovere politiche industriali per sostenere settori strategici dell'economia. In conclusione, lo Stato e il mercato sono due attori interconnessi e interdipendenti. La loro relazione è complessa e ambivalente, con lo Stato che può essere sia un alleato che un concorrente per le imprese, e il mercato che può essere sia uno spazio di libertà economica che un terreno di intervento e regolamentazione da parte dello Stato.

Smith in testa. È diventato invece, nella sua forma e dimensione globale, un Terzo Soggetto, la cui natura è insiem

Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
20 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/02 Storia delle dottrine politiche

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher lorenzoloru42 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia delle dottrine politiche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Pisa o del prof Giannetti Roberto.