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Le ragioni dell'accentramento
1) Premesse - Accanto alle ragioni del particolarismo viste sopra nel mondo dell'antico regime vi erano anche ragioni, sempre politiche, culturali e giuridiche, che spingevano nel senso dell'accentramento e del superamento del particolarismo. La tendenza all'accentramento ovviamente è stata più rilevante negli stati forti per tradizione (es. Francia o regno di Sardegna) o negli stati che cominciavano a nutrire aspirazioni politiche di egemonia territoriale (es. Austria e Prussia) e che per tale motivo dovevano dotarsi di un apparato statale centralizzato e forte e questo ovviamente imponeva riforme di carattere economico e giuridico.
2) La patrimonializzazione del feudo - Nello stesso tempo alcune ragioni che avevano determinato il particolarismo cominciavano ad indebolirsi non rappresentando più un ostacolo forte all'accentramento come avevano fatto in precedenza. In primo
luogocitiamo l'indebolimento dei poteri feudali che come abbiamo visto prima avevano rappresentato una delle ragioni più importanti del particolarismo. Infatti nel corso del 600 il feudo tende a trasformarsi da istituto politico e giuridico, capace di organizzare il potere su base locale, in istituto economico e patrimoniale. Infatti sempre più spesso nel corso del 600 i feudi venivano venduti dai re per far fronte alle sempre più pressanti esigenze economiche dallo stato ed acquistate da persone che in tal modo si assicuravano un titolo nobiliare e soprattutto rendite patrimoniali in quanto il feudo dava il diritto di percepire determinate imposte. Il feudo comincia così a contare sempre di meno dal punto di vista politico e ad un feudatario che esercitava un potere diretto sul territorio si sostituisce un feudatario che non si risiede sul feudo ma lo considera solo come fonte di ricchezza. L'indebolimento dei poteri feudali è stato uno dei
Principali fattori del processo di accentramento del potere nelle mani prima del principe e poi dello stato.
3) La crisi degli statuti, cittadini e feudali – Una considerazione simile può essere fatta per le città dove il processo di formazione del diritto statutario si può dire esaurito agli inizi del 500 e pertanto quando dopo questo periodo sono stati pubblicati statuti nuovi si è trattato solo di raccolte di produzione statutaria dei secoli precedenti. Ciò vale anche per gli statuti delle terre feudali dove ci si limitava a stabilizzare il diritto vigente con piccole aggiunte che regolavano qualche lacuna o risolvevano qualche caso nuovo; e quindi il corpo complessivo dello statuto restava invariato.
4) Il diritto canonico e i rapporti con la chiesa – Abbiamo visto sopra il ruolo determinante che ha avuto il diritto canonico nel dar corpo negli stati di antico regime al particolarismo giuridico. In molti stati di antico regime (Francia, Spagna,
ducato di Savoia, Repubblica di Venezia) vi è stata fin dal rinascimento una forte spinta ad una politica del diritto tesa a limitare i privilegi della chiesa all'interno dello stato e quindi ad accentrare tutti i poteri nello stato. Tuttavia c'era da considerare il fatto che anche la chiesa si riteneva una grande potenza che rivendicava una indipendenza assoluta e originaria nei confronti dello stato a causa dei fini che doveva perseguire e pertanto rivendicava agli ecclesiastici una situazione di non sottoposizione alle leggi dello stato soprattutto qualora esse fossero contrarie alle prescrizioni della chiesa. Nel corso dei secoli XVI e XVII pertanto si registrano un gran numero di controversie tra stato e chiesa che però non hanno in questo periodo trovato mai una soluzione definitiva ma hanno affidato alla diplomazia e al concordato la soluzione dei singoli conflitti. Nel corso del secolo XVIII però le cose sono cambiate in quanto molti stati hannocominciato a rivendicare in modo concreto la pienezza dellapropria sovranità che doveva estendersi in tutte le materie temporali anche nei confronti della chiesa. Dietro questa rivendicazione stavano ovviamente ragioni politiche, culturali e giuridiche diverse e ovviamente nuove,. In primo luogo occorre pensare alla sempre maggiore laicizzazione della concezione dello stato e dei suoi poteri iniziata nel 1500 con Machiavelli, in secondo luogo alla dottrina del diritto naturale che non ammetteva distinzioni che si fondassero sulla religione e proclamava l'uguaglianza naturale di tutti. In terzo luogo occorre citare, proprio nell'ambito della chiesa, la diffusione di tendenze che invocavano una religiosità calata interamente nella spiritualità interiore dell'uomo respingendo ogni coinvolgimento della sfera religiosa con quella politica come era avvenuto nella chiesa delle origini. Tali correnti si richiamavano quindi alla semplicità originaria.delle chiese primitive sostenendo che la chiesa dovesse ritornare all'episcopalismo, ossia una concezione politica e religiosa che riconosceva al papa un potere solo onorifico, attribuendo invece ai vescovi l'eredità del vangelo, per cui ciascun vescovo era da considerarsi come papa nella sua diocesi. Attraverso questi percorsi è uscita naturalmente rafforzata la sovranità del principe e quindi dello stato nei confronti di una delle più forti cause del particolarismo giuridico in quanto le nuove tendenze spiritualistiche tendevano ad estraniare la chiesa dalla politica attiva, ad indebolire il potere del papa rafforzando invece quello dei più docili episcopati locali. 5) La costruzione del concetto di stato - Mentre alcune fonti del diritto andavano indebolendosi altre fonti si rafforzavano e questo vale principalmente per la legge del principe. Per rendersi conto di questo processo occorre fare un passo indietro ed accennare allaCostruzione teorica dei poteri dello stato. Occorre quindi partire dal pensiero di Machiavelli che per primo ha posto il problema dei poteri del principe (e quindi dello stato) in termini solo politici separandoli da ogni implicazione di carattere morale e religioso. Anche dopo Machiavelli però si è continuato a porre al centro delle riflessioni la figura del principe, che incarnava lo stato ed aveva il compito di tenerlo unito. Questo è avvenuto nella teoria della ragion di stato di Botero che ha sostenuto che il fondamento principale di ogni stato è l'obbedienza dei sudditi al loro superiore ma è avvenuto anche nella dottrina fondata sui doveri del principe cristiano. Possiamo accennare a tale proposito al pensiero del cardinale De Luca che ha sostenuto che l'attributo di principe spetta solo a colui che sia fornito di un titolo legittimo e che governi bene secondo le regole della giustizia e della ragione.
6) Stato, sovranità e legge -
Il fatto che i giuristi abbiano posto al centro delle loro riflessioni il principe non dipende solo dal fatto che in quel periodo la forma di stato prevalente era quella monarchica ma dipende anche da altri due fattori: la presenza di una tradizione giuridica consolidata e l'elaborazione ancora sofferta, nelle riflessioni dei giuristi, del concetto stesso di stato. Per quanto riguarda il primo fattore c'è da dire che nella tradizione giuridica medievale la parola "principe" non indicava solo il potere monarchico assoluto ma anche il potere assoluto in quanto tale, tanto è vero che si diceva che anche le città libere (che non riconoscevano cioè un potere superiore) erano "principe" a se stesse. Per quanto riguarda il secondo fattore c'è da dire che per buona parte del 500 i giuristi hanno usato la parola "stato" in termini diversi ed hanno usato parole diverse per esprimere il concetto di stato. Ad esempio Bodin (1529-1596)definisce lo stato come “repubblica” ma non intendendo con questo termine la forma distato repubblicano ma il potere assoluto e perpetuo che è proprio dello stato. Secondo Bodin sovranità indica nello stesso tempoil potere di emanare le leggi e di non essere sottoposto alle leggi e quindi il principe non può rinunciare al proprio poterenormativo illimitato e quindi non può legiferare richiedendo il parere del popolo o del senato perché in tal modo la sovranitàverrebbe limitata. Anche Loyseau altro famoso giurista francese dell’epoca ha sostenuto lo stretto collegamento tra poterenormativo e sovranità sostenendo che nelle monarchie pure (dove non esiste limite al potere regio da parte dell’aristocrazia) ilprincipe conserva tutti gli attributi della sovranità e che la Francia era da considerarsi tra le monarchie più pure e perfette delmondo in quanto in essa solo il re poteva legiferare, tanto
È vero che dipendeva da lui anche l'approvazione delle consuetudini che vigevano nel regno. Secondo Loyseau quindi vi è uno stretto legame tra legge e sovranità, anzi la prima è attributo della seconda, in quanto la legge è lo strumento della sovranità e il potere pubblico e sovrano appartiene in modo totale e assoluto al principe. Naturalmente tali tendenze che si sono affermate in Francia nel 500 non sono state presenti o almeno presenti nello stesso modo in tutti gli stati dell'Europa. Ad esempio negli stati italiani la tendenza verso l'assolutismo nel senso di potere solitario ed illimitato è stata temperata sia dal ruolo esercitato dalla chiesa di Roma e dalla cultura religiosa (che spingeva verso la teoria del principe cristiano che esercita i suoi poteri secondo i fini assegnati dalla morale cattolica, cosa questa che tende ovviamente a limitare i poteri del principe) sia dalla presenza di una aristocrazia dotata di
un forte potere economico, che occupava le cariche pubbliche più importanti e di cui il re non poteva fare a meno nel governare. Per tale motivo i giuristi italiani hanno teorizzato, in contrapposizione alla monarchia pura di Bodin o Loyseau, la monarchia mista dove ai poteri del principe facevano da contrappunto i poteri dell'aristocrazia, impedendo in tal modo un assolutismo perfetto.7) Il ruolo sempre minore del diritto romano – Verso la fine del cinquecento ci troviamo quindi in un contesto culturale che cerca di trovare nuove regole per i tempi nuovi e nello stesso tempo comincia a mettere in discussione la tradizione, in un contesto politico dove il potere si è sempre più accentrato nelle mani del principe, principe in cui la scienza del diritto identifica la sovranità intesa come potere di legiferare o modificare le leggi. È chiaro che in questo contesto tende ad essere meno rilevante il ruolo del diritto romano, infatti esso tende a
conservare un ruolo più che altro teorico e ad essere sempre meno utilizzato come diritto vivente nella prassi a seguito del rafforzarsi del potere degli stati, regionali e nazionali e quindi della legislazione da essi prodotta. Infatti nei secoli passati quando mancavano quasi del tutto le altre fonti di diritto il diritto romano, inteso sia come compilazione giustinianea che come costruzione su di essa effettuata dalla dottrina medievale, aveva un ruolo predominante nella regolamentazione delle relazioni giuridiche. Oggi, invece, il diritto romano è considerato principalmente come una fonte storica e un punto di riferimento per la comprensione dello sviluppo del diritto moderno.