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GRAN BRETAGNA

La crescente competizione internazionale ha un impatto non indifferente. Prima dell'avvento della prima guerra mondiale vi erano già diverse grandi imprese come la Dunlop (gomma), la Courtaulds (fibre sintetiche) e la Pilkington (vetro) avevano integrato con successo la produzione e una buona rete di marketing, ed erano in grado di competere a livello internazionale. La grande impresa aveva assunto in Gran Bretagna tratti differenti da quelli finora descritti: era infatti concentrata sui settori di largo consumo. Il modello britannico spiccava per la limitata integrazione verticale e per la persistenza di un buon numero di famiglie proprietarie, che lasciavano ben poco spazio alla creazione di estese gerarchie manageriali. Quello britannico è il modello che meno ha utilizzato gli strumenti di efficienza del tempo. Le imprese inglesi agli inizi godono di un mercato molto ampio, non solo grazie al colonialismo, ma anche grazie alla finanza londinese.

Stabilità della sterlina, che era la moneta internazionale. Tuttavia il mercato interno era poco dinamico, la popolazione cresceva molto di meno durante la seconda rivoluzione, e dal punto di vista socio-economico era difficile pensare di seguire il modello americano. Tra le altre differenze importanti vi è la regolamentazione. Senza un gruppo di interesse che percepisse come minacciati i propri diritti, non si vedeva l'esigenza di adottare una politica antitrust. Le istituzioni del Regno Unito ebbero, circa il sistema d'istruzione in relazione alle esigenze delle nuove imprese, uno sviluppo molto lento. Nelle imprese familiari inglesi, i proprietari si mostravano riluttanti a cedere o condividere il controllo dell'azienda e come conseguenza, gli investimenti da loro operati erano notevolmente inferiori rispetto a quelli realizzati parallelamente in Germania e in America. Proprio per questo motivo, la storia della GB è molto più di scarso successo.

rispetto a Germania e Stati Uniti. Se comparata con i successi ottenuti dalla grande impresa negli Stati Uniti e in Germania, la vicenda dell'industria britannica può essere descritta in larga parte come una storia di occasioni mancate e di ritardi. Nel 1870 l'Inghilterra sembrava possedere tutti i requisiti per sviluppare su larga scala questa industria e prevalere nella competizione internazionale. Nonostante ciò sono state le imprese tedesche a rivestire il ruolo di del settore nell'ultimo decennio dell'Ottocento, rinnovando completamente gli impianti e investendo nel marketing. Nel tempo, l'industria inglese ha sperimentato simili sconfitte in settori come la siderurgia, la meccanica pesante e le produzioni di massa della meccanica leggera. Anche se la Gran Bretagna aveva perso il primato industriale secolare, ormai ceduto agli Stati Uniti seguiti dalla Germania, diversi settori dell'economia inglese mantenevano posizioni forti, comequello della finanza internazionale. In Gran Bretagna il sistema del business si è evoluto a fianco di una vivace articolazione di piccole e medie imprese che in alcuni campi, come il tessile, ha dato origine a estesi e ricchi distretti industriali. A causa del livello tecnologico raggiunto dalle nazioni più avanzate, i Paesi che hanno scelto la strada dell'industrializzazione negli ultimi due decenni dell'Ottocento hanno dovuto aprirsi un varco tra forti concorrenti. Questo ha comportato un intreccio fitto fra imprese e Stato, e questa è una caratteristica comune ai tre first comer. I governi sono stati necessari per i seguenti motivi: - l'impatto con settori ad alta intensità di capitale; - la carente accumulazione di capitali; - la scarsità di risorse socioculturali indispensabili alla modernizzazione economica. Inoltre, lo stato ha sostenuto le imprese con sovvenzioni, protezionismo, commesse e salvataggi. In alcuni casi lo Stato si èaddirittura comportato da imprenditore. Passiamo ora ai "latecomers". In questa Europa che cerca di industrializzarsi da un secolo, vi sono anche i cosiddetti "paesi ritardatari". La Francia viene tradizionalmente classificata come Paese ritardatario. Molti studiosi hanno sostenuto che questa collocazione deriva dalla rivoluzione francese e dalla sua eredità politica ed economica, che ha reso il percorso nazionale all'industrializzazione più lungo e difficile. La dimensione media delle imprese era decisamente inferiore non solo rispetto a quelle americane, ma anche alle aziende tedesche; quasi tutte le maggiori società del Paese erano ancora possedute e controllate da famiglie. All'inizio del Novecento anche il "big business" in Francia registrava l'arrivo del nei settori della seconda rivoluzione industriale. Mentre un gran numero di società, in quasi ogni settore, restava di piccole dimensioni e a direzione familiare, alcune imprese.cominciavano ad assomigliare alle moderne corporation americane, tedesche e inglesi. I settori principali in cui si diffuse big business sono il siderurgico, tessile, vetro, cemento, editoriali e relativo ai mezzi di trasporto. Alla vigilia della guerra, si svilupparono nuovi settori tra cui quello petrolifero, l'industria della gomma e degli pneumatici, l'automobilistico, l'elettrico e la produzione dell'alluminio. La Russia invece ha una storia diversa. La sua storia economica inizia sicuramente prima della Rivoluzione di ottobre. Fondamentale per la industrializzazione è l'intervento del governo, che si è rivelato decisivo per la promozione e il sussidio alle iniziative locali, attraverso: - l'imposizione di dazi a protezione del mercato nazionale; - l'attrazione degli investimenti esteri; - l'iniziativa diretta della costruzione di quelle infrastrutture fondamentali al processo di industrializzazione e modernizzazione in un paese di

dimensioni tanto vaste, a cominciare dalle ferrovie. Le prime grandi società industriali, create per iniziativa russa o investitori stranieri, erano concentrate nei settori ad alta intensità di capitale. Questi sono il settore siderurgico, meccanico, petrolifero, della gomma, dei trasporti, delle costruzioni navali.

Il Giappone è stato il primo Paese non occidentale a raggiungere una posizione di primo piano nel panorama economico internazionale. A partire dalla restaurazione Meiji del 1868, il governo ha attivamente promosso il processo di industrializzazione nei seguenti settori: minerario, cotoniero, produzione di cemento, vetro, cantieristica.

Lo Stato però non era l'unico protagonista della crescita economica giapponese: le imprese private ebbero infatti un ruolo fondamentale assumendo la gestione delle aziende create dal governo, quando questo comprese che non poteva sostenerne lo sviluppo fino alla grande dimensione. L'istituzione centrale

Dell'industrializzazione giapponese è sempre stata il gruppo industriale diversificato posseduto e controllato da ricche famiglie come i Mitsui, gli Iwasaki (Mitsubishi) ed i Sumitomo. L'Italia subisce una prima industrializzazione durante l'età giolittiana, soprattutto a nord-ovest con il triangolo industriale (MI/TO/GE). L'industrializzazione italiana, per la modesta dotazione di risorse del Paese, combinata con la difficoltà di raggiungere la frontiera tecnologica internazionale, ha reso quasi inevitabile l'intreccio fra la grande impresa e lo Stato. Gli strumenti dell'intervento pubblico erano i seguenti:

  • protezionismo;
  • commesse;
  • favori;
  • sussidi;
  • "salvataggio industriale".

Concludendo, si può dire che la crescita dimensionale delle imprese è stata però quasi universale, come il trend verso l'affermazione delle competenze tecniche nella direzione aziendale. Alla fine della prima

guerra mondiale, gli Stati Uniti diventano i leader mondiali dell'economia. I costi unitari diminuiscono, e ciò significa poter offrire prodotti a costo più ridotto. Fino a qui, c'era stata usata la formula organizzativa della "U-form", cioè dell'impresa unitaria. All'interno di essa si individuavano le funzioni specifiche: la produzione, il marketing, la logistica, le risorse umane, la finanza ed i servizi legali. La cosa non poteva più funzionare: i grandi cambiamenti implicano una rapidità e problemi organizzativi che richiedevano un managment sempre più professionale. Era necessario riformulare l'impresa secondo una logica multidivisionale. Le imprese non avrebbero più potuto contare sugli elementi espansivi classici, cioè la crescita demografica, la costruzione ferroviaria, l'urbanizzazione. Bisognava quindi compensare in qualche modo la caduta della domanda derivante dalla stabilizzazione di

tutti questi elementi. In alcuni settori, come l'elettromeccanico e il chimico, spesso la crescita dell'impresa non si fondava su condizioni esterne (l'andamento dei prezzi o altri fattori legati alla domanda), quanto piuttosto sugli sviluppi interni all'azienda stessa. Per i manager, quindi, risorse sottoutilizzate all'interno della società costituivano un continuo stimolo all'espansione, e spesso era il management stesso a rappresentare la risorsa più preziosa dell'impresa. Si era così avviato un processo di diversificazione che non poteva essere governato all'interno della cornice organizzativa tradizionale. Entra così in crisi il sistema della U-form. Allora, alcune imprese iniziano a muoversi in una nuova dimensione, ad esempio la DuPont e la General Motors. I vertici di queste corporation compresero le diverse sfaccettature del problema, che imponeva di considerare il focus sulla strategia e, insieme,l'importanza di concedere ai manager un certo grado di libertà operativa nella gestione dei rispettivi mercati. Vennero definite divisioni indipendenti; le nuove divisioni erano linee staff dotate delle funzioni necessarie a operare efficacemente. Il vertice dirigente non risultava più impegnato nelle funzioni operative ordinarie; poteva quindi concentrarsi sugli aspetti relativi alla supervisione, al coordinamento, alla valutazione e all'allocazione delle risorse per l'intero complesso. Le divisioni recentemente costituite erano di norma definite sulla base di aree tecnologiche o geografiche. L'impresa multidivisionale raggiungeva un elevato grado di coesione, pur conservando una grande flessibilità. Lo staff al vertice dell'impresa era così in grado di sovrintendere al processo di diversificazione, trasferendo le risorse finanziarie, tecniche e manageriali da una divisione all'altra. I legami fra il quartier generale ecome M-form) fosse in grado di gestire efficacemente le diverse unità aziendali. La struttura M-form è caratterizzata da una divisione del lavoro in diverse divisioni, ognuna delle quali è responsabile di un'area specifica dell'azienda. Queste divisioni sono organizzate gerarchicamente, con una divisione madre che coordina e controlla le divisioni figlie. Questo tipo di struttura organizzativa consente all'azienda di adattarsi alle diverse esigenze e sfide delle diverse divisioni, consentendo una maggiore flessibilità e specializzazione. Inoltre, la struttura M-form favorisce la decentralizzazione delle decisioni, consentendo alle divisioni di prendere decisioni autonome in base alle loro specifiche competenze e conoscenze.
Dettagli
A.A. 2020-2021
46 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabrizioferro98 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia d'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Gregorini Giovanni.