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STRATEGIE PER LA CRESCITA

1. Strategia difensiva : hanno il fine di proteggere gli investimenti effettuati,

vengono definite difensive perché mirano ad alzare le barriere all’entrata.

- Integrazione verticale: essa consiste nell’acquisizione a monte o a valle del core

business dell’impresa stessa. Questa strategia è utile per avere un controllo da

parte dell’impresa su tutta la filiera produttiva e quindi avere certezze riguardo i

flussi delle merci, avere prezzi fissi nell’acquisizione delle materie prime e dei

semilavorati.

- Integrazione orizzontale : primo strumento utilizzato dalle imprese americane

all’indomani dello sherman act. Essa consiste nella fusione con altre imprese,

nell’acquisizione, nella compartecipazione, tutti metodi che mirano ad integrare

più imprese che utilizzano metodi produttivi simili per produrre lo stesso

prodotto da rivolgere ad uno stesso mercato.

2. Strategia offensiva : sono finalizzate ad entrare in nuovi mercati o ad

intraprendere nuove attività produttive.

- Diversificazione : si vuole entrare in nuovi mercati, si vogliono espandere i

confini dell’impresa. Diversificazione correlata: l’impresa si espande in linnee di

prodotto molto vicine al suo core business (possibilità di soddisfare consumatori

diversi)

Diversificazione non correlata : l’impresa comincia ad investire in settori lontano

dal suo core business. Negli anni ’70 nasce il modello di impresa conglomerata,

esito di una diversificazione con correlata molto spinta. In questa impresa

nessuna linea di prodotto raggiunge il 60% del fatturato.

- L’espansione geografica : le imprese vanno in nuovi mercati ad aggiungere

unità produttive. In Inghilterra alla fine dell’800 si erano sviluppate una serie di

imprese, free standing companies, che avevano la sede legale in Inghilterra ma

gli stabilimenti produttivi erano altrove, dove la forza lavoro costava meno.

Queste imprese sono importanti nel processo di sviluppo delle multinazionali

perché danno la prima forma giuridica a queste tipologie di imprese.

IL MODELLO DI IMPRESA ASIATICO

la diversificazione è stata il frutto della formazione di gruppi di imprese

strettamente interrelate, come lo zaibatsu giapponese. Questi, anziché

specializzarsi in una produzione o in una linea di produzioni correlate, hanno

sfruttato l’ampio spettro di tecnologie straniere mature, e quindi ormai disponibili

sul mercato, per dar vita a un ventaglio di industrie, capaci di mettere in pratica

un’aggressiva politica di espansione sui mercati esteri: una precoce forma di

gruppo conglomerato. Lo zaibatsu era un gruppo diversificato di imprese,

posseduto e controllato da ricche famiglie (Mitsubishi). La sua fortuna si spiega

anche con l’iniziale carenza nel paese di talento manageriale, che spingeva un

limitato numero di imprese a operare in molteplici settori, e con la presenza di un

polmone finanziario rappresentato da una house bank, le cui caratteristiche

replicavano quelle della banca mista di modello tedesco. La democratizzazione

dell’economia giapponese dopo l’occupazione americana successiva alla sconfitta

nella seconda guerra mondiale portò allo smantellamento degli zaibatsu e delle

grandi proprietà famigliari che li controllavano. Lo scoppio della guerra di corea,

che fece del Giappone la base per le operazioni militari americane, indusse

un’attenuazione dei controlli: col recupero della sovranità (1952), il governo

giapponese tornò a favorire la formazione di gruppi di imprese , ora denominati

keiretsu, che tuttavia si differenziavano dai precedenti zaibatsu per l’assenza del

controllo famigliare, sostituito da una rete di partecipazioni incrociate fra le imprese

del gruppo. Nuovi gruppi di imprese si andarono affiancando ai vecchi,

raggiungendo un’elevata competitività in settori quali l’automobile (Toyota) o

elettronica (Sony). L’organizzazione del lavoro e della produzione veniva gestita

non a livello centrale ma a livello delle singole unità produttive, in ciascuna delle

quali erano presenti uno o più ingegneri che espletavano il loro lavoro sul campo.

La gestione è sviluppata sulla base di un sistema di lavoro collettivo, per il quale

l’obiettivo di produzione non viene affidato a un singolo, ma a un gruppo di

lavoratori, le cui funzioni sono intercambiabili. Nella sua forma attuale, il modo di

produzione giapponese è strutturato in un sistema di gruppi di imprese organizzate

a piramide, al centro del quale vi è un’impresa nucleo, l’azienda guida, che esercita

il coordinamento delle attività di gruppo, ovvero delle aziende satelliti, spesso di

dimensioni ridotte, che agiscono da subappaltatrici dell’impresa principale.

RETI DI IMPRESE E DISTRETTI

La specializzazione flessibile, rappresenta l’aspetto più originale e significativo dei

distretti industriali, che caratterizzano quello che è estato definito, il modello

italiano. Il distretto industriale può essere definito come un’entità socioterritoriale

caratterizzata dalla presenza attiva in un’area territoriale circoscritta, di una

comunità di persone e di una popolazione di imprese industriali. A queste

caratteristiche locali, il distretto aggiunge una rete stabile di collegamenti con i

suoi fornitori e i suoi clienti al di fuori del distretto, ampliando gradualmente la sua

azione fino a raggiungere una dimensione regionale, ma in alcuni casi nazionale e

internazionale. Gli elementi caratterizzanti del distretto sono essenzialmente

quattro: la comunità locale (incorpora un sistema omogeneo di valori che si

esprime in termini di etica), la popolazione di imprese (è funzionale alla sua

specifica attività, ciascuna è specializzata in una fase o in poche fasi del processo

di produzione tipico che caratterizza il distretto), le risorse umane, il mercato di

riferimento.

LE IMPRESE COOPERATIVE

Una tipologia di imprese che ha storicamente un forte radicamento territoriale e

piccola dimensione è rappresentata dalle cooperative. Esse nacquero in Italia

attorno alla metà dell’800, ma erano presenti ovunque in Europa, particolarmente

in Francia. La loro configurazione istituzionale a base solidaristica (hanno molti

benefici fiscali), basata cioè sulla partecipazione dei lavoratori alla gestione,

condivide con i distretti il legame con le realtà esterne in cui si collocano, che

induce comportamenti solidali, di appartenenza, che aiutino l’impresa

nell’adattamento ai cambiamenti tecnologici, di mercato e organizzativi. Ad

esempio di fronte alle sollecitazioni della concorrenza e del cambiamento tecnico,

l’impresa cooperativa risponde con ridotta mobilità del lavoro (il lavoratore è

proprietario di una piccola porzione di impresa) e sulla ricerca di buone condizioni

di lavoro attraverso soluzioni organizzative e di investimento basate sulla

partecipazione alle decisioni, a differenza dell’impresa capitalistica. Esse sono

riuscite a contenere il costo del lavoro tramite una politica salariale moderata (i

lavoratori percepiscono un salario più basso, a fronte di buone condizioni di lavoro).

Questa configurazione è parsa adatta alle caratteristiche dell’onda tecnologica

legata alle tecnologie ICT, che si basano sulla valorizzazione delle capacità

soggettive e professionali dei lavoratori. Negli ultimi decenni c’è una convergenza

tra le politiche delle imprese capitalistiche e delle cooperative a causa

dell’aumento della pressione competitiva sui mercati e questo ha comportato una

riduzione dei benefici fiscali che a loro volta ha contribuito a favorire il processo di

convergenza.

TAYLORISMO E FORDISMO

Diversi fattori portarono all’affermazione negli USA del pensiero taylorista-fordista, i

principali dei quali furono, il grande flusso di migranti dequalificati, il quale

rappresentava un bacino di forza lavoro a basso costo da cui attingere che in

concomitanza con le innovazioni della 2°riv. Industriale diventarono fondamentali

per attuare economie di scala. Taylor attraverso l’analisi dei movimenti e delle

operazioni lavorative, si propose di misurare esattamente il tempo necessario

all’esecuzione di ogni semplice operazione, e quindi di definire l’unico modo

migliore per compiere un’operazione lavorativa. L’organizzazione scientifica del

lavoro era nata nella mente di Taylor con l’obiettivo di intensificare la produttività

del lavoro. In effetti lo scientific management si inseriva nella tendenza alla

razionalizzazione della produzione industriale, non solo nel lavoro, ma anche nella

contabilità e ella gestione. Nel modello di Taylor, l’operaio deve svolgere

pochissime, semplici mansioni riducendo al minimo i movimenti che deve fare, il

processo produttivo deve essere scomposto in tante, piccole parti in modo da

portare l’operaio a svolgere le sue mansioni in un tempo più breve possibile. La

fabbrica era divisa in reparti di produzione, ogni operaio faceva i propri pezzi, i

pezzi fatti venivano raccolti e confluivano nella sala montaggio dove venivano

assemblati. Due sono i principali limiti di questo sistema di produzione: l’elemento

di soggettività operaia, e che una volta raggiunta l’efficienza, gli aumenti di

produttività sono praticamente nulli. È possibile aumentare la scala di produzione

ma non la produttività. La definizione dei tempi è affidata alle macchine e non più

agli operai (allo scadere del tempo il pezzo automaticamente passa alla postazione

di lavoro successiva, catena di montaggio). Ford ha acquisito i principi di Taylor e li

ha applicati alla macchina. Egli sosteneva che era necessario produrre molti più

prodotti, ad un costo sempre più basso con cui realizzare molti più profitti. Ford fa

lavorare i suoi operai 8 ore al giorno, mentre nelle altre imprese si lavorava per 12-

10 ore, concedeva la domenica di riposo, si inventa una settimana di ferie retribuite

e molti altri strumenti di welfare aziendali, come asili, sostegni per l’istruzione.

Pensando che il modello T fosse un oggetto che dovesse essere comprato da tutti,

inventa la vendita a rate. Se prima della catena di montaggio, un operaio della Ford

per acquistare un modello T aveva bisogno dello stipendio di un anno,

successivamente nel 1923 gli bastavano 60 giorni lavorativi, e nel 1927 gliene

bastavano 46. Non si produceva più in base alla domanda del mercato, si

produceva quello che l’impresa stabiliva.

Gli anni ’70 segnano uno shock per il mondo occidentale industrializzato. Gli shock

petroliferi del ’73 e del ’79 mettono a dura prova la tenuta dei sistemi economici.

La grande impresa fordista va in crisi perché è molto

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A.A. 2018-2019
29 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/08 Economia e gestione delle imprese

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher jonathantedino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia d'impresa e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof D'Errico Rita Maria Michela.