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La parola “tradizione” deriva dal latino “traditio” (che deriva a sua volta dal verbo “tradere”) e
significa “rimettere”, “trasmettere”; l’atto è stato pensato inizialmente dai romani come
un’operazione prettamente materiale: si passavano tra loro una coppa da tenere in
custodia,oppure si dava la propria figlia in sposa, o ancora, si trasmetteva un sapere o una
consuetudine (quindi una “traditio”). La parola “traditio” ricorre spesso nei testi sacri, ed è per
questo i teologi e i vescovi hanno dovuto ben presto distinguere tra il vero insegnamento della
Chiesa e le altre tradizioni. Secondo gli studiosi, le superstizioni popolari derivano dai pregiudizi:
per abbattere tali pregiudizi è necessario iniziare dall’insegnamento nelle scuole.
I fondatori dell’Accademia celtica di Francia (1805- 1812), che già studiavano i costumi dei
selvaggi poiché fisicamente distanti dai propri e quindi meritevoli di studio, presero in
considerazione la distanza temporale e quindi iniziarono a studiare i costumi del “popolo”: prende
avvio così una ricerca appassionata delle origini celtiche del popolo francese, concepite come
fondamento dell’identità nazionale.
Il termine tradizione indica uno strumento per pensare il “lore”, più precisamente il “folk- lore”
(battezzato così da William Thom) : con questo termine si identificano il sistema implicito della
letteratura orale, degli usi e dell’arte popolare, che si riferiscono ai quattro “folk” (o diversi
popolamenti): quello inglese, quello dei neri, quello delle tribù indiane e quello dei canadesi-
francesi e dei messicani.
Il primo museo di tradizioni popolari fu inaugurato a Stoccolma nel 1873, seguito dalla Sala della
Francia inaugurata (nel Museo etnografico di Parigi) nel 1882. Questi musei hanno il compito di
conservare, trasmettere e valorizzare un patrimonio di oggetti, documenti e abilità rendendoli
accessibili alla massa,visibili nelle gallerie.
Capitolo 2: tradizioni popolari e scrittura.
Il funzionamento della tradizione varia a seconda se una cultura dispone o meno della scrittura e
del posto che essa occupa nel fissare gli usi e trasmettere credenze,saperi e valori. Si possono
distinguere tre casi: quello della società senza scrittura, quello della società in cui l’oralità e la
scrittura dividono fra loro le funzioni di conservazione,di trasmissione e di appropriazione di un
patrimonio culturale comune a tutto il popolo e quello delle società in cui prevalgono la scrittura e
le forme contemporanee della comunicazione.
Società senza scrittura: al giorno d’oggi possiamo dire che non esistono società senza scrittura,ma
esistono società in cui la scrittura è una facoltà esclusiva ed è insegnata a pochi membri della
comunità. Ad esempio,presso gli aborigeni australiani la tradizione è trasmessa oralmente e
comincia con la familiarità con il territorio tribale, che si acquisisce attraverso la conoscenza degli
itinerari e dei luoghi particolari che li contrassegnano. La tradizione vuol dire mettersi in contatto
con il “tempo del sogno”, o “legge del sogno”: entrano così in un’altra dimensione rispetto a quella
della vita ordinaria, simile a quello dei sogni. Presso gli amerindi della costa nordoccidentale
trasmettono la propria tradizione in due modi: tramite i lavori a essi dedicati ai tempi dei primi
contatti con la scienza occidentale e tramite la conoscenza approfondita che i loro stessi esperti
hanno della cultura in cui sono nati.
Società in cui oralità e scrittura interagiscono: il rapporto oralità/ scrittura è diverso dall’accesso
all’alfabetizzazione: una società può essere scarsamente alfabetizzata ma essere comunque
impregnata di scrittura a livello indiretto. Una tradizione orale e scritta contemporaneamente è
rappresentata dalla recitazione dei Veda, testi sacri degli indù: furono composti oralmente,prima di
essere fissati per iscritto ed inoltre la copia scritta è identica alla riproduzione orale,parola per
parola, in modo tale da garantire una fissità della composizione. Nella Grecia antica un esempio è
dato dai poemi omerici: recitati per oltre due secoli,prima di essere scritti,dunque la discussione
verte soprattutto sulla fedeltà del testo scritto verso la tradizione.
Società in cui prevale la scrittura: in queste società prevalgono i testi classici provenienti dalla
tradizione popolare, e di composizioni popolari derivate da testi classici (i cosiddetti “modelli colti”).
Un esempio è riportato nelle favole di Perreault, nelle quali molti modelli colti(come il
“Pentamerone” di Basile) sono stati trasportati e riadattati per la cultura francese contemporanea.
Vi è poi l’esempio della Mioritsa, una ballata popolare trasmessa oralmente in numerose varianti.
Narra la storia di un giovane pastore che viene ucciso dai suoi compagni per gelosia e mostra i
funerali in una dimensione cosmica. Il filosofo Lucian Blaga ha visto in questa ballata una sorta di
rappresentazione della storia del popolo rumeno, e ha quindi pensato di trascriverla.
Capitolo 3. Le pratiche dell’espressione.
Le tradizioni dell’espressione orale,in Europa, occupano un terreno di studi immenso dal punto di
vista geografico, dal punto di vista linguistico e per la varietà di generi trattati. La Kalevala
rappresenta un insieme di testi epici che venivano cantati all’inizio del XIX secolo in finlandese di
cui erano conosciute circa 80.000 varianti, ridotte e poi raccolte in un unico poema epico. La
fissazione in un testo unico rappresenta un atto arbitrario che fa perdere ciò che rendeva vivo un
testo trasmesso oralmente.
La comunità scientifica ha deciso di adottare un unico dispositivo di classificazione dei racconti: il
catalogo di Aarne (1910): qualsiasi racconto rinvenuto in Europa può essere collegato ad un
oggetto fondamentale, o “tipo”, e i tipi possono essere ordinati secondo il “gruppo” a cui
appartengono, che viene sistemato in una “lista” che copre la totalità dei racconti reperiti,
indicizzati secondo una serie di cifre. La sostanza dei racconti varia anche a seconda dei blocchi di
narrazione, anch’essi di due tipi: gli episodi (o azioni condotte dai personaggi) e i motivi (brevi
segmenti del racconto che costituiscono le due unità di base). Propp stabilisce che gli elementi
fondamentali del racconto non sono i personaggi ma le “funzioni”,cioè le categorie dell’operare
(quindi le azioni che di solito vengono svolte durante un racconto). Al di là della morfologia
comune, il senso del racconto è dato dai suoi particolari, i quali unificano il racconto e fanno si che
esso rimanga impresso nella mente di chi lo legge o ascolta.
Tra gli strumenti di significazione utilizzati nella trasmissione delle tradizioni vi sono il canto, la
danza e il vestiario. Il canto è una pratica diffusa in tutta l’Europa da molti secoli e viene ancora
utilizzato in molte pratiche (come ad esempio in quelle riguardanti la liturgia); la danza ha un
repertorio di tradizioni popolari molto vasto, a partire dalle danze collettive in cui si formano catene
fino ad arrivare alle danze “selettive”, in cui per partecipare bisogna avere alcune caratteristiche
particolari. Il vestiario contribuisce al grande repertorio delle tradizioni e si distingue in tre tipi:
vestito, abito e costume. Il vestito ha come unico scopo quello di coprire la nudità o proteggere il
corpo umano dal caldo e dal freddo; l’abito serve per conformare e predisporre il proprio corpo ad
un particolare uso: “habiller” qualcuno significa fornirgli l’aspetto giusto, prepararlo a mostrarsi e ad
assumere il ruolo sociale che ci si aspetta da lui. Il costume viene indossato per mostrare la
propria conformità al modo di apparire prevalente del gruppo cui si appartiene e per formulare o
trasmettere messaggi codificati al proprio gruppo. L’abbigliamento in ogni caso veicola informazioni
tradizionali e messaggi codificati: la sua costituzione è parte della tradizione popolare.
L’abbigliamento codifica i messaggi da trasmettere attraverso diversi mezzi: il colore, la
sovrapposizione dei capi d’abbigliamento e il modellamento del corpo (soprattutto quest’ultimo
mostra particolarmente le differenze di rango e di provenienza mediante
acconciature,berretti,cappelli). In breve,tutto ciò che concerne l’apparire è un campo di studi
privilegiato per la tradizione popolare.
Capitolo 4. Tradizioni popolari e forma rituale.
I riti, i costumi e gli usi hanno una funzione comunicativa, ma il loro scopo principale è quello di
regolare le transazioni tra i membri stessi di una società; presentano quindi un interesse
particolare per la comprensione delle tradizioni popolari poiché offrono tre modalità di
regolamentazione delle transazioni sociali e una gradazione della formalizzazione dalla più
esplicita alla più implicita. La Chiesa si è sempre premurata di separare i riti e i rituali della
cristianità da quelli propri della stregoneria; è stato fissato un sistema normativo di riti destinati a
regolamentare la pratica degli officianti (“rituale” è il libro liturgico che contiene le rubriche e le
formule utili per l’amministrazione dei sacramenti,il “pontificale” raccoglie i riti e i sacramenti
riservati ai vescovi e il “cerimoniale” contiene l’indicazione dettagliata dei gesti e delle operazioni
che il celebrante deve fare), per cui è facile dedurre che nella tradizione religiosa sono i chierici a
decidere cosa è giusto fare e cosa invece no.
A lungo l’uomo si è interessato a raccogliere tutti gli elementi sulla stregoneria e ad interpretarli
attraverso le leggi dello spirito umano: la legge dell’analogia (secondo cui il rapporto fra l’uomo e
l’universo è analogo a quello fra un microcosmo e un macrocosmo) e la legge sul ritmo (secondo
la quale la vita seguirebbe ritmi naturali, come ad esempio il ritmo delle stagioni o dell’alternanza
fra giorno e notte). La ricerca contemporanea persegue due scopi: il primo è confrontare le
pratiche popolari della stregoneria con le pratiche popolari della religione per mostrare che in
entrambi i casi ci si trova nello stesso ambito di immagini simboliche; il secondo è di capire come
funzionano l’attività dello stregone,della guaritrice e quali strumenti utilizzano per effettuare la
propria “magia”.
Le attività popolari legate ai riti sono penetrate a fondo nella popolazione, in feste come il natale,
pasqua o san giovanni, nell’a