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Nell’ambito delle vicende della Convenzione, assemblea eletta dopo l’insurrezione
rivoluzionaria del 1792 che distrusse la monarchia in Francia, si sviluppa la lotta tra girondini e
giacobini, fra democrazia rappresentativa e democrazia diretta, liberalismo e radicalismo. Fra i
rappresentanti più importanti della Gironda vi erano: Brissot e Condorcet, il cui pensiero è
contraddistinto sia dal tentativo di applicare alle scienze sociali e politiche il calcolo
matematico sia dalla riflessione sul progresso. Egli infatti pensa ad una sorta di “matematica
sociale” che permetta di elaborare, attraverso il calcolo delle probabilità e della statistica,
previsioni in campo politico. Nell’opera “Saggio sull’applicazione dell’analisi della
probabilità delle decisioni prese a maggioranza di voti” (1785), Condorcet istituisce un
rapporto fra decisione individuale e scelta collettiva mentre nell’ “Abbozzo” delinea una teoria
del progresso storico e filosofico, in cui forte risulta l’influenza di Voltaire e Turgot. Egli divide in
10 epoche le tappe del cammino dello spirito umano, che gli appare come un progressivo
perfezionamento organico(grazie ai progressi delle scienze matematiche e fisiche) e
spirituale(dovuto allo sviluppo delle scienze politiche e morali) della specie umana. Il progresso
per lui è illimitato e gli uomini della decima epoca(=l’epoca di Condorcet) devono avere
speranza nella possibilità della felicità, ossia di vedere eliminate le cause della disuguaglianza, i
pregiudizi e le guerre. Politicamente il progresso consiste nel passaggio da regimi autocratici e
dispotici a regimi democratici e rappresentativi. Poco dopo la sua morte, un colpo di Stato
rovesciò il regime del Terrore instaurato da Robespierre e diede inizio ad una politica di tipo
liberale, attraverso il cosiddetto “Terrore bianco” contro i giacobini e i sanculotti.
Manifestazione di ciò fu l’emanazione di una nuova costituzione nel 1795, in cui si rinunciava al
suffragio universale e si affermava il principio del censo nelle elezioni, il diritto di proprietà
senza restrizioni e la libera iniziativa economica. Ne usciva un regime di tipo
liberale-costituzionale, in cui il potere legislativo apparteneva a due assemblee e quello
esecutivo ad un Direttorio.
I giacobini
Nel periodo in cui dominarono la Convenzione, i giacobini attuarono una politica interna che si
proponeva di restaurare la natura contro la corruzione della società attraverso la politica. I loro
obiettivi, tra i quali l’instaurazione della repubblica, l’unità della nazione, il rinnovamento etico
della politica, il civismo sociale, hanno lo scopo di promuovere una reintegrazione dell’uomo
con sé e gli altri, con la storia futura e la natura. Questa reintegrazione a sua volta implica che
si realizzi la volontà generale, capace di garantire la libertà a tutti in cambio della dedizione di
ciascuno. Finché il popolo rimane nella corruzione, il partito rivoluzionario ha il diritto e il
dovere di liberare il popolo da tutto ciò che gli impedisce di essere libero, e di guidarlo in
direzione del bene anche attraverso strumenti di coazione(il Terrore) e l’introduzione di
elementi di ineguaglianza e di esclusione(gli “indulgenti”, i “sospetti”). Il pensiero politico di
Robespierre ha le sue fonti nella teoria della sovranità di Bodin, nel diritto naturale di Locke e
soprattutto nelle idee di Rousseau. Avendo come modello la democrazia degli antichi, egli
individua la virtù come principio animatore della democrazia, la quale comprende elementi sia
della democrazia diretta che rappresentativa. Per lui la rappresentanza è temporanea e
sottoposta a continui controlli da parte del popolo sovrano contro la corruttibilità dei deputati,
visti come “commissari”(secondo il modello di Rousseau) e non come “rappresentanti”. La
sovranità è dunque “una e indivisibile” e la separazione tra potere legislativo ed esecutivo
equivale ad una semplice distinzione di funzioni. Pur riconoscendo l’importanza dell’esecutivo,
Robespierre riprende da Rousseau il primato dell’Assemblea legislativa, in quanto il potere del
popolo è sovraordinato rispetto a tutte le altre strutture istituzionali.
La Rivoluzione americana
Il 4 luglio del 1776 a Philadelphia, riuniti nel Congresso continentale, i rappresentanti delle 13
colonie inglesi dell’America del nord spiegavano attraverso il testo della “Dichiarazione di
indipendenza degli Stati Uniti d’America” il motivo della loro ribellione al re inglese
Giorgio III e affermavano la necessità dell’indipendenza delle colonie dalla madrepatria. La
“Dichiarazione di indipendenza” è uno dei testi centrali della modernità occidentale, in cui si
mescolano diverse tradizioni filosofiche come: il repubblicanesimo anglosassone, la tradizione
teologica protestante di matrice puritana, il giusnaturalismo lockiano, il motivo antitirannico di
matrice illuminista. Fu redatta da Thomas Jefferson con l’aiuto di Benjamin Franklin e John
Adams e formalmente si inseriva nella tradizione giuridica inglese dei documenti di protesta
inviati dai sudditi alla Corona per denunciare crimini ed illegalità. In realtà la Dichiarazione si
presentava come un documento politico totalmente nuovo che proclamava il diritto dei
governati di scegliersi il governo, affermando così la sovranità popolare e i diritti naturali alla
vita, alla libertà e al perseguimento della felicità per i singoli. Inoltre gli americani affermarono
di esercitare il loro legittimo diritto di resistenza(per la prima volta ciò avveniva in un
documento politico), diverso dal diritto di rivoluzione proprio del popolo sovrano. Anche nel
Medioevo non era concesso il diritto di rivoluzione ma solo quello di resistenza, diritto negativo,
con cui non si cambiava niente ma si manteneva semplicemente l’ordine. Nella “Dichiarazione”
si possono distinguere due parti: nella prima Jefferson afferma l’evidenza dell’uguaglianza degli
uomini, del diritto al perseguimento della felicità, alla vita ed alla libertà, della necessità del
consenso dei governati per la legittimità dei governi, dell’esistenza del popolo americano quale
popolo libero; nella seconda parte invece la rivoluzione americana si legittima secondo la
iurisdictio: gli americani affermavano di non essere nel torto e accusavano il re Giorgio III di
comportarsi come un tiranno e in quanto tale veniva estromesso dalla giurisdizione. I diritti
infatti erano stati dati agli americani dal creatore e perciò il re non aveva affatto la facoltà di
toglierli. Di conseguenza diveniva loro diritto liberarsi del re e dotarsi di una propria
costituzione. Ciò determinava l’esigenza della secessione, la distinzione politica e giuridica fra
inglesi ed americani e l’affermazione dell’indipendenza delle 13 colonie che si trasformarono in
13 Stati liberi ed indipendenti. Questi ultimi si unirono per la sicurezza, per avere uno stato che
tutelasse i diritti, dichiarando che tutti gli uomini erano uguali e chiamando così un giudice ad
intervenire, come in una sorta di appello al cielo di matrice lockiana(la Dichiarazione è simile ai
trattati politici di Locke, ma si tratta di un documento fondativo con valore giudico). La
Dichiarazione si conclude con una sorta di giuramento civico di impegno reciproco fra i
cittadini.
Temi principali:
1.Affermazione dei diritti, con valore giuridico: si tratta della prima grande dichiarazione
dei diritti, ispirata in gran parte alla teoria politica di Locke, che affermava i principi universali
della libertà e dell’uguaglianza. I diritti naturali che vengono richiamati in apertura sono infatti
quelli lockeani, con la sostituzione della proprietà con la felicità, tema di matrice illuminista
presente anche in Locke nel “Saggio sull'intelletto umano” (1690): “gli uomini hanno il
diritto di poter anche esprimere la propria potenzialità, la propria felicità”. La felicità di cui si
parla è una felicità pubblica: la società deve essere felice, razionale, deve sapere cosa cerca e
come lo realizza e che non è dominata da null’altro al di fuori della ragione. Felicità è anche
darsi un ordinamento, senza rappresentanti, senza conformarsi.
2.Affermazione del popolo sovrano: il popolo ha la capacità di darsi forma giuridica e ha il
potere sovrano (gli Stati Uniti nascono fin dall'origine come democrazia). Il popolo
rivoluzionario per eccellenza è il popolo americano, che diventa rappresentante di qualsiasi
altro popolo in cerca di queste caratteristiche. Si parla infatti di un popolo storico, particolare e
non di qualsiasi popolo (We, the people è la formula con cui si apre la costituzione degli USA),
caratterizzato dalla LIBERTÀ. Questo popolo è tendenzialmente universale ma non ammette
tutti coloro che non sono liberi: le donne, che col contratto coniugale si sono sottomesse al
marito; i neri, che sono arrivati in catene, come schiavi; gli inglesi, che sono sottomessi a
Giorgio III; gli indiani, che non vengono neanche considerati esseri umani, ma come parte
della natura, che non sceglie e quindi non è libera. Inoltre Jefferson affianca alla tradizione
giusnaturalista dell’individuo portatore di diritti naturali, l’elemento teologico, attraverso cui
viene creato il mito della Nuova Gerusalemme, la città di Dio in terra, costruita dalla comunità
degli uomini liberi. Il patto stretto dai coloni americani da una parte costituisce la realizzazione
del contratto giusnaturalista ma dall’altra riprende le procedure del covenant, che nella
tradizione biblica lega Dio e il suo popolo. Nella Dichiarazione ritroviamo appunto il riferimento
al covenant alla base del viaggio del 1620 dei padri pellegrini in fuga dalla servitù della Chiesa
d’Inghilterra verso una Nuova Israele.
3. Accusa di tirannia al monarca inglese: qui è evidente l’influsso della teoria repubblicana
della libertà attiva e virtuosa del cittadino e del testo inglese “Cato’s Letters”, scritte tra il
1720 e il 1723 da Trenchard e Gordon per esaltare il governo uscito dalla Gloriosa
rivoluzione, vista come la ribellione che aveva distrutto la tirannia e ripristinato la libertà della
costituzione inglese. Il loro tema entrale è quello della virtù politica e la difesa della libertà, sia
politica sia religiosa, contro la tirannide. In esse si ritrovano anche temi di Locke come quelli del
contratto, del rapporto fiduciario fra governanti e governati, della necessità di controllo su chi
esercita il potere e della proprietà come principio primo