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VENEZIA
L’isolamento della cultura veneziana, ancora legata a quella tardogotica e
bizantina, comincia ad attenuarsi a metà secolo con l’espansione di Venezia verso
la terraferma, inserendosi così nello scacchiere italiano. In questo processo il peso
di Firenze fu scarso per la concretezza che impronta l’Umanesimo veneziano. La
cultura artistica che coinvolge la città sarà veicolata sopratutto da Padova, tra i
quali primi artisti interessati trovano i Vivarini e i Bellini.
ANTONIO VIVARINI (1420-1480
) è rappresentante di discontinui tentativi,
perché legato ancora al linguaggio prezioso orientale come testimonia la
INCORONAZIONE DELLA VERGINE, 1444, Gallerie dell’Accademia già Chiesa di
Pantaleone, dove si trova ancora una predilezione per il gotico internazionale
(amore per il dettaglio). Il trono diventa una fantasia architettonica.
L’ADORAZIONE DEI MAGI, 1445, Berlino, risente palesemente dell’influenza di
Gentile che era stato a Venezia per il Palazzo Ducale.
Nell’aria adriatica la bottega dei Vivarini aveva grande popolarità. Più rilevante è la
svolta mantegnesca del fratello minore
BARTOLOMEO VIVARINI (1432-91) fu a Padova e ne assimilò le novità con
entusiasmo, ma con alcuni limiti.
Il POLITTICO DI CA’MOROSINI, 1464, Gallerie dell’Accademia, ne è un chiaro
esempio: la solidità dei corpi e delle architetture, l’attenzione alle anatomie non si
accompagnano ad una chiara logica costruttiva (mancata unificazione spaziale).
Nel TRITTICO DI SAN GIOVANNI IN BRAGORA, 1478, la ricerca di naturalismo
aumento, sempre più si capta il cambiamento fiorentino.
ALVISE VIVARINI (1445-1505) figlio di Antonio, seppe invece tenersi al passo
con i tempi, addolcendo i linearismi padovani.
Nel POLITTICO DELLA PENTECOSTE, 1478, Berlino, lo spazio è rinascimentale
(unità spaziale). Scompare lo sfondo oro e rimane solo il polittico (richiesta
committenza).
Nella SACRA CONVERSAZIONE, 1480, tavola, Gallerie dell’Accademia, dove i
volumi geometrizzati (basamento) ed esaltati da una luce fredda e da colori lucidi,
ne è un chiaro esempio. Il grande interesse per l’effetto luministico è visibile anche
nella scelta del manto broccato (invece che il solito manto azzurrino della Vergine).
La committente più raffinata era invece solita rivolgersi alla bottega di Jacopo
Bellini, i cui figli assimileranno a fondo il linguaggio rinascimentale.
GENTILE BELLINI (1429-1507) fu impegnato sopratutto nell’esecuzione di teleri
(tele dipinte applicate al muro con colla di segale) che si diffonderanno
successivamente nella decorazione di scuole ed edifici pubblici a sostituzione
dell’affresco. La sua pittura è certamente ancora legata al gusto per la narrazione
un po’ fiabesca del Gotico tardo.
Nel MIRACOLO AL PONTE DI SAN LORENZO, 1496, tela, Gallerie
dell’Accademia, Gentile ritrae con precisione topografica gli ambienti, con una folla
di figurine analizzate con la medesima cura documentaria. La veduta prevale
decisamente sul racconto, ma la resa minuziosa dei particolari è intesa come
documento della veridicità storica dell’evento miracoloso (confronto con Carpaccio,
Miracolo al Rialto,1494, vivace e ricca di spunti narrativi, il taglio asimmetrico da
straordinaria immediatezza al telero).
PROCESSIONE IN PIAZZA SAN MARCO, 1496 ca.,347x770, tempera, Gallerie
dell’Accademia, dove la prospettiva è frammentata in singole parti: manca
nell’opera un centro chiaramente definito, così che lo sguardo vaga. Gentile intende
fornire una cronaca puntuale e riconoscibile, dislocando gruppi di figurine
abbastanza grandi da permettergli di includere dettagli fisionomici e del costume
(studio antropologico condotto dall’artista) resi con una linea asciutta.
Questa cristallizzazione della realtà ne farà la fortuna come ritrattista, tanto che nel
1479 venne inviato come ambasciatore a Costantinopoli dove realizzò il ritratto di
MAOMETTO II, 1480, tavola, National Gallery, oltre che una serie di disegni presi in
un taccuino (es. turca seduta).
Tuttavia nella PREDICA DI SAN MARCO AD ALESSANDRIA, 1504-7,347x770,
tempera, Pinacoteca di Brera, la composizione è più grandiosa, i contorni si
allentano e i colori assumono un aspetto più luminoso, forse proprio per la
collaborazione con Giovanni che caratterizzò questo telero. I pittori immagino
Alessandria come Costantinopoli, in quanto città d’oriente.
GIOVANNI BELLINI (1430-1516)
Anch’egli educato nella bottega dl padre, seppe uscire dal descrittivismo
tardogotico grazie all’assimilazione delle lezioni di Mantegna, Piero della
Francesca, Antonello e dei fiamminghi. Infatti carattere della sua opera è
sicuramente l’inesausta capacità di rinnovarsi senza rinnegare i valori veneziani del
colore orientale e la spiritualità bizantina. Del suo esordio offre un buon esempio la
TRASFIGURAZIONE,1455, tempera su tavola, Museo Correr, dove la linea asciutta
e incisiva si combina all’enfasi degli scorci, l’accentuato sottinsù. L’importanza
conferita al colore e alla luce, che intenerisce di toni vespertini in paesaggio, deriva
dallo studio dei fiamminghi.
Nelle opere successive l’analisi fiamminga verra approfondita come nella
PIETA’, 1460, tempera su tavola, Pinacoteca di Brera, da considerarsi del periodo
giovanile. I graffissi mantegneschi sono ancora presenti (capelli) ma sono come
disciolti in una stesura della tempera a piccoli tocchi ravvicinati in un processo che
vede una lenta liberazione del colore dal disegno. L’intenso patetismo del gruppo,
portato vicinissimo allo spettatore attraverso l’espediente del parapetto, dipende
anche dall’influenza di van Der Weyden. L’umana interpretazione del dolore è
sottolineata dai toni del paesaggio, cassa di risonanza delle emozioni umane.
L’ORAZIONE NELL’ORTO, 1460, National Gallery, può essere confrontata con la
coeva mantegnesca. Nell’iconografia di Bellini è presente un solo angelo con in
mano il calice. Nel paesaggio sembra di cogliere le aree venete. La magia delle luci
dell’alba cadenzano il ritmo del tempo, un elemento che con Bellini entra nella
pittura. Si avverte la discrasia tra la dolce luce e ciò che sta per accadere.
L’incontro con l’opera di Piero avvenne nei primi anni settanta in un viaggio per
l’Italia centrale il cui risultato è la rivoluzionaria pala con
l’INCORONAZIONE DELLA VERGINE (pannello centrale della pala Pesaro),
1471-74, olio su tavola, Pesaro Museo Civico, dove il fondo oro è sostituito con un
paesaggio aperto, un ambiente che si collega alle figure attraverso la circolazione
dell’aria e della luce.L’invenzione della spalliera traforata evidenzia i protagonisti e
proietta la natura al cento dell’azione. La sapienza prospettica, la salda corporeità
delle figure e l’utilizzo dell’olio come medium concorrono a creare un effetto di
coralità. L’olio consente infatti di fondere con gradualità il vicino e il lontano, fino ad
eliminare ogni diaframma tra uomo e natura, come testimoniano anche l’episodio
della cimasa della PIETA’.
Dopo il soggiorno di Antonello a Venezia, Bellini segui l’artista siciliano
nell’adesione alla vitalità luminosa, piegandola però al suo senso panico della
natura come testimonia le STIMMATE DI SAN FRANCESCO, 1480 ca., dove la
figura umana è immersa nella natura, in un paesaggio dolce e quotidiano che
proviene probabilmente da uno studio dal vero. La totale permeabilità tra mondo
umano e naturale è accentuata anche dall’unico fiotto di luce divina che illumina
tutta la scena. L’uomo non è centro di un universo che domina, come nell’ottica
fiorentina, ma fibra di un tutto che vive in armonia.
Il RITRATTO DEL DOGE LOREDAN, 1501 ca., National Gallery, non è più
rappresentato di profilo. C’è un davanzale che crea un doppio spazio, dove l’artista
si firma, è una finestra che crea un distacco tra spettatore e ritratto simbolico (figura
più eminente di Venezia). Lo sguardo è perso nel vuoto, assorto in sé stesso.
Agli inizi del Cinquecento Bellini continua ad essere tra i protagonisti della
trasformazione veneziana. Dal BATTESIMO DI CRISTO (1502, Vicenza) alla
MADONNA DEL PRATO (1505, National Gallery). Anche nella PALA DI SAN
ZACCARIA (1505, San Zaccaria) la grandiosa edicola che accoglie il gruppo dei
santi e l’angelo musico, nonostante riprenda quella di San Giobbe, si apre su
limpide vedute di campagna lasciando penetrare la luce meridiana che avvolge le
figure.
L’IGNUDA CHE SI PETTINA, 1515, olio su tavola, Vienna, risale ad un anno prima
della su morte. Riprendendo il gioco di riflessione di specchi fiammingo, modella il
corpo della giovane tra penombra degli spazi interni e luce che irrompe dalla
finestra aperta sul vibrante paesaggio. Propone quindi un tema di genere nei
termini nel limpido e severo classicismo che caratterizza l’ultima fase della sua
attività. ( confronto con la contemporanea Donna allo specchio di Tiziano) pag.320
+RESURREZIONE e MADONNA DEGLI ALBERETTI
FIRENZE LAURENZIANA
La situazione di Firenze alla fine del secolo è meno innovativa rispetto a quella
veneziana. Tuttavia un notevole incentivo al cambiamento proveniva dal pensiero
platonico, diffuso dall’Accademia dei Carreggi e in particolare dagli scritti di Ficino e
Pico della Mirandola. Si esalta l’uomo come copula mundi, armonica integrazione di
anima e corpo, padrone del proprio destino. Il PENSIERO NEOPLATONICO
immaginava un mondo organizzato in sfere concentriche, i cui estremi erano Dio e
la materia. L’uomo è l’unico essere vivente in grado di scegliere se elevarsi verso
Dio, discendere al rango degli animali o mantenere una equilibrata equidistanza. In
questa scelta di capitale importanza sono l’amore e la bellezza, ‘’amore è desiderio
di bellezza’’. Questo è forse il più serio tentativo di saldare il Cristianesimo e la
cultura classica. L’enorme conseguenza fu l’ingresso dei miti antichi nelle arti,
portatori di verità arcane rilette in chiave cristiana.
Nel 1469 prese le redini della città il figlio di Piero il Gottoso LORENZO DE’MEDICI
fino alla sua morte (1492), la cui azione politica assicurò un ruolo centrale alla città
nello scacchiere italiano. Da una parte promosse una diffusione della cultura
fiorentina, letteraria e figurativa, attraverso l’invio di artisti nelle varie corti italiane
(scelta che contribuì a preparare il futuro avvento di Roma come centro di novità).