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SICILIA
La complessa cultura figurativa della Sicilia deve la sua natura ai vari influssi subiti nel
corso dei secoli dall’Impero bizantino (VI-IX sec.), dai Saraceni (826-1072) e dai Normanni
con Ruggero I d’Altavilla. Cosi elementi bizantini, musulmani e occidentali si fondono
nell’architettura siciliana, soprattutto a Palermo. Quest’ultima doveva essere al tempo
estremamente ‘arabeggiante’ come ci racconta un viaggiatore islamico, Ibn-Giubar, che la
definì ‘somigliante a Cordova’. Nel corso di tutto il XII secolo la città venne arricchita dai
nuovi dominatori.
La CUBA, 1180 ca., era residenza di Guglielmo II. Un edificio compatto e squadrato
con archi ciechi, suggestionata palesemente dall’architettura civile islamica.
La SIZA, commissionata da Gugliemo I ma terminata dal figlio, è un altro edificio
residenziale. Il nome, derivante dall’arabo ‘aziz’ che vuol dire splendida, testimonia
la bellezza dell’edificio. Sempre edificio monolito con arcate cieche. Straordinari
sono gli ambienti interni, tra cui il ‘triclinio’ estivo, un ambiente semiipogeo con
decorazioni marmoree e a muqarnas, con una cavità decorata di mosaici, sulla
parete di fondo, da cui sgorgava l’acqua che creava un ruscello interno per dare
freschezza.
Entrambi gli edifici si trovavano all’interno del Parco Reale, voluto da Ruggero I.
A SAN GIOVANNI DEGLI EREMITI, 1130 ca., la cultura araba trova ancora riflesso. A
pianta cruciforme, è sormontata da cupole emisferiche di colore arancio-rosso nella zona
presbiterale. Molto simile nell’essenziale semplicità è la chiesa di
SAN CATALDO, 1161 ca., alleggerita da una teoria di arcate cieche (sempre con cupole).
La CAPPELLA PALATINA, 1130-40, commissionata da Ruggero II, si trova all’interno del
Palazzo dei Normanni. L’edificio è frutto di un vero sincretismo culturale: all’impianto
centrale bizantino (presbiterio) si uniscono quello basilicale latino (navata) e gli archi acuti
sulle colonne di spoglio, la cupola ellittica ed il soffitto ligneo a lacunari e muqarnas
(alveoli) di sapore islamico. La decorazione musiva per mano di maestranze bizantine
(scritte in greco) ricopre l’intero edificio, con l’immagine del Cristo Pantocrator nel catino
absidale. Per la decorazione della cupola e tamburo intervennero maestranze bizantine: al
centro Cristo con arcangeli mentre nel tamburo sono raffigurati i quattro Padri della Chiesa
entro nicchie e al centro profeti. Un’iscrizione data i mosaici fino a questo punto al 1143,
anno in cui probabilmente cambiarono le maestranze. Nella parte sottostante è
rappresentato Ruggero con velari (che utilizzava come sala del trono). Sotto il nipote
Guglielmo avviene la decorazione ricchissima delle navate.
CANDELABRO pasquale marmoreo con motivi vegetali e figure umane.
Nel Palazzo dei Normanni la Sala di re Ruggero con Scene di caccia musive.
Il DUOMO DI CEFALU’, 1131 iniziato per volere di Ruggero II, manifesta forti suggestioni
nordiche normanne nello sviluppo in verticale della zona presbiterale e nel prospetto
chiuso tra due torri. La decorazione musiva si dispiega ai lati dell’abside, dove spicca
l’immagine a mezzo busto del Cristo Pancratore con al di sotto tre fasce: Madonna in
preghiera, con le mani alzate e i piedi su un cuscino regale, affiancata dai quattro
arcangeli, ai lati della finestra, sono raffigurati i santi Pietro e Paolo e gli evangelisti, nella
fascia più bassa ci sono apostoli. Tutti di raffinata stilizzazione formale aderente al cifrario
bizantino. Ciascuna figura è accompagnata da una scritta con il nome (titulus) in latino e in
greco, che ne permette l'esatta identificazione.Due iscrizioni completano l'insieme: una di
natura più teologica, accanto al Cristo, e un'altra di natura più storica, che ci informa sul
committente dei mosaici (re Ruggero II di Sicilia) e sulla loro data (1148).I mosaici della
crociera illustrano cherubini e serafini.
Il DUOMO DI MONREALE, fondato nel 1172 da Guglielmo II in quale fonda una basilica
simile a quella del nonno (li vuole essere sepolto), è, insieme al chiostro principale, la
testimonianza di un complesso monastico benedettino. L’edificio è simile a Cefalù, a tre
navate con presbiterio che si sviluppa in altezza. Nella parte esterna dell’abside si trovano
tarsie bicrome di archi acuti intrecciati (islamico). Anche lo schema decorativo è
simile a Cefalù. Busto di Cristo Pantocratore nel catino con due registri
figurativi: Vergine con Bambino in trono con angeli e santi, tra cui anche
Thomas Beckett, da poco fatto santo (uccisione a Canterbury dopo le
Costituzioni di Clarendon di Enrico II Plantageneto).
Caratteri occidentali invece informano l’esteso ciclo musivo, che si sviluppa su
due terzi delle pareti, dove sono raffigurate scene bibliche ed evangeliche,
come la Guarigione degli storpi e dei ciechi (grande volumetria e gestualità).
ROMA
SANTA MARIA IN TRASTEVERE
Chiesa ricostruita tra 1130-80 da Innocenzo II (1130-43) sulla base di una struttura
precedente, chiesa commissionata da papa Giulio I (337-52) sul titulus Callisti (217-22). La
decisione di Innocenzo fu dettata dalla morte dell’antipapa Anacleto nel 1130 il quale era
stato cardinale di questa chiesa.A tre navate, nell’atrio d’ingresso sono presenti le antiche
lastre del coro. All’interno colonne di spoglio sormontate da architrave (San Pietro). Nella
cappella Anthems a sinistra dell’abside è conservata la MADONNA TEOTHOKOS (pag.
321), la più antica delle cinque icone mariane di Roma, è una Madonna col Bambino in
trono reggente una croce con due Angeli. Le fattezze diverse dei tre volti sono riconducibili
a restauri subiti. In basso doveva esserci un altro personaggio, un donatore in abiti
vescovili che dava le spalle all’osservatore. Si tratta di un’icona acheropita, non fatta da
mano umana ma divina. Il legno di cipresso (e castagno per la cornice) compone la tavola
su cui è applicata la tela. La datazione è molto discussa e oscilla tra VI e IX sec.:
- Carlo Bertelli (1961) l’ha studiata a fondo ma è difficile esprimere un giudizio certo in
quanto ci sono molti rifacimenti: gli angeli nello stile possono essere riconducibili
all’Angelo bello mentre la Madonna richiama il primo strato della parete palinsesto. Lo
studioso afferma che è databile a prima del VIII secolo, basandosi sul confronto con S.
Maria Antiqua. In più l’iscrizione che circonda l’icona è della stessa fase di Maria
Antiqua (studio paleografico).
- Nel 1972 invece un’altra studiosa, Maria Andaloro, la data al VI secolo per un testo
(Itinerario di Salisburgo) che potrebbe citare l’icona.
- L’ultima ipotesi sostiene che l’opera sia di IX secolo per una citazione del Liber
Pontificalis. La Madonna non è comunque volumetrica con il Bambino che le scivola
quasi addosso.
Tra il 1590-93 l’icona è portata nella cappella, che acquisisce cosi una grande importanza.
Due sono gli interventi nell’abside in due momenti diversi:
- Catino absidale di Innocenzo II, progettato in maniera complessa: la Vergine e il Cristo
sul suntronon con a sinistra Innocenzo II (modellino chiesa), San Lorenzo e papa
Callisto (prima Chiesa), a destra invece San Pietro e tre presbiteri (Cornelio, Giulio,
Calepodio, le quali reliquie si trovano nella chiesa). Parte inferiore i 12 agnelli con la
Gerusalemme Celeste. Sull’arco absidale invece il Tetramorfo e Isaia e Geremia con i
cartigli in mano che parlano della castità di Maria e del suo ruolo di mediatrice con
Cristo, intercessione per l’Eternità (concetto dal Cantico dei Cantici). Il concetto
dell’abbraccio tra Maria e il figlio è importante in questo senso. Kitzinger associa la
fisionomia dei due volti a due icone separate che venivano portate in processione
durate la Maria Assunta e alla fine si facevano incontrare, l’abbraccio allora si
riferirebbe a questo.
- Per la decorazione musiva dell’emiciclo absidale PIETRO CAVALLINI fornì i
modelli per i mosaici, terminati nel 1295. Sette pannelli: Nascita di Maria,
Annunciazione, Natività, Adorazione dei Magi; Tempio, Morte della Vergine
(dormitio). Ogni riquadro (che si alterna ad una finestra dell’abside) è
accompagnato da un titulus in esametri latini di Jacopo Stefaneschi, fratello del
committente Bertoldo. I titoli sono culturalmente importanti in quanto ci danno
un’idea della religiosità a fine Duecento. Al centro e sotto le Storie della Vergine
troviamo una Vergine col Bambino entro un tondo, al di sotto del quale è ritratto
l’offerente Bertoldo inginocchiato, accanto ai santi Pietro e Paolo.
Si crea cosi un divario stilistico abissale tra catino ed emiciclo, in quanto quest’ultimo
mostra una resa prospettica degli spazi, edifici perfettamente scrociati, figure
volumetriche.
SAN CLEMENTE
Il complesso di San Clemente, ricostruita per volere del cardinal Anastasio, 1120 ca.,
comprende strutture risalenti ad epoche diverse, sorgendo su una chiesa presistente. Tre
navate. Citazionismo del XII secolo: riproposto il quadriportico. La chiesa è unica per la
conservazione dell’arredo liturgico (coro con due amboni). La decorazione sotto Pasquale
II (1099-1125): catino absidale musivo ha un’iconografia complessa, cespo da cui nascono
girali abitati da cervi (uno com serpente, due bevono). I racemi d’acanto ricordano la
decorazione del nartece del battistero in LateranoV. Troviamo poi pastori con gregge e
contadine che danno da mangiare ai pulcini (come la Chiesa che dà da mangiare ai
fedeli): un’iconografia insolita. Sopra i Domenicani. Nell’arco absidale: Lorenzo e Paolo,
Clemente e Pietro. Lo studioso Riccioni ha sovrapposto l’acanto e il Cristo: la Chiesa vuole
riformarsi e riprende i modelli paleocristiani, ma con linearismo nello stile.
PITTURA ROMANICA
L’abbazia fondata da Benedetto nel 529, ricostruita nel XI secolo dall’abate Desiderio
(consacrata da Alessandro II nel 1071), subì pesanti danni già nel terremoto del 1349 fino
ad andare in totale rovina con i bombardamenti dell’ultimo conflitto mondiale. L’abbazia di
Montecassino era un centro culturale e artistico molto fiorente in contatto sia con il Sacro
Romano Impero sia con l’Impero d’Oriente e successivamente con i Normanni. Dal 1058
al 1086 (anno in cui sale al pontificato con il nome di Vittore III) Desiderio fu abate dello
storico monastero, eccellendo in qualità di diplomatico e mecenate, chiamando a
MONTECASSINO numerosi artisti da Oriente e organizzando una sorta di cantiere-scuola
affinché i monaci in loco apprendessero le tecniche. Si ravvisano riflessi dell’opera perduta
in SANT’ANGELO IN FORM