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Estratto del documento

Testa

Viene sfruttato un difetto fisico di Alessandro, il collo torto, per indicare un contatto con la divinità. In tutte le rappresentazioni guarda verso l'alto. I capelli sono voluminosi, ha un ciuffo sulla fronte (ANASTOLÈ). La bocca è leggermente aperta. Questo è lo schema base di Alessandro. Verrà ripreso successivamente anche da Ottaviano e da Caracalla.

Ultime opere: COLOSSI DI TARANTO

Eracle meditante Eracle sfinito, ogni arto prende una posizione diversa. Diventa fonte per iconografie diverse, ad esempio viene ripreso per rappresentare Adamo triste perché scacciato dal Paradiso in una raffigurazione a Costantinopoli. La statua si trovava nell'Ippodromo di Costantinopoli.

Ippodromo prima della conquista turca del 1453

La nuova scultura Laocoonte

Scena della morte di Laocoonte. Ritrovato nel 1506, copia romana di un originale in bronzo. Laocoonte era un sacerdote troiano che si opponeva a che il cavallo lasciato dai Greci fosse scondotto entro

alle mura di Troia. Per questo fu stritolato da due mostruosi serpenti usciti dal mare. Ancora seduto sull'altare, spoglio del tutto delle vesti, il suo corpo muscoloso disegna una grande diagonale che, iniziando con la sua possente gamba sinistra tesa a cercare un sostegno, continua con il torso dai muscoli rigonfi e dalla linea alba profondamente disegnata e con il braccio destro che si protende; ma il gomito improvvisamente si piega all'indietro, come pure bruscamente è strappata all'indietro la testa, in un tentativo di fuga dal morso del serpente, invano frenato con l'avambraccio destro. Le grosse ciocche di capelli dai profondi chiaroscuri avvolgono il volto contratto, lo sguardo rivolto all'insù, la bocca aperta in una disperata smorfia di dolore. Il corpo è ormai avvolto dalle pire, e anche lo sforzo del braccio sinistro, che cerca di liberarsi, sembra ormai vinto. Sulla sinistra e sulla destra anche i due figli di Laocoonte, giovinetti.

Rappresentati di diversa età, sono presa delle spire dei mostri. L'insieme si dispone dunque in uno spazio triangolare più che piramidale, quasi appiattito contro un fondale.

Tre sono gli scultori (di Rodi): Agesandro, Polidoro e Atanodoro (Ci sono due scuole: Rodi e Pergamo)

La linea prevalente è quella curva. È una composizione geometricamente molto complessa. Diagonale drammatica, funzionale al PATHOS (= sofferenza). Solchi che evidenziano le ombre. Vengono trasmesse delle emozioni.

Testa di Laocoonte rovesciata all'indietro, occhi spalancati, bocca spalancata e rughe solcate della fronte. Lo scavo profondo, i solchi, vogliono ottenere un forte CHIAROSCURO, che crea ESPRESSIVITÀ. Sperlonga

Altre sculture provengono dalla grotta di [inserire nome della grotta]. Questa grande caverna naturale si apre direttamente sul mare ed era stata artificialmente adattata come ninfeo di una villa romana, che sorgeva nelle vicinanze. Tiberio vi allestì una sorta di museo con delle copie di statue.

Che verranno distrutte dai cristiani. Vengono ritrovati:

Gruppo di Scilla

Firma di Agesandro, Polidoro e Atanadoro (scultori del Laocoonte).

Scilla emerge dalle acque, simile a una donna dall'inguine in su, e assale la nave di Odisseo, brandendo come arma il timone. Il timoniere caduto sulla prua, cerca disperatamente disfuggirle aggrappandosi alla nave, ma Scilla l'ha già afferrato con la destra per i capelli e sta per trascinarlo tra i flutti, dove altri compagni di Odisseo sono ormai preda delle teste canine che le spuntano dalle pinne del ventre.

La testa del timoniere ricorda, nella sua patetica espressione, quelle dei due figli del Laocoonte. Profondissimo è lo scavo all'interno dell'orbita.

Gruppo di Polifemo

Noto è il mito rappresentato: Polifemo, ciclope da un occhio solo, viene accecato da Ulisse e dai suoi compagni.

Dominava l'insieme Polifemo, steso su una roccia, addormentatosi per il troppo vino bevuto, il gran corpo disteso obliquamente,

il capo abbandonato all'indietro. Ne sono stati rinvenuti solo alcuni pezzi.

Potente diagonale che percorre l'intera composizione, le figure disegnano una piramide umana al cui vertice è posto Ulisse. Tutto il gruppo è teso nell'esecuzione dell'azione.

Il volto di Ulisse è lavorato in maniera straordinaria, profondissimi sono i solchi. L'espressione è resa ancora più intensa dall'approfondimento delle orbite, la concentrata profondità dello sguardo, l'irrigidirsi di tutti i muscoli del viso, dalla bocca semiaperta nella tensione del momento.

Il ratto del Palladio Diomede e Odisseo rubano l'antica statua di Atena.

L'altare di Zeus a Pergamo. A Eumene II si deve la ristrutturazione dell'acropoli di Pergamo (Asia Minore), con la costruzione di un muro di cinta e la creazione di una nuova terrazza, subito sotto a quella del santuario di Atena e ad esso collegata attraverso una serie di ambienti.

Al centro

Di questa nuova terrazza il re fa costruire un gigantesco altare, presto annoverato tra le meraviglie del mondo antico, e dedicato a Zeus e a Atena Niceforo (cioè portatrice di vittoria, perché celebrasse la potenza che il regno aveva raggiunto con le sue vittorie).

L'edificio di culto prima dell'età ellenistica era il tempio, in età ellenistica è l'altare stesso che diventa tempio.

Altare a forma di π, viene decorato come un tempio.

Viene adoperato il modello del fregio continuo.

Altorilievo talmente alto che sembrano sculture a tutto tondo.

Il fregio della Gigantomachia.

L'intero fregio è certamente uno dei massimi capolavori dell'arte ellenistica, uno dei perni fondamentali per capirne lo sviluppo.

L'intera cosmica lotta è colta in un unico momento e rappresentata attraverso singole monomachie che si succedono con ritmo serrato.

In ciascuna una o più divinità si trovano vittoriosamente opposte ad

altrettanti giganti, spesso dalle caratteristiche mostruose, rappresentanti del caos. Tutto il fregio è pervaso da un drammatico movimento, che avvolge il tumultuoso ammassarsi dei singoli, vittoriosi, duelli degli dei dell'Olimpio contro i Giganti, simbolo del male. Il tema era stato più volte rappresentato nell'arte classica, qui acquista però una dimensione inusitata, spinta all'eccesso, per far sentire la grandiosa energia delle forze del caos primordiale contro le quali tutti gli dei dell'Olimpo devono combattere una lotta decisiva. Le figure si affollano a riempire tutto lo spazio del rilievo, strabordando al di fuori del listello di base. La dimensione sovrumana del mito viene posta davanti allo spettatore con una continua, caratteristica esasperazione delle masse, dei movimenti, delle espressioni dei volti, che ha fatto nascere la definizione di "Barocco pergameno". Il tema è scelto volutamente. Nel III sec. si combatte contro

I Galli, vengono sconfitti da Attalo I. Per questo si ripropone la tradizione dei Greci contro i Barbari.

Il donario di Attalo I

Attorno al 230 a.C. Attalo I riporta una grande vittoria, fondamentale per l'esistenza stessa del suo regno, sconfiggendo presso il fiume Caico i Galati. Per celebrarla, Attalo I dedica ad Atena, nella terrazza del suo santuario, un grande donario composto da varie statue disposte su un piedistallo.

Due delle statue sono state identificate in altrettante copie romane, di altissima qualità. Dato che sono state rinvenute nell'area degli Orti Sallustiani a Roma, che erano appartenuti a Giulio Cesare, è stato proposto che fossero copie fatte fare da Giulio Cesare a ricordo delle sue vittorie sui Galli.

Questo donario è stato attribuito a Epigono di Pergamo. Egli attraverso l'esasperata drammaticità cerca la partecipazione emotiva dello spettatore.

Il galata suicida

Poderosa immagine di un guerriero barbaro, rappresentato in tutta

La sua vigoria fisica, che ancora tiene parzialmente sollevata per un braccio una seconda figura, un personaggio femminile dalle membra ormai abbandonate nella morte.

La possente muscolatura dell'uomo ne indica l'estrema, violenta vigoria; il brusco volgersi a lato e verso l'alto del capo ne mostrano l'orgogliosa fierezza, accentuata dallo sguardo, reso più intenso dalle forti arcate orbitali.

Ma le linee verticali di tanta sprezzante potenza, giunta al culmine, si volgono improvvisamente verso il basso, nella linea pure verticale della spada, che egli stesso immerge dall'alto nel proprio torace, nell'atto estremo del suicidio.

Le grosse ciocche scomposte, le forti arcate sopraccigliari, soprattutto l'uso di portare i lunghi baffi, ne indicano chiaramente l'appartenenza etnica. Chi vedeva questa statua non aveva dubbi: si trattava di un barbo galata.

Anche la donna ha una capigliatura caratteristica, a lunghe ciocche scomposte, che la indicano come galata.

La testa ricade verso il basso, come il braccio sinistro, non sorretto dal compagno; e verso il basso tendono, prive di ormai ogni vitalità, le lunghe pieghe del vestito.

Si ha qui una stupenda, drammatica illustrazione di tanti passaggi letterari che parlano della fierezza di questi barbari che, vinti, pur di non cadere nelle mani dei nemici, davanti la morte alla propria famiglia e a se stessi.

Il galata morente

Anche in questo caso la drammaticità nasce dai continui contrasti. Il grande corpo muscoloso del guerriero, totalmente nudo, è ormai a terra, abbandonato sul proprio scudo. Ma il braccio destro ancora si tende, nell'estremo, disperato tentativo di tenersi sollevate, inutilmente. La testa si sta abbandonando, il volto in una dolorosa, intensa concentrazione.

Minuziosamente è indicata la ferita che gli lede il costato, mentre con il braccio sinistro sembra voler fermare il sangue che sgorga da una ferita sulla coscia.

Caratteristiche etniche: baffi, torque

(collare aperto portato all'uso galata), capelli dritti (i Gallisi fissano i capelli col gesso e si dipingevano il corpo di bianco). La scuola Pergamena Gruppo con Menelao che sorregge il corpo di Patroclo Topos della contrapposizione tra un personaggio stante e una figura ormai senza vita che egli cerca di sostenere. L'originale potrebbe essere attribuito ad Antigono di Caristo. Una copia si trova a Roma, vicino Piazza Navona, ed è il cosiddetto Gruppo del Pasquino. I Romani dal 1800 ci vanno ad attaccare le loro lamentele, critiche, scherzi... Che vengono chiamate le loro "pasquinate". Nike di Samotracia La Nike alata si
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A.A. 2018-2019
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/07 Archeologia classica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Nobody_scuola_1990 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Archeologia e storia dell'arte greca e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Lepore Giuseppe.