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L'esame delle opere scultoree di età ellenistica

può iniziare con un capolavoro straordinario che ancora oggi domina la scalinata d'accesso all'alapiù frequentata del Louvre, il Pavillon Denon: la Nike di Samotracia (f. 55,508). Il luogo di ritrovamento di questa scultura è un'isola prossima alla costa dell'Asia minore, non lungi da Pergamo, di cui tra poco dovremo occuparci a fondo, e già quest'indicazione geografica è indicativa di un aprirsi a ventaglio degli orizzonti, oltre il ristretto ambito della grecità. Sul piano stilistico, è come se uno di quei busti solenni che Fidia aveva collocato in uno dei frontoni del Partenone si fosse deciso ad "andare", aiutato dal forte battito delle ali. Il corpo si protende in avanti, rompendo l'aria, il che genera un moto di curvatura e risucchio della veste che fascia tronco e arti inferiori, risultando a un tempo stesso un effetto del movimento.

ma anche contribuendo ad esso, come afferrando la massa per imprimerle meglio una torsione, un'animazione. Da qui il passo non è lungo per giungere a un'altrettanto celebre opera del futurista Boccioni, Forme uniche della continuità nello spazio, anche se l'artista nostro, fedele alla solenne proclamazione del padre del Futurismo, Marinetti, deve in qualche modo "meccanizzare" la Nike, renderla degna della morfologia delle auto, che appunto Marinetti ha proclamato più belle della Nike di Samotracia. Ma lo slancio, la propulsione in avanti sono della stessa forza, nascono quasi a uno stesso parto.

Tra le varie dinastie in cui si spezza l'unità precaria dell'impero precipitosamente costituito da Alessandro c'è quella degli Attalidi, sotto il cui dominio si trova il regno di Pergamo. Ed è proprio in questa città, non lontana dalla mitica Troia, che sorge il monumento più tipico e importante dell'Ellenismo,

un Altare, i cui vari frammenti, dopo il ritrovamento, sono stati ricostruiti all'interno di una vastissima sala del Museo di Stato di Berlino(f.56). Si tratta di una vasta scalinata che conduce a un loggiato superiore a colonne. Sui suoi fianchi sorge un massiccio basamento di grande sviluppo orizzontale che consente una imponente decorazione a bassorilievo, attraverso decine di riquadri, mentre anche il loggiato superiore ingloba un'edicola ornata su tutta la superficie da una serie di altri bassorilievi, ovvero da un fregio, condotto in modi più delicati e aerei. Il basamento inferiore, anche con rispetto della sua stessa collocazione, illustra un drammatico scontro tra le potenze della terra, concrete in viscidi serpenti sorgenti dai fondali marini, e poveri esseri umani che tentano di sottrarsi a quella minaccia e di conquistare il cielo. Il tutto si pone all'insegna del dinamismo, della colluttazione, della mischia selvaggia. Se guardiamo i volti, questi ciappaiono degni del grande precedente di Scopa, e infatti gli occhi, dilatati per l'orrore che provano se guardano ingiù, roteano verso l'alto in muto gesto di supplica, comunque scompare del tutto la serenità delle epoche classiche, sostituita dalla una vibrante manifestazione di pathos, di tensione emotiva emotiva. Perfino le capigliature di questi esseri partecipano al clima drammatico inanellandosi, arruffandosi (ff.57-60, 505). Si dà insomma una varia casistica tra corpi che cadono nell'amelma, afferrati dalle potenze degli abissi, e altri che invece, a prezzo di un osforzo titanico, e con l'aiuto di esseri divini, riescono a sfuggire a quell'insidia e a mettersi in salvo. E', per dirla con uno storico dell'arte a noi molto caro, il Wölfflin, e riprendendo le sue coppie dialettiche, un passaggio violento dal chiuso all'aperto, dal lineare al pittorico, e soprattutto dal paratattico all'ipotattico, nel senso che i corpi,

Ora, fanno gruppo, si allacciano tra loro, vengono a un coito, prendendo il termine alla lettera, come indicativo di una volontà di mutua interferenza. Allo stesso modo che, per ritornare alle nostre omologie di fondo, l'era ellenistica fa saltare i confini tra le varie città-stato, emette in rapida circolazione reciproca le etnie più diverse, portandole a scontrarsi in un agone tanto più vasto rispetto a quello cui si erano attenute le varie poleis nelle fasi dell'arcaismo e della classicità. A questa maniera il linguaggio del basamento inferiore dell'Altare di Pergamo viene ad anticipare effetti che poi ritroveremo in piena età barocca, nel cuore del Seicento, o quanto meno ci ricorda il prorompente linguaggio "moderno" di Michelangelo, messo a punto nei primi decenni del Cinquecento. Tanta drammaticità ed agitazione si attenua invece se andiamo a esaminare il linguaggio del fregio ospitato nel colonnato superiore.

Con rispondenza sia allacollocazione stessa, infatti quest'area del monumento è ormai posta in salvo, sottratta ai miasmi dei bassifondi terrestri o marini, sollevata in "più spirabilaere". All'effetto intrinseco di questa collocazione si associa la natura del "mito" qui illustrato, che infatti non si rivolge a un titanico scontro tra potenze partorite dal sottosuolo e divinità dell'aria, bensì narra la leggenda degli inizi della città e del regno degli Attalidi, cercando di nobilitarli tramite un riferimento a qualche eroe leggendario, come sarebbe Telefo, figlio di Ercole, portato in quel luogo dall'eroe più celebre dell'antichità greca nel corso di una delle sue "prove" titaniche. Qualche secolo dopo anche Augusto si proporrà lo stesso scopo di nobilitare le origini di Roma mettendo al lavoro il grande poeta di corte, Virgilio, che a tal fine concepirà l'Eneide.

rintracciando l'origine dell'Urbe in uno dei protagonisti della tragedia di Troia. Ma certo le avventure del mitico Telefo si svolgono con tonalità di favola leggera, come indicano i vari frammenti pervenutici (ff.61-64), che indicano membra tese nell'azione, ma senza che questa assuma i toni drammatici già intravisti negli scontri titanici del basamento. Il ritmo resta fluente, le figure si muovono con agilità, ma nel quadro di un tipico romance, per dirla col vocabolo inglese, che ha il merito di additarci quei tipi di racconto che privilegiano la trama, l'intreccio rispetto alla penetrazione psichica, quale si addice assai più al genere di componimento che sempre la lingua inglese indica col nome di novel. E' insomma una bella favola, quella che ci viene narrata nel fregio di Telefo, anch'essa impostata sui valori dell'"aperto", di un'incalzante ipotassi, ma senza mai sollevarsi ai vertici patetici che

Ritorniamo invece in pieno al dramma più cupo in due sculture che sono daporsi pur sempre in area pergamena, e in anni non molto lontani dall'Altare, acavallo cioè tra il IV° e il III° secolo a. C. Una di queste ha un titololontanissimo dalle origini, Pasquino, nato dalla fantasia del popolo romano chepoté ammirare il ritrovamento di un esemplare dell'opera presso la famigliapatrizia dei Braschi, ora il gruppo è collocato a Firenze, nella Loggia dei Lanzi(f. 65, 509), e illustra eloquentemente uno dei tanti eventi crudeli di cuidovevano essere costellate le imprese militari alessandrine: un soldataccio haappena stuprato o ucciso una giovane, e ne regge ancora il corpo cadente; sonomesse così a confronto due realtà, il guerriero, non molto lontano da una diquelle potenze ctonie che, nel basamento dell'Altare, tenevano avvinti i corpidesiderosi di salvezza; e quella di una vittima, abbandonata

A un incontenibile ritmo di caduta, che quasi la svuota di materia, la rende simile a uno straccio inerte. Ancora più tragico, se possibile, il gruppo che vede un Galata, cioè l'esponente di una etnia che ha perso in guerra, che è stata sconfitta magari dalle sopraggiungenti forze macedoni, e che per evitare la sorte disumana della schiavitù preferisce dare a sé, e alla coniuge, la morte, come in effetti doveva accadere tante volte in quegli anni torbidi squassati da drammi senza fine. La donna già raggiunge, nel carattere di inerzia, di caduta quale panno svuotato di sostanza, la vittima già intravista nel gruppo precedente, mentre il guerriero si erge ancora, ma concentrando ogni superstite energia nel portare contro di sé il colpo fatale, che presto farà anche di lui un corpo inanimato e cadente (Roma, M. N., f. 66).

Ma l'opera più significativa, e riassuntiva dell'intera fase ellenistica è...

senzadubbio il Gruppo del Laocoonte, di cui una copia ammiratissima nei secoli egravida di influenze si conserva a Roma, nei Musei vaticani (f. 67). E’ anche inqualche modo un terminale dell’intera parabola del nostro corso, carica di virtùe caratteri esattamente opposti a quelli da cui siamo partiti. Non ci sono più staticità ed inerzia, bensì sfrenato movimentismo, affidato a quell’orrido serpente che, come vuole il mito di Troia, si leva dal litorale marino ponendosi ignomignosamente al servizio ingannatore di Pallade, la protettrice accanita dei Greci invasori. Questi, ormai scoraggiati dalla resistenza decennale opposta dai granitici cittadini di Troia, accettano di ricorrere all’astuzia suggerita da Ulisse, fingono cioè di andarsene lasciando sulla spiaggia il famoso cavallo ligneo, col ventre imbottito di eroi silenti. I Troiani, stupefatti, increduli che il blocco militare sia cessato di colpo, escono dalle mura ancora timorosi.e si chiedono quale senso abbia quel dono inopinato lasciato alle spalle dal nemico fuggente. Qualcuno pensa che sia un'offerta votiva agli dei della città vincitrice, e che dunque debba essere portato entro le mura, ma il sacerdote Laocoonte intuisce la verità, si fa risoluto proclamatore del detto, ancor oggi proverbiale "Timeo Danaos et dona ferentes", diffido dei Greci, dei Danai, anche se portano doni. Occorre far tacere quella importuna voce della verità, e a ciò provvede proprio il mostro marino ubbidiente agli ordini della dea. Ma diciamo pure che è esattamente uno di quei mostri della palude che abbiamo già visto all'opera nell'Altare di Pergamo, anche se i tempi e i luoghi non coincidono: qui siamo forse a un secolo di distanza, ormai nel II° a.C., e il pezzo proviene da Rodi, comunque pur sempre da un luogo della diaspora, della disseminazione a raggiera delle officine, dei centri di potere e di cultura.

Questa volta il mostro degli abissi ha partita vinta!

Dettagli
Publisher
A.A. 2005-2006
18 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-ANT/02 Storia greca

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Novadelia di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'arte e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Barilli Renato.