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Estratto del documento

ROBERT VENTURI

, Learning from Las Vegas

ROBERT VENTURI

, Meaning in architecture

CHARLES JENKS , The language of Post-modern architecture

CHARLES JENKS La fine del proibizionismo

PAOLO PORTOGHESI,

, Corpo memoria e architettura

CHARLES MOORE

Approfondimento: Luigi Piccinato ! 39 Lezione 8

22 Novembre

Archigram

Periodo che parte dagli anni Sessanta che sì lega al periodo inglese degli Smithson in una direzione

però abbastanza diversa, che procede a partire da una sorta di ottimismo, legato alla crescita

economica, del futuro che hanno spinto i protagonisti di questo periodo a prefigurare situazione

molto lontane dal reale contesto.

“L’ispirazione nasce da una grande eccitazione, dai limiti estremi della propria immaginazione. Il

nostro documento è il fumetto di fantascienza.”

Gli Archigram, la cui denominazione deriva dall’associazione dei termini Architecture e Telegram,

sono David Greene, Warren Chalk, Peter Cook, Dennis Crompton, Ron Herron e Michel Webb. Nel

1961 Cooke, Greene e Webb pubblicano una rivista di una solo pagina con il sottotitolo instat

communicatoion, sottolineando la necessità dell’immediatezza del messaggio, della velocità della

comunicazione. Gli anni successivi sì uniscono anche gli altri componenti e fin da subito vengono

chiamati ad organizzare una mostra-manifesto, Living City, presso l’Institute of Contemporary

Arts of London. Living City, infatti diventa il titolo della loro terza pubblicazione così come la Plug-

in City ne diventa il quarto e la Walking City il quinto. Nel 1965 Peter Cook fonda la Plug-in

University come branca della Plug-in City e il gruppo sì cimenta nella sviluppo dei progetti per gli

ambienti di vita. Gli Archigram non realizzeranno nulla in maniera concreta proprio perché le loro

proposte risultano troppo avanzate per il contesto in cui sì sviluppavano. Al di là delle proposte che

riguardano un intero aggregato urbano, progettano il Living Pod e il Cushicle. Le proposte sì

esauriscono già nel 1965, per poi essere messe in pratica.

La forza dirompente enorme degli Archigram viene messa meno nel momento in cui devono

progettare concretamente qualcosa. Il Telegraph li invita a realizzare una casa per il 1990, quindi

con 30 anni di anticipo, da mostrarsi ad Harrods. La casa, in quest’ottica, doveva risultare un

insieme di elementi innovativi e futuristici. Tutte queste proposte utopistiche però in realtà sì

riducono a poche realizzazioni concrete: solo Crompton e Herron progettano una piscina per Rod

Stewart e un giardino per bambini a Milton Keynes. Nel 1974 gli Archigram chiudono lo studio.

Architectural Telegram, radice del nome, sta a sottolineare la velocità con cui dovevano essere

diffuse le loro proposte di architettura e alla stessa velocità sì diffondeva la nuova cultura pop.

Tutta la loro proposta ha quindi una radice di connessione di dinamicità e velocità.

"È pensabile che sotto l’impatti della seconda età della macchina il bisogno di casa nei termini di

contenitore stabile e permanente, come parte del carattere psicologico dell’uomo, scomparirà.”

Gli Archigram devono molto a Buckminster Fuller, per la confidenza con la grande struttura e per

la funzione che la tecnologia deve avere nella società. In maniera indiretta anche ai Costruttivisti

russi degli anni venti, per la loro ricerca della città “meccanica”, e ancora prima a quegli americani

studiosi dei temi infrastrutturali che partorirono le famose città lineari ottocentesche.

La maggior parte dei componenti è legata all’Architectural Association, una struttura importante

per quanto logisticamente modesta, e proprio per questo portato teorico, alla fine prenderà parte al

mondo accademico diventando docente universitario.

! 40

Archigram deriva dal desiderio ordinario di non creare una rivista regolare e prevedibile con un

sacco di pagine e una copertina, quanto dal bisogno di lanciare, espellere un oggetto che potesse

esplodere nelle mani degli assistenti oppressi degli uffici di Londra e in quelle degli studenti di

architettura. Un grosso poster, un collage di immagini, un pamphlet… qualsiasi cosa di cui ci fosse

bisogno allora. Da qui il bisogno di un nome che assomigliasse a un messaggio, a qualche

comunicazione astratta, a un telegramma, un aerogramma.

Il primo archigram è stato uno sfogo contro un atteggiamento che continuava la tradizione europea

di un’architettura di buone maniere, senza fegato, un’architettura assorbita nell’etichetta del

Moderno, pur avendo tradito la filosofia del primissimo modernismo.

La Living City, progettata nel 1963, sì appoggia ad una matrice lineare di sviluppo a cui sì

aggregano in modo non regolare i servizi. È composta da una collage che riprende tutte le loro

proposte: una proposta nuova ma con una base riconoscibile di contesto.

La Torre di Montreal, mai costruita, commissionata nel 1963 avrebbe dovuta essere eretta in

occasione dell’Esposizione Universale nel 1967 a cui partecipò anche Buckminster Fuller con la

cupola geodetica. La torre doveva includere alla base tre grandi auditorium da 1500-200 posti. Nel

livello mediano alto 125 metri avrebbero collocato ristorante, sala da ballo, spazi per mostre e

perfino un acquario, mentre alla sommità sì sarebbe trovato, oltre ad un altro ristorante e

nightclub, anche un osservatorio.

“Un esercizio per in concetti strutturali e di ricambio delle parti che sviluppammo poi per Plug-in

City, un albero verticale di cemento dalle enormi radici, che avrebbe fornito una enorme varietà

di funzioni di intrattenimento.”

Se la Living City aveva dei riferimenti alla città ideale, il primo progetto rivoluzionario è stata la

Walking City nel 1964, una città che sì sposta. Composta da una megastruttura mobile,

un’astronave in acciaio con degli elementi telescopici di appoggio, indipendente dal suolo per

connettersi con le altre Walking Cities oppure con le superstiti Old Cities: l’idea è quella di una

comunità di persone che da un posto di sposta ad un altro senza creare delle connessioni stabili nel

contesto. L’idea di luogo viene completamente sradicata, di provenienza e di costituzione

successiva. C’è una visione del futuro assolutamente dinamica e atopica, l’idea di luogo non è più

importante.

La seconda proposta, la Plug-in City, è la città delle connessioni: ci sono dei tubi che costituiscono

una sorta di ossatura di servizio a cui sì ammorsano delle cellule legate alla vita altamente

tecnologica. Una struttura modulare su larga scala, con vie d’accesso e servizi essenziali, edificabile

su qualsiasi terreno. In questa struttura verranno inserite unità buone per tutti gli usi, e

programmate in anticipo per l’obsolescenza. L’interno conterrà mezzi meccanici ed elettronici

intesi per rimpiazzare il lavoro odierno. La struttura base sarà costituita da un’intelaiatura

diagonale di tubi di 2,75 metri di diametro, che sì incroceranno a intervalli di 44 metri. Da ogni

incrocio sì dipartiranno 8 tubi. In un tubo su 4 sì troverà un ascensore veloce, oppure un più lento

ascensore locale. Sempre uno su quattro servirà da via di fuga, e il tubo rimanente fungerà da

condotto per beni e servizi. Anche i pavimenti saranno sospesi.

Erano naturalmente previste anche scale mobili. Strutture gonfiabili avrebbero protetto il cuore

della città dal maltempo. La popolazione avrebbe vissuto in capsule che le gru sopraelevate

avrebbero collocato ovunque sì volesse: inoltre, le gru sarebbero servite anche a smistare i beni

necessari alla sommità dei tubi. ! 41

“Finalmente gli edifici potranno diventare animali, con parti gonfiabili e tubi idraulici e un

piccolo ed economico motore elettrico. Potranno crescere e rimpicciolirsi, diventare diversi,

diventare migliori.”

L’unità abitativa base di Plug-in City avrebbe dovuta essere la Capsula, ideata da Warren Chalk

nel 1964. La capsula spaziale fu un’ispirazione da ogni punto di vista, e mentre Plug-in City stava

venendo sviluppata, divenne presto ovvio che questo tipo di abitazione sarebbe stato l’ideale,

incuneato e impilato in una struttura a torre. L’intera torre sarebbe stata organizzata per collocare

gli elementi tramute una gru, e gli elementi obsoleti sarebbero stati aggiornati col progredire della

tecnologia. Comprende il letto con tutta una serie di elementi elettronici.

Nel 1967 un giornale inglese commissionò al Gruppo il design di una Casa per il 1900. Letti e

poltrone sarebbero stati gonfiabili. Vi avrebbero provveduto dei robot che avrebbero abce

risistemato a piacimento le pareti, rimosso la polvere, portato rinfresco e acceso schermi TV

giganti. La Tv avrebbe trasmesso anche l’olfatto: come per Charles Moore, c’è una multisensorialità

unitaria. Per cuocere i cibi, invece delle microonde, sì sarebbe usati gli ultrasuoni. Poltrone e letti sì

sarebbero trasformati in hovercraft e avrebbe potuto scorrazzare per la città.

“La macchina elettrica non sarà più un servizio che sì ferma alla porta di ingresso: diventerà una

parte della casa. La sedia lascerà il tappeto e fischiettando seguirà la strada che porta in

campagna o in centro.”

Un’altra idea di Archigram fu semplicemente portarsi l’abitazione addosso, denominata Cushide,

da Cushion e Vehicle. Sarebbe stata una specie di esoscheletro da portare sul dorso, composta da

un’ossatura metallica e da una parte gonfiabile. Il casco avrebbe contenuto radio e TV: l’unità,

concepita da Webb, avrebbe incluso cibo, acqua, riscaldamento con un’autonomia di quattro ore.

Non c’è più la necessità di un luogo di riferimento, il contesto cambia continuamente.

La successiva Living Pod, consiste in una versione più grande della cellula abitativa. Una

possibilità più straordinaria, suggerita da Buckminster Fuller, una casa autonoma o

autosufficiente, e sarebbe virtualmente un’astronave poggiata al suolo, in grado di riciclare tutti i

prodotti di rifiuto e riconvertirli in cibo, aria e acqua in un ciclo chiuso. Data una fonte di energia

compatta, che potremmo aspettarci dagli sviluppi dell’energia atomica, la casa del futuro non

avrebbe radici a fissarla al suolo. Niente tubi dell’acqua, scarichi, linee elettriche: la casa autonoma

potrebbe quindi spostarsi ovunque sulla Terra a volontà del proprietà. Le case potrebbero volare,

trasportate da un luogo all’altro da grossi elicotteri da trasporto non più potenti di quelli in uso

oggi. Con opportuni adattamenti avrebbe potuto anche essere calata in fondo al m

Dettagli
Publisher
A.A. 2018-2019
71 pagine
SSD Ingegneria civile e Architettura ICAR/18 Storia dell'architettura

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher mati.polvani di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'architettura contemporanea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Politecnico di Milano o del prof Iacobone Damiano Cosimo.