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Estratto del documento

I sopravvissuti servirono per altri esperimenti, quelli di Hirt ad esempio, oppure furono impiegati in lavori

così estenuanti che presto trovarono la morte. Haagen si affrettò a compilare un rapporto trionfalistico per il

Servizio centrale SS.

Contemporaneamente un’epidemia di tifo scoppiò a Natweiler. I detenuti furono colpiti in massa: si

contarono 1.200 casi.

Le deplorevoli condizioni igieniche ed il sovraffollamento favorirono l’estendersi dell’epidemia. Nessun

prigioniero era stato preventivamente vaccinato. Haagen più tardi spiegò che non aveva vaccinato in

quantità sufficiente. Le SS, dal canto loro, vedevano in questa epidemia solo un altro mezzo di sterminio.

I morti si moltiplicavano e Haagen ne approfittò per procedere a numerosi esami sierologici ed ai più

diversi esperimenti. Per lui, come per le SS, questo episodio era un’inaspettata fortuna.

All’epoca in cui Haagen scrisse la sua lettera, gli esperimenti non avevano più nessun avvenire ed egli lo

sapeva. La ritirata degli eserciti tedeschi costrinse le SS ad evacuare il campo di Natzweiler.

Nel novembre 1944 Haagen trasferì il suo laboratorio a Saalfeld, in Turingia, dove fu catturato nell’aprile

del 1945 dagli americani.

Durante l’estate del 1939, l’incaricato della facoltà di medicina di Heidelberg, il dottor Otto Bikenbach,

fece una scoperta casuale. Uno dei suoi malati, che soffriva di una grave affezione cardiaca, presentava tutti

i sintomi di edema polmonare. Bikenbach si recò al capezzale del malato, che aveva i giorni contati. Il

primario della clinica universitaria, presente al consulto, scose la testa.

Il primario, in un primo tempo scettico, si allineò poi sulle sue posizioni. Qualche giorno dopo, tra lo

sbalordimento dei due medici, le condizioni del malato migliorarono. La scoperta tuttavia rimase lettera

morta.

Il 29 agosto 1939 il dottor Bikenbach ricevette l’ordine di mobilitazione. Raggiunse il suo reparto e

dimenticò il redivivo. In quell’epoca l’esercito aveva cominciato a preoccuparsi del problema della guerra

chimica. I soldati e gli ufficiali, mal preparati e poco attrezzati, temevano questa guerra. Lo stato maggiore

decise di lanciare una campagna di informazione.

Bikenbach iniziò così una carriera di specialista in gas tossici, mentre nulla lo predestinava a ciò.

Nel 194 ottenne una cattedra di clinica medica all’università di Strasburgo, divenendo così il collega di Hirt

e di Haagen. Ma anche Hirt si interessava ai gas tossici, con le sue ricerche sull’iprite, e così le relazioni tra

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i due uomini non erano certo cordiali. Hirt, gelosissimo delle sue prerogative, non accettava un concorrente

proprio nel suo campo. Egli aveva la mania di immischiarsi in ogni cosa, mentre Bikenbach, suscettibile ed

individualista, accettava mal volentieri la tutela di Hirt, tanto più che egli non era una SS.

Bikenbach decise allora di dedicarsi allo studio di un gas particolarmente pericoloso, il fosgene, che

provocava edemi polmonari spesso letali. Infatti il suo redivivo di Heidelberg gli era tornato in mente: forse

l’anticoagulante che aveva usato avrebbe potuto combattere gli effetti del fosgene. Egli utilizzò come

prodotto di prova l’esametileneteramina, più noto a quell’epoca col nome di urotropina.

Bikenbach cominciò una serie di esperimenti su cani e gatti ed i risultati gli parevano positivi. Avvertì

immediatamente i suoi ex capi militari. Sotto il Terzo Reich i legami tra le università ed i servizi sanitari

militari erano frequenti e continui. I professori universitari, anche quelli che come Bikenbahc erano stati

smobilitati, continuavano a partecipare allo sforzo bellico comunicando i risultati delle loro ricerche alla

Wehrmacht, alla Luftwaffe, alla Kriegsmarine e persino al Servizio centrale SS. Bikenbach non faceva

eccezione.

I capi militari di Bikenbach si mostrarono molto soddisfatti dei risultati che aveva ottenuto e li segnalarono

alle autorità superiori. Fu così convocata una conferenza per decidere circa la loro utilizzazione. Il 25

gennaio 1943 Bikenbach espose i risultati delle sue ricerche e scoprì con sorpresa che Hirt era presente.

L’11 settembre 1943 Hirt chiese a Bikenback di andarlo a trovare. Costui, sbalordito e reticente, accettò

tuttavia di incontrarsi con lui. Bickenback non apprezzò molto la sua proposta. L’improvviso interesse di

Himmler per il fosgene non gli diceva niente di buono tanto più che Hirt proseguì.

Bickenbach aveva una fiducia limitata nelle SS ed il desiderio di Himmler di procedere ad esperimenti su

esseri umani gli sembrava privo di interesse scientifico.

Bikenback lasciò Hirt piuttosto preoccupato per la propria sorte. Pensò allora di contestare la decisione di

Himmler presso i servizi sanitari civili. Non poteva neppure pensare di disobbedire senza una copertura;

sarebbe stato troppo pericoloso. Fu allora che egli scrisse a Karl Brandt una lunga lettera. Il delegato di

Hitler per le questioni sanitarie ed igieniche era il solo che potesse intervenire efficacemente. E, del resto, si

diceva che fosse contrario agli esperimenti sugli esseri umani.

Il 25 novembre 1943 Bikenbach li condusse, sotto buona scorta, a Struthof, la cui camera a gas sarebbe

stata utilizzata per gli esperimenti. Qui essi furono sottoposti ad un esame radiografico per scoprire

eventuali lesioni polmonari, che avrebbero falsato le statistiche.

In seguito un infermiere dell’Ahnenerbe prelevò loro il sangue, poi Bikenbach spiegò come si sarebbe

svolto l’esperimento. I detenuti, malgrado queste buone parole, erano evidentemente terrorizzati. La camera

a gas aveva una pessima fama, per cui non era affatto piacevole entrarvi, neppure a fini sperimentali.

Metà del gruppo inghiottì l’urotropina per via orale, all’altra metà fu praticata un’iniezione.

I detenuti entrarono a due a due nella camera a gas. Bikenbach, attraverso l’oblò, si assicurò che essi

spezzassero interamente le fiale al momento di entrare. Dalle fiale si sprigionò un liquido volatile che

diffuse un odore di mandorla amara: era il fosgene.

Appena sentirono l’odore del gas, la maggior parte dei prigionieri si precipitò verso la porta supplicando di

lasciarli uscire. Bikenbach rifiutò e l’esperimento proseguì. Alcuni cercarono disperatamente di aprire la

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porta, ma la parete liscia non offriva alcun appiglio. Dopo 20 minuti i detenuti uscirono sconvolti. Alcuni

avevano difficoltà respiratorie.

La sera furono riportati in autocarro a Natzweiler, dove furono rinchiusi, al riparo da sguardi indiscreti, nel

blocco 5. Per ordine di Bikenbach, Wladimir, l’infermiere polacco, sorvegliava il loro stato di salute.

Ogni 2 ore, egli doveva misurarne la temperatura e controllarne la respirazione. Egli aveva a disposizione

una bombola di ossigeno per coloro che avessero sofferto di crisi di soffocamento.

Degli 8 detenuti sottoposti all’esperimento nel pomeriggio, 4 passarono una notte più o meno calma. Gli

altri 4 invece presentarono subito gravi sintomi di soffocamento. Si torcevano nel letto con la bava alla

bocca: la bombola ad ossigeno dava loro un misero sollievo.

Il mattino dopo, malgrado le cure di Wladimir, 3 detenuti morirono. I loro corpi furono subito trasferiti nella

camera dell’autopsia. Bikenbach, avvertito, vi si recò immediatamente. L’infermiere aspettava gli ordini e

chiese se dovesse avvertire il chirurgo.

Un quarto detenuto, più resistente, morì una settimana dopo.

Il giorno seguente la morte dei primi 3 soggetti, Hirt si recò a Netzweiler, dove incontrò Bikenbach che gli

comunicò i risultati. Hirt formulò subito delle critiche.

Le concentrazioni di gas erano state differentemente dosate secondo un ventaglio piuttosto largo, che

permettesse di ottenere il maggior numero di indicazioni possibile. Per alleviare le sofferenze delle vittime,

Bikenbachh introduceva nella camera più spesso del previsto basse concentrazioni, salvando così la vita ad

alcune di esse. I detenuti tossivano, sternutivano, si agitavano, graffiavano i muri, piangevano. A poco a

poco i sintomi di soffocamento si aggravavano ed alcuni svenivano.

Con l’occhio fisso sul vetro, Hirt ordinò di condurlo immediatamente nella sala dell’autopsia. Ma un’altra

prova aspettava gli sventurati stesi nella camera a gas.

Appena usciti dalla camera a gas, i detenuti dovettero dunque risalire a piedi il ripido pendio che conduceva

da Struthof a Natzweiler: 200 interminabili metri. Semiasfissiati, essi cadevano al minimo ostacolo. Le

percosse li costringevano a rialzarsi. Hirt ed i due medici li scortavano lungo questo nuovo calvario,

provvedendo ad annotare le loro più piccole reazioni con il rigore appassionato di un entomologo. Himmler

apprezzò quelle osservazioni precise e minuziose. Bikenbach, dal canto suo, si era eclissato con un pretesto

qualunque. Hirt aveva alzato le spalle e, vedendo che si allontanava, aveva gettato un’occhiata d’intesa alle

due SS. Arrivati al campo i detenuti, quasi morti dalla fatica, furono rinchiusi nel dormitorio contiguo al

forno crematorio riservato di solito ai condannati a morte.

Uno “sporco lavoro”.

Questa volta non si parlò neppure di sorveglianza medica o di bombola dell’ossigeno. I due medici SS

incaricati di occuparsi dello stato di salute delle cavie se ne andarono a pranzo con Hirt per conoscere i

piccoli ristoranti di Strasburgo. Il mattino seguente fu necessario portare via un nuovo cadavere.

La dissezione cominciò subito.

Il solito fotografo nel frattempo arrivò e scattò foto su foto. Hirt spiegò che gli interessava solo la reazione

dei diversi organi e soprattutto dei polmoni colpiti da edema al contatto col gas. Questi si erano talmente

gonfiati da ricoprire quasi interamente il cuore. 105

Dopo la dissezione, Hirt dettò rapidamente il verbale ed i cadaveri scomparvero verso il crematorio.

Dopo qualche giorno un detenuto, che pure era stato immunizzato da un’iniezione di urotropina, morì tra

orribili sofferenze. Hirt inviò un rapporto a questo proposito ai Servizi centrali SS ed al Consiglio della

ricerca del Reich: egli chiese la prosecuzione degli esperimenti, argomentando che i risultati non potevano

ancora essere considerati definitivi.

La tortura oggi.

1.7

Al giorno d’oggi rivediamo scene simili in Iraq, Siria, Stati Uniti. In 104 su 190 Paesi si tortura per

estorcere confessioni, punire criminali, imporre la disciplina e la lotta contro il terrorismo.

Il rapporto annuale pubblicato da Amnesty International fornisce un quadro agghiacciante delle violazioni

della dignità umana, ancora disinvoltamente praticate in gran parte del pianeta.

Le punizioni corporali, il regime carcerario durissimo e la tortura mi

Dettagli
A.A. 2017-2018
130 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher francesca ghione di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Torino o del prof Riverditi Maurizio.