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CESARE LOMBROSO
LEZIONE 9
Cesare Lombroso viene considerato il padre dell’Antropologia criminale. Il suo primo approccio allo
➔ studio del criminale avviene nel 1870, quando comincia a catalogare i segni di diversità non solo tra delinquenti
e «normali», ma anche tra i diversi tipi di delinquenti, nella convinzione che la mostruosità fisica rispecchi
quella morale (in conformità alla concezione greca della kalokagathia). Lombroso, sulla scia della cultura
positivistica ottocentesca, intraprende una ricerca sui corpi e sui volti dei detenuti che pos siedono le stigmate
della devianza, prove inconfutabili che l’uomo delinquente sia già predeterminato a commettere il male, in
quanto biologicamente diverso dagli altri esseri umani. L’obiettivo dichiarato da Lombroso è superare l’approccio
di stampo razionalistico-illuminista di diritto penale per farne una scienza esatta, fondata sul concetto pratico di
pericolosità sociale. Sviluppando quanto già formulato nell’ambito della frenologia e della craniologia,
Lombroso decide di studiare il crimine analizzando tale fenomeno mediante l’applicazione del metodo
sperimentale, secondo cui va accettato come scientifico solo ciò che può essere rigorosamente accertato con i
mezzi scientifici. La prima grande scoperta di Lombroso si verifica durante l’autopsia del cranio di Giuseppe
Villella, contadino calabrese settantenne deceduto in carcere e sospettato di brigantaggio; analizzando il suo
cranio, nota una strana anomalia: al posto della consueta sporgenza, conosciuta come cresta occipitale interna,
rileva una concavità a fondo liscio, che denomina “fossetta occipitale interna” o “fossetta cerebellare
mediana”. Questa scoperta costituisce, per Lombroso, la premessa della teoria del delinquente-nato, che si
basa sulla concezione atavica (dal latino atavus, cioè “antenato”), secondo cui, a causa di malformazioni
congenite craniche (come la predetta fossetta), il delinquente è un uomo tornato indietro ad uno stato primitivo
e selvaggio. Questa condizione “ancestrale”, tuttavia, si discosta totalmente dal “mito del buon selvaggio” di
Rousseau, avvicinandosi piuttosto all’orda primordiale di cui parla Freud. Per Lombroso, i delinquenti, essendo
soggetti regrediti, non hanno la capacità di adattarsi nella società moderna, con cui entrano inevitabilmente in
conflitto. Si giunge alla conclusione che i criminali sono soggetti egoisti, antisociali e insensibili. Lombroso non
esamina solo i corpi dei delinquenti, ma anche le loro pratiche culturali, il loro linguaggio, convinto che il loro
gergo sia molto simile a quello delle popolazioni primitive, così come l’abitudine a tatuarsi immagini di forza o
vendetta. Lombroso si dedica ad uno studio a tutto tondo della devianza, che lo porterà ad elaborare una vera e
propria “religione del fatto”. Dopo questi studi approfonditi, Lombroso pubblicherà la sua opera “L’uomo
delinquente” nel 1876.
Dopo quella del cranio del brigante calabrese, altre scoperte serviranno a Lombroso per correggere ed integrare
➔ la sua ricerca dei tratti caratterizzanti il delinquente nato. Così il caso di Vincenzo Verzeni, uno dei primi
serial killer italiani conosciuti (detto il “vampiro della Bergamasca” perché praticava cannibalismo sulle
vittime) gli darà lo spunto per aggiungere tra i fattori, insieme all’atavismo, quello della follia morale,
categoria antesignana della moderna psicopatia e accomunata con quest’ultima dall’incapacità di provare
empatia. Le abitudini selvatiche e deviate di Verzeni non passano inosservate agli studiosi dell’epoca, infatti sia
Krafft-ebing (che gli dedica uno spazio nella sua opera in cui parla del sadismo sessuale) che Lombroso ne
studiano il comportamento. Verzeni era apparentemente un normale contadino di umili origini e le sue
caratteristiche fisiche sono comuni. Ma ad un certo punto della sua vita, cominciò a provare impulsi sessuali
devianti, aggredendo diverse donne, tra cui anche la cugina 12enne. Si macchiò delle uccisioni di due ragazze e
dello squartamento dei loro corpi. Interrogato da Lombroso, Verzeni non mostra alcun segno di pentimento, anzi
sembra vantarsi delle proprie gesta e prova piacere nell’essere riconosciuto come un mostro.
Allo stesso modo, il caso di Misdea, un giovane militare che d’impeto uccide a colpi di fucile sette suoi
➔ commilitoni e ne ferisce altri tredici, suggerisce a Lombroso l’idea di prendere in considerazione anche il
fattore epilettico tra le cause del comportamento criminale apparentemente inspiegabile.
Lombroso studia anche le donne delinquenti: la devianza al femminile viene ricondotta alla prostituzione.
➔ Lombroso, però, non si dedica solo allo studio del fenomeno criminoso, ma indaga anche ogni manifestazione
➔ umana di devianza, intesa come deragliamento patologico dalla normalità, elaborando una vera e propria
“scienza della devianza” avente per oggetto l’uomo in ogni sua sfaccettatura. Così, nel comportamento
deviante analizzato da Lombroso non rientra solo quello dell’homo delinquens, ma anche quello di una serie
variegata di soggetti che, per le loro caratteristiche fisiche e morali per eccesso o per difetto, si collocano al di
fuori della “normalità”: dalla donna al bambino, entrambi più vicini dell’uomo al primitivo, passando per
l’epilettico, il mattoide, il folle morale, l’anarchico e, soprattutto, l’uomo di genio. Emergono, dunque, i concetti
di criminalità mostruosa e mostruosità. Il criminale come mostro morale antepone i propri interessi
a quelli della società, tornando così a uno stato primitivo e ferino (homo homini lupus) essendo chi delinque la
manifestazione di quel «mostro dal basso» che si oppone al potere del sovrano, quel «mostro che ritorna alla
natura selvaggia, il brigante, l’uomo delle foreste, il bruto con il suo istinto illimitato». L’Antropologia criminale,
dalla fine dell’Ottocento e per gran parte del Novecento, cercherà di individuare il substrato di mostruosità che si
cela dietro ogni anomalia, devianza o irregolarità.
Lombroso considera la normalità come statica; l’uomo “normale” è soggetto alla «legge del misoneismo»:
➔ essendo «eternamente conservatore, non sarebbe progredito mai se circostanze straordinarie non lo avessero
aiutato a superare il dolore della novazione». Il crimine, perciò, non solo è parte integrante della società, ma ha
un ruolo addirittura propulsivo. Lombroso affermando ciò, riprende una teoria di Émile Durkheim, secondo cui
le società riescono a evolversi paradossalmente grazie alla fisiologica esistenza del crimine. Il progresso, secondo
Lombroso, si attua solo per merito dei geni, esseri fuori dal comune spesso incompresi. A proposito di ciò si è
parlato di doppio sguardo lombrosiano, in quanto l’atteggiamento di Lombroso nei confronti degli uomini
di genio da una parte è di ammirazione per le loro incommensurabili capacità, dall’altro di compassione, per
essere una rarità nel mondo, un’anomalia le cui idee sono spesso capite solo dopo la morte.
Con le ricerche antropometriche di Lombroso e l’emergente campo della neurocriminology si è giunti alla
➔ conclusione che il delitto appare un fenomeno naturale e necessario, come la nascita, la morte, i concepimenti,
le malattie mentali. Allora, in futuro i neuroscienziati saranno in grado di svelare i misteri della natura umana,
giungendo a realizzare quanto profetizzato da Philip Dick, cioè l’opportunità di arrestare gli assassini prima
che commettano l’omicidio o quantomeno la possibilità di individuare sui corpi degli uomini le stigmate della
devianza e della malvagità, che li contraddistinguono sin dalla nascita. Tale eventualità potrebbe realizzarsi
grazie al rapporto che intercorre tra l’antropologia criminale e le neuroscienze.
Con il termine neuroscienze si indica un’insieme di discipline scientifiche che studiano il cervello umano.
➔ Nello specifico, le neuroscienze studiano il sistema nervoso, analizzano la comprensione del pensiero umano, le
emozioni e i comportamenti biologicamente correlati, utilizzando strumenti scientifici. In ambito giuridico
esistono vari tipi di neuroscienze:
- neuroscienze forensi, con riferimento all’utilizzo in sede processuale dei risultati dei metodi di indagine
neuroscientifica;
- neuroscienze criminali, ovvero lo studio del soggetto criminale con metodologie neuroscientifiche;
- neuroscienze normative e della cognizione morale, ovvero lo studio neuroscientifico del senso morale
e di giustizia degli individui.
Oggi la figura del perito è rivestita da neuroscienziati e genetisti che cercano di individuare l’origine biologica
➔ del crimine mediate l’impiego delle moderne tecnologie. Particolarmente rilevante è il l’ambito della
neuroscienza del libero arbitrio, che indaga le componenti neuropsicologiche alla base dell’agire
volontario, mediante l’analisi dei rapporti tra intenzione, coscienza dell’azione e processi di controllo, sia in
soggetti normali (fisiologia del libero arbitrio) sia nei soggetti con disturbi mentali (patologia del
libero arbitrio).
Il neurofisiologo americano, Benjamin Libet, cerca di sfatare il mito dell’esistenza del libero arbitrio attraverso
➔ lo studio del Bereitschaftpotential, cioè il potenziale di prontezza motoria; Libet giunge alla conclusione
che il momento in cui un soggetto è consapevole di compiere un’azione è successivo rispetto all’attuazione
effettiva dell’atto. Perciò il tempo necessario a negare un’azione è troppo basso per poter evitare coscientemente
di compiere il movimento, una volta presane coscienza. Il cervello, dunque, decide ancora prima di agire.
Un’altra scoperta particolare è quella compiuta da Antonio Damasio, autore del libro “L’errore di Cartesio”.
➔ Egli si interessò al caso di Phineas Gage, un giovane uomo sopravvissuto ad un terribile incidente sul lavoro
avvenuto nella metà dell’’800 in America. La ferrovia dove lavorava Gage era rimasta bloccata da una roccia, che
doveva essere fatta saltare in aria con della polvere da sparo. Avvenne, però, un’esplosione accidentale di polvere
da sparo e il ferro di pigiatura, che Gage stava usando per compattare la polvere, schizzò in aria attraversando la
parte anteriore del suo cranio e provocando un grave trauma cranico. Miracolosamente sopravvissuto
all'incidente, già dopo pochi minuti Gage era di nuovo cosciente e in grado di parlare. L’uomo rimase
miracolosamente in vita, ma chi lo conosceva si accors