Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Thorndike non prese tuttavia una posizione decisa contro chi sosteneva una psicologia diversa dalla
sua, cosa che invece sarebbe stata fatta pochi anni dopo da Watson. Watson nel 1904 aveva lasciato
l’Università di Chicago per la Hohns Hopkins e aveva proseguito la sperimentazione animale,
collaborando anche con Carr e Yerkes il quale, nel 1909, aveva introdotto l’opera di Pavlov in ambito
nordamericano.
38
A.A. 2016/2017 • APPUNTI DI STORIA DELLA PSICOLOGIA CAPITOLO 5
Tutta l’opera di Watson è percorsa da una brillante ed emotiva vena polemica e radicale. Il primo
bersaglio contro cui egli rivolse i suoi attacchi fu il metodo introspettivo. Watson riteneva
l’introspezione non scientifica per due motivi fondamentali:
1) per il fatto che l’osservatore si identificava con l’osservato;
2) per il fatto che l’osservazione introspettiva era compiuta da una persona che parlava di cose
che gli altri non potevano vedere direttamente.
Il metodo introspettivo aveva portato a conclusioni estremamente differenziate o anche opposte e non
era pervenuto ad una unificazione dei termini usati. Chiaramente, lo studio del comportamento
anziché della coscienza permetteva di utilizzare metodi più soddisfacenti ed “oggettivi”, suscettibili
di un immediato controllo nella verifica del consenso intersoggettivo.
Al di là dei dubbi sul metodo introspettivo e sulla conciliabilità con la sperimentazione animale,
costoro aspiravano ad una fondazione scientifica della psicologia che ne garantisse la capacità di
progresso e la costante popolarità di cui godevano le scienze naturali. Si deve tener presente che,
accanto ad una generazione di psicologi con formazione europea, ne stava nascendo un’altra
desiderosa di emanciparsi dall’influenza e dalla leadership dei centri di ricerca francesi, inglesi e
specialmente tedeschi. Watson, per l’appunto, proveniva da una cittadina agricola del Sud Carolina
e, giunto nelle grandi città industriali del nord, si faceva interprete dell’esigenza di una psicologia da
un lato capace di risolvere i grandi problemi incontrati dall’uomo di fronte alla macchina e
all’urbanesimo e dall’altro rispettosa di taluni valori tipici dell’american way of life. Watson, e in
seguito altri comportamentisti, ne avrebbero fatto proprio l’ethos utopistico-democratico, negando in
chiave egualitaristica un ruolo all’ereditarietà e mettendo a fuoco la modificabilità “in positivo” della
persona umana.
La prima guerra mondiale ebbe un ruolo centrale nello sviluppo della psicologia negli Stati Uniti,
facendola uscire dai ristretti ambiti accademici e conoscere nei potenziali contesti applicativi e
all’opinione pubblica. La vera bomba fu rappresentata dal compito affidato agli psicologi di
sottoporre l’esercito a test in maniera da selezionare i migliori soldati, ed evitare grossi costi di
addestramento per le reclute con bassa prestazione intellettiva. In un secondo tempo i test furono usati
anche con un intento classificatorio, quello cioè di precisare le attitudini differenziate dei soggetti
esaminati.
Gli psicologi delle università dapprima ostili all’applicazione, finirono progressivamente col
collaborare nella pubblicità, nell’organizzazione industriale, nell’esercito, etc., indipendentemente
dal loro orientamento teorico. Nel 1920, quando a causa di un piccolo scandalo sfociato nel divorzio
dovette abbandonare la Johns Hopkins University Watson passò a collaborare direttamente con
l’industria, impegnandosi in problemi pubblicitari e manageriali e interessandosi sempre meno di
psicologia. Il suo libro Il comportamentismo [1925], ottenne un grande successo anche e specialmente
al di fuori degli ambienti scientifici.
2 Il comportamentismo watsoniano
Fra il 1913 e il 1930 si sviluppa il comportamentismo watsoniano.
La teoria elaborata da Watson non si presenta come un sistema organico e definito una volta per tutte.
L’unità d’osservazione psicologica è per Watson il comportamento nel senso di azione complessa
manifestata dall’organismo nella sua interezza. Evidentemente questi comportamenti non si
identificano nelle singole reazioni psicologiche che l’organismo manifesta, che costituiscono il
differente oggetto di studio della fisiologia. 39
CAPITOLO 5 APPUNTI DI STORIA DELLA PSICOLOGIA • A.A. 2016/2017
Nella sperimentazione psicologica che esegue, Watson si interessa precipuamente di variabili
dipendenti complesse. Il suo “molecolarismo” e “riduzionismo” teorico si specificano tuttavia
nell’idea che quei comportamenti non sono altro che la “combinazione” di reazioni più semplici, di
molecole costituite dai singoli movimenti fisici che in quanto tali sono per l’appunto studiati dalla
fisiologia e dalla medicina. I principi cui Watson fa principale riferimento solo la frequenza, la
recenza e il condizionamento. I principi della frequenza e della recenza ci dicono che tanto più spesso
o tanto più recentemente un’associazione si è verificata, con tanta maggiore probabilità si verificherà.
Il condizionamento comincia ad occupare un posto centrale, nella teoria comportamentista, verso il
1916. Watson appare direttamente influenzato non solo da Pavlov ma anche dai riflessologi russi, e
cioè da Secenov, che già verso il 1868 aveva affermato che gli atti della vita cosciente e inconscia
non sono altro che riflessi, e da Bechterev, che era in particolar modo interessato ai riflessi muscolari.
Il principio del condizionamento parte dalla rilevazione del fatto che nell’organismo esistono
risposte incondizionate a determinate situazioni. Altri stimoli che siano stati associati agli stimoli
incondizionati provocheranno anch’essi la reazione incondizionata, pur non avendo per se stessi
alcuna relazione con essa. La ricerca sul condizionamento era di particolare importanza per il
comportamentista perché, da un lato, individuava precise unità-stimolo e precise unità-risposta, e
dall’altro offriva un principio chiave per spiegare la genesi delle risposte complesse. Si poteva infatti
ipotizzare che i comportamenti complessi esibiti dall’uomo potessero essere il risultato di una lunga
storia di condizionamenti.
Per questo motivo, assunse particolare importanza per Watson lo studio dell’apprendimento a
cominciare dalle prime acquisizioni infantili. Nell’analizzare le emozioni, Watson esprimeva l’idea
che la paura, la rabbia e l’amore fossero le emozioni elementari e si declinassero sulla base degli
stimoli ambientali che le provocavano. A partire da quelle emozioni si costruirebbero le altre. Un
caso famoso di apprendimento di emozioni è quello del piccolo Albert. Albert giocava
piacevolmente con un topolino allorché gli venne fatto sentire alle spalle un violento rumore. Da quel
momento il bambino manifestò una grande paura per i topi, sia per gli altri animali e oggetti pelosi.
Studiando una delle prime nevrosi sperimentali della storia della psicopatologia, Watson provò
ulteriormente che le nevrosi non erano né innate, né oggetti misteriosi, ma potevano essere definite
nei termini di risposte emozionali apprese.
Per Watson, il linguaggio viene acquisito per condizionamento. Il bambino sente associare ad un
oggetto il suo nome e di conseguenza il nome finisce per evocare la stessa risposta evocata
dall’oggetto. Progressivamente all’intero sistema di movimenti (delle corde vocali, ecc.) che
provocano l’emissione del suono-parola può sostituirsi una parte di movimenti, per cui la parola viene
solo pronunciata sottovoce, oppure muovendo silenziosamente le labbra, oppure mediante semplici
“abitudini laringiche”. Watson riteneva che in questa maniera si venisse formando il pensiero e
suggeriva che esso potesse essere ricondotto ad un insieme di abitudini laringiche sul piano teorico il
punto centrale era rappresentato dal fatto che l’attività di pensiero era un risultato degli apprendimenti
comunicativi.
3 Il ruolo dell’esperienza e le grandi teorie dell’apprendimento
Nel secondo e terzo decennio del secolo scorso, le teorie psicologiche più popolari negli Stati Uniti
furono quella di McDougall e quella di Freud. Entrambe, ma in particolar modo la prima, si
caratterizzavano per l’importanza attribuita agli istinti ereditari nell’uomo. Watson in un primo tempo
40
A.A. 2016/2017 • APPUNTI DI STORIA DELLA PSICOLOGIA CAPITOLO 5
accolse questa idea, ma in un secondo tempo optò decisamente per una posizione che da un lato non
riconosceva l’utilità e la validità psicologica del concetto di istinto, e dall’altro negava che l’uomo
fosse al momento della nascita dotato di un bagaglio psicologico personale. Nel 1925, Watson giunse
ad affermare che il neonato ha un repertorio di reazioni estremamente limitato, ma tali reazioni
interessano il corpo e non sono tratti mentali; il bambino nasce senza istinto, intelligenza o altre doti
innate e sarà soltanto l’esperienza successiva a caratterizzarne la sua formazione psicologica. Con
l’affermazione rimasta famosa, Watson dichiarò che se gli avessero dato una dozzina di bambini sani,
ne avrebbe potuto fare a piacimento buoni dottori, magistrati, artisti, mercanti, indipendentemente
dalle loro ipotizzate “tendenze, inclinazioni, vocazioni, razza degli antenati”.
Secondo questa posizione l’uomo era dunque totalmente il prodotto delle sue esperienze.
Conseguentemente, assumeva importanza centrale lo studio dell’apprendimento.
Gran parte delle teorie dell’apprendimento elaborate fra il 1920 e il 1960 è riconducibile al
comportamentismo. Fra esse le più famose sono quelle di Tolman, Hull e Skinner.
L’opera di Tolman costituisce uno dei tanti casi anomali all’interno della scuola comportamentista,
dal momento che – pur partendo da premesse per così dire ortodosse – venne via via differenziandosi
dal comportamentismo watsoniano e ad accogliere idee cognitiviste o anche psicoanalitiche. Tolman
riteneva esisteste uno “specifico psicologico” caratterizzato per la sua “molarità” (cioè non
scomponibile in componenti semplici, a meno di snaturarlo) ovvero per la sua irriducibilità. Questo
“specifico” non era tuttavia di natura psichica, ma di natura comportamentale, proprio come Watson
aveva affermato, solo che si caratterizzava per il fatto di possedere proprietà emergenti.
Potremmo seguire meglio l’argomentazione di Tolman riferendoci al predicato dell’intenzionalità che
è a tal punto importante nella suo opera da far si che per essa si sia parlato di comportamentismo
intenzionale. Eseguendo sperimentazioni con gli animali, Tolman esplicitò in termini empiri