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In questo trattato Dante individua nella penisola italiana 14 diversi dialetti, 7 a ovest degli
appennini e 7 ad est, anche se si rende conto che i dialetti possono cambiare nel giro di
pochi chilometri.
Lo scopo del trattato era una ricerca di una lingua che potesse essere in grado di unificare
culturalmente la penisola e che fosse anche funzionale ad una letteratura in sviluppo.
Naufragata l’idea di una fusione di tutti i volgari, Dante si dedica alla ricerca del volgare
“illustre”, tra i volgari meno adatti mette il romano, tra i 14 volgari ne individua due che gli
sembrano più adatti: il siciliano (mediato dai copisti) e il bolognese.
Del fiorentino dice che non è una lingua aulica e non è troppo concreto. Nel 1500 un
avversario di Pietro Bembo, sulla disputa della lingua, riprenderà questa affermazione per
far partire il dibattito.
5) Caratteristiche della lingua dantesca.
Dante nella Divina Commedia, tocca diverse tematica: l’amore, la politica …, per questo
motivo Dante, che nel suo trattato aveva bocciato il fiorentino, scrive proprio in fiorentino,
la sua lingua natale, con cui aveva maggiore confidenza. Anche scegliendo il fiorentino
Dante decide di inserire espressioni di altri volgari (siciliano, bolognese), utilizza forme
arcaiche del toscano, trasporta parole dal latino anche scientifico volgarizzandole e crea dei
neologismi (intuarsi e inmiarsi). Utilizza varianti diafasiche, diatopiche e diacroniche.
Questa sua ricerca linguistica verrà poi definita polimorfia o plurilinguismo.
L’esatto contrario è Petrarca che focalizza la sua ricerca sul singolo termine aulico, che
viene utilizzato in più occasioni (monolinguismo), in lui c’è un forte interesse per la lingua
classica, scrive molte opere in latino ed anche la sua grafia è latineggiante (homo, facto).
6) Il Decameron di Boccaccio.
Il Decameron è una raccolta di 100 novelle scritte da Boccaccio nel 1349, la grandezza di
Boccaccio è quella di ricostruire il parlato, attraverso tecniche come l’anacoluto (in cui non
è rispettato l’ordine sintattico ed il soggetto resta in sospeso), la dislocazione a sinistra
(mettiamo un elemento in prima posizione per poi riprenderlo con un pronome) e le
concordanze a senso (la brigata se ne andarono). Anche lui come Dante predilige il
polimorfismo, ricco di espressioni popolari e spesso in novelle ambientate al di fuori della
toscana utilizza i dialetti del posto (veneziano e siciliano).
Anche se la lingua che verrà presa a modello per la prosa non sarà quella delle novelle, ma
quella delle cornici (che collegano una novella all’altra), qui il linguaggio è più studiato e
latineggiante, fa un forte utilizzo di ipotassi (molte frasi subordinate). Questo stile era molto
apprezzato perché riprendeva la prosa ciceroniana.
La grafia risente dell’umanesimo, come in Petrarca sono presenti molte parole latineggianti.
7) Letteratura dialettale riflessa di Boccaccio:
Nel 1339 Boccaccio scrive una lettera in napoletano, con intento comico ad un suo amico, le
tematiche riguardano la vita quotidiana e popolare, questa lettera rappresenta la prima forma
di letteratura dilettale riflessa (utilizzo di un volgare che non è proprio).
Boccaccio conosceva molto bene il napoletano per un suo lungo soggiorno, in alcuni casi
produce una ipercaratterizzazione (utilizza il tipico dittongamento napoletano anche dove
non andava utilizzato “nuostra”).
8) Il Macaronico e il Polifilesco:
Con l’affermarsi della lingua volgare si creano 2 filoni caratteristici che fondevano insieme
volgare e latino: il Macaronico ed il Polifilesco.
Il Macaronico nasce a Padova alla fine del 1400, è caratterizzato da opere in prosa latina con
base lessicale volgare, il maggiore esponente fu Teofilo Folengo.
Il Polifilesco deve il nome ad un’opera anonima edita da Aldo Manuzio, la
Hypnerotomachia poliphili, qui al contrario del macaronico, si utilizza una lingua volgare
fatta con latinismi spesso forzati.
9) Leon Battista Alberti e la “Grammatichetta Vaticana”:
Alberti, durante la disputa tra latino e volgare, si schiera nettamente in favore del secondo
nel suo trattato “de familia”, afferma che l’imposizione del volgare avverrà quando ci sarà
una tradizione di opere importanti nella nuova lingua, a questo scopo nel 1442 è promotore
di un concorso poetico “certame coronario” che però verrà sabotato dagli umanisti.
Alberti è autore anche della prima grammatica italiana “Grammatichetta Vaticana”, che
probabilmente non venne mai pubblicata, qui descrive il fiorentino del suo tempo (io amavo
e non io amava, usa l’articolo “el” e non “il”), su esempio delle grammatiche latine.
Dal 1500 in poi le grammatiche non tratteranno più la lingua contemporanea ma si rifaranno
ai modelli di Dante, Petrarca e Boccaccio.
10) Diffusione del fiorentino e Lorenzo de’Medici:
Già nel 1400 il volgare fiorentino si era imposto sugli altri dialetti, nella lingua letteraria,
questo processo raggiungerà il suo apice nel secolo successivo, grazie anche ad una figura
come Lorenzo de’Medici, che sostenne il volgare circondandosi di intellettuali, inaugurando
letture di Dante e Petrarca, traducendo opere classiche dal latino e producendo un’antologia
delle opere volgari “Raccolta Aragonese” (perché era indirizzata al re di Napoli di casa
aragonese).
Così nel 1500 il toscano inizio a fondersi con volgari locali: a Napoli (De Jennaro e
Cattaneo) a Milano (Visconti) a Ferrara (Boiardo).
Con Jacopo Sannazaro e la sua opera “L’arcadia”, per la prima volta avvenne il fenomeno
dell’edizione in due dialetti differenti: in napoletano (lingua madre) ed in toscano.
Altri documenti che attestano la supremazia del volgare sul latino sono le relazioni
diplomatiche che avvenivano tra le varie corti, si usava un volgare privato delle
caratteristiche più marcate, prendendo come modello latino e toscano “lingue di Koinè”, e le
predicazioni, ad esempio San Bernardino da Siena che utilizzava volgari locali per fare più
presa sulle masse.
11) Pietro Bembo
Pietro Bembo è un intellettuale veneziano, che si affermerà come grammatico grazie alla
concretezza del suo modello proposto.
Nel 1501 si fa notare per la sua edizione critica del Canzoniere in cui adotta una grafia
moderna.
Nel 1525 pubblica “Prose della volgar lingua”, è un dialogo in cui afferma il suo pensiero
sul dibattito della lingua affermando:
• Il volgare nasce da una contaminazione del latino, esso deve riscattarsi tramite i poeti;
• La lingua non si acquisisce dal popolo, che la corrompe, ma dagli scrittori;
• Il modello per la poesia è Petrarca e per la prosa Boccaccio.
Bembo fu osteggiato da diversi gruppi che proponevano i propri modelli:
La teoria cortigiana: che proponeva di guardare alle lingue che veniva parlata nelle
1. corti ed in particolare a Roma (nel 1527 era avvenuto il sacco di Roma e la
popolazione era stata decimata, Roma fu ripopolata da molti fiorentini, che
influenzarono fortemente il dialetto locale).
La teoria italiana, esposta da Gian Giorgio Trissimo, che sosteneva (senza avere basi
2. teoretiche) che Petrarca prese elementi da diversi volgari. Lui voleva negare a tutti i
costi la supremazia del costano, per questo pubblicò per la prima volta il De Vulgari
Eloquentia, riprendendo il fatto che anche Dante aveva affermato che il fiorentino
non era una lingua adatta come modello. Per confutare questa osservazione i toscani
gli risponderanno con un’opera di Machiavelli, che immagina un discorso con Dante
e lo induce a ripensare alla sua affermazione.
Il fallimento di entrambe le teorie fu dovuto al fatto che non esponevano una base
teoretica argomentata e valida come faceva Bembo.
Il successo del modello bembiano fu consacrato dall’invenzione della stampa e
l’ingresso dell’economia nel campo della letteratura.
Molti poeti si adeguarono al modello di Bembo ad esempio Ludovico Ariosto.
Le teorie di Bembo trovarono maggiore opposizione a Firenze, dove il volgare
continuava la usa evoluzione e non si era cristallizzato ai Petrarca e Boccaccio. Nel 1570
Benedetto Varchi cercò un compromesso tra le due parti in causa, affermando che il
modello da seguire era quello di Bembo, che però poteva essere integrato con tratti
popolari (questa affermazione certamente non sarebbe andata bene a Bembo che
sosteneva che il popolo contaminava la lingua).
Il vero sviluppo linguistico continuò però ad essere nel parlato, nei libri di appunti e
soprattutto nei resoconti di viaggio che fornirono una grande quantità di forestismi.
12) Accademia della Crusca:
Il ‘500 è il secolo delle accademie, nel 1582 a Firenze nasce l’”Accademia della
Crusca”, uno dei suoi maggiori esponenti fu Leonardo Salviati (curatore di un’edizione
del Decameron depurata da quelle novelle considerate immorali, per salvare la lingua del
Decameron), che penserà ad impostazione di tipo linguistico. L’obbiettivo primario
dell’Accademia della Crusca fu la produzione di un vocabolario che verrà pubblicato
solo nel 1612 (primo vocabolario in Europa di dimensioni considerevoli) esso diventa
famosa per una polemica di tipo linguistico-letterario tra Salviati e Tasso: Tasso veniva
accusato di non aderire al modello bembiano, utilizzando forme troppo oscure e
latinismi, Tasso veniva considerato un continuatore della “teoria cortigiana”.
Il modello dell’Accademia della Crusca è quello di Bembo, qui verranno descritti i
vocaboli del fiorentino delle “tre corone” con i suggerimenti di Varchi.
Il vocabolario incontra degli avversari:
Paolo Beni, nel 1612 scrive un trattato dal titolo “Anticrusca” continuatore della
1. teoria cortigiana, criticando la scelta cronologia (sono presenti praticamente solo
autori del ‘300), viene criticata anche il modello della prosa boccacciana delle
cornici;
Alessandro Tassoni, un letterato, che in diversi suoi scritti critica il lavoro
2. dell’Accademia, anche lui contesta il primato della lingua fiorentina è
specialmente critico con la prosa di Boccaccio considerata non adeguata a tutti i
contesti. Tassoni non trova opportuno non ci sia una distinzione tra vocaboli
ancora in uso e i vocaboli “arcaici” (successivamente l’Accademia coglierà
questa critica e indicherà con una croce i vocaboli arcaici);
Daniello Bartoli, che scrisse “il torto e il diritto del non si può”, in cui critica con
3. forza la figura del grammatico, sempre insegnato a censurare (a questo si
riferisce l’espressione “non si può”) osservando che anche la Crusca ha
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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