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FRANCESCO PETRARCA: RERUM VULGARIUM FRAGMENTA

Un luogo comune della critica contrappone al plurilinguismo dantesco il monolinguismo del Petrarca lirico. In realtà studi più recenti hanno dimostrato che la contrapposizione va sfumata e circostanziata in quanto la lingua del Canzoniere (denominazione che comincia a circolare nel secondo Quattrocento e si diffonde nelle edizioni a stampa al posto del titolo originario Rerum vulgarium fragmenta) ha le sue peculiarità. La lingua è indubbiamente più armoniosa, ma non è completamente omogenea: è mossa per amore della variatio, tecnica consacrata fin dalla retorica classica con Cicerone e Quintiliano. Petrarca, da grande latinista, la considera fondamentale per evitare la ripetizione, generatrice di tedio e di noia e dunque di imperfezione. La sua è un'attenzione strenua alla virtù retorica della variatio, che lo conduce a creare un composto molto originale di antico e di moderno.

Egli stesso dice che la sua scrittura è: "tra lo stile dei moderni e il sermon prisco". Quindi ci sono escursioni cronologiche all'interno della sua lingua ed escursioni frasublime e comune, fra consueto e inusuale; evita però accuratamente le profonde escursioni tonali in cui si era avventurato Dante nella Commedia. Si riallaccia all'antica lirica cortese e provenzale ma anche alla più recente tradizione dantesca e stilnovista e fa convivere stili diversi, da quello dolce della maggior parte delle rime a quello comico dei duri sonetti contro la corruzione della corte avignonese. Il Canzoniere raccoglie 366 liriche: la maggioranza sono sonetti, le altre canzoni. Compone le poesie dal 1335 in avanti. Al contrario di Dante di cui non abbiamo autografi, Petrarca sarà il primo grande autore di cui conosciamo autografi e redazioni diverse delle sue poesie. I due manoscritti petrarcheschi più importanti sono: Vaticano Latino 3195 ->

Il testo contiene la versione definitiva del Canzoniere, in gran parte autografo• e nella restante parte idiografo (scritto dal copista Giovanni Malpaghini sotto la direttasupervisione dell’autore);Vaticano Latino 3196 —> è il cosiddetto “Codice degli abbozzi”, una sorta di brutta copia del• precedente che permette di studiare l’offi cina del Petrarca attraverso la sua prassi correttoria. Inquesto caso si parla di fi lologia d’autore, perché si tratta di varianti introdotte dall’autore stesso.Gli abbozzi ci consegnano la storia testuale di un’opera continuamente e fi ttamente riveduta ecorretta dal suo creatore. Nel “Codice degli abbozzi” appone ai suoi versi ancora in fieri, ingestazione, dei commenti in latino (es. hic videtur sonantior, hic placet pre omnibus, hoc plusplacet, dic aliter hic).Lo stile del Canzoniere si inserisce in un tono omogeneo di medietà, insofferente dei dati

piùrealistici e delle connotazioni vistose, evita precisi riferimenti referenziali e vocaboli di forteespressività. Quindi la lingua è omogenea in questo atteggiamento ma non è sempre la stessa. Inquesta varietà si esprime la storia stessa dell’educazione linguistica di Petrarca, nato ad Arezzo dapadre fiorentino. In più luoghi delle sue opere dichiara di sentirsi fiorentino e che certamente delfiorentino doveva avere possesso pieno e naturale. Ne fanno fede la presenza di molte voci tipichedi questa parlata: dittongamento anche in poesia (es. uomo, lievi, pensieri, insieme); desinenze diprima plurale dell’indicativo presente in -iamo; condizionale in -ei maggioritario (mentre non lo ènella Commedia). Petrarca è comunque profondamente convinto della superiorità linguistica dellatino sul volgare. Questo è un dato oggettivo, anche per Dante, ma mentre secondo Dante non èirreversibile perché

La situazione può rovesciarsi a favore del volgare, il latino è per Petrarca la vera lingua della comunicazione culturale (tanto che postilla anche i suoi versi volgari in latino e dà loro un titolo latino). L'ombra del latino si avverte nel Canzoniere sia nella grafia (es. exemplo) che nella fonetica (es. singulare, secreto); lo stesso nella morfologia (es. arbore, che è un metaplasmo di declinazione fra seconda e terza classe) e nel lessico (es. pave per "paventa", sorore per "sorella"). Notevoli sono le implicazioni anche a livello sintattico. La sua educazione linguistica non contemplava solo il latino ma anche un'eccezionale conoscenza del provenzale grazie all'assidua lettura dei poeti della tradizione del volgare del sì. Inizialmente la conoscenza fu avviata nell'ambiente universitario di Montpellier; successivamente si sposta a Bologna, dove prende cognizione diretta della poesia della nostra tradizione.

(i siciliani, Guittone e i siculo-toscani,Guinzzelli e il Dolce Stil Novo).Nei confronti del lascito linguistico dei poeti antichi Petrarca opera una potatura drastica. Fa una selezione delle loro abitudini linguistiche e questa selezione condizionerà le sorti della lingua poetica aulica fino all'Ottocento. Le voci e le forme che resistono al vaglio del poeta saranno adottate anche dai poeti futuri, le altre decadono dall'uso. Petrarca funge da collettore della tradizione poetica provenzale, siciliana e stilnovista, ma al tempo stesso svolge un'azione fondamentale di filtro linguistico che si ripercuoterà sugli assetti futuri della lingua poetica italiana. Accoglie una sola rima siciliana tra vocali diverse: quella del tipo voi / altrui; consacra invece le rime per l'occhio (rima grafica e non fonica tra vocale chiusa e aperta). Elimina una gran quantità di gallicismi, come fidanza, fallanza, dilettanza; mantiene invece forme come baldanza, lontananza,rimembranza, speranza, usanza. Accoglie molti monottonghi: per la velare /o/ ammette core, foco, move, noce, novo, percote, rota, scola, voto ("vuoto" inteso come aggettivo e non come nome). Invece alternano dittongo e monottongo le seguenti parole: coce / cuoce, fore / fuore, loco / luoco, moro / muoro, omo / uomo, po / può, sono / suono, tona / tuona, vole / vuole, bono / buono. Nella serie della palatale /e/ Petrarca aveva sancito con monottongo: altero, intero, fele, mel, queto, tepido, manera, convene, adivene, possede. Alternava invece con il dittongo: gelo / gielo, fero / fiero, inseme / insieme, lede / liede, pensero / pensiero, petra / pietra, primero / primiero, sede / siede, sentero / sentiero, tene / tiene. Accoglie poi molti condizionali in -ia, anche se minoritari nel Canzoniere, debito fondamentale della tradizione italiana nei confronti della lirica siciliana (es. saria, debia, faria); ammette anche il condizionale organico di esse, fora. La lingua di Petrarcasicaratterizza dunque per uno spiccato polimorfismo. Alcuni di questi tratti si vedono nel sonetto che si trova a pag. 156 del Manuale, che leggiamo insieme. 12. GIOVANNI BOCCACCIO: DECAMERON Il caso di Boccaccio è simile a quello di Petrarca e diverso da quello di Dante, in quanto possediamo i suoi manoscritti autografi di più di un'opera: il Teseida, il Trattatello in laude di Dante e il Decameron. Quest'ultimo è tramandato nel codice Hamilton 90, appartenuto prima a Giuliano De' Medici e poi a Pietro Bembo: contiene non la prima versione del capolavoro (databile al 1350 circa) ma una copia riscritta dall'autore nel 1370-1372. Anche Boccaccio, come Petrarca, non è nativo di Firenze ma è di Certaldo, vicino a Siena. In realtà lo si può considerare madrelingua fiorentino sia perché nacque probabilmente a Firenze da famiglia certaldese trasferitesi lì sia perché nella prima metà del Trecento eraormai avvenuta una sostanziale assimilazione al fiorentino della varietà di Certaldo. Ma al di là di questi dati anagrafici bisogna pensare alla sua autocoscienza linguistica, al suo esplicito pronunciamento in proposito; quando si riferisce alle presenti novellette dice: "le quali, non solamente in fiorentin volgare, e in prosa scritte per me sono [...]". Nel Decameron lo scrittore resta fedele al fiorentino della sua giovinezza e maturità quando conserva forme come dea e stea (che alla metà del secolo cominciavano a essere insidiate da dia e stia per la spinta dei circostanti volgari soprattutto occidentali). Resta fedele anche con i termini diece, milia, domane, stamane, tratti caratteristici del fiorentino del Duecento che abbiamo già incontrato. Analogamente il dittongo di /e/ e /o/ aperte in sillaba libera è presente nei modi simili del fiorentino duecentesco, quindi non solo nei casi come tiene e buono ma anche in casi.

Come breve e pruova (con muta cum liquida). Come vocale palatale atona in sillaba iniziale usa /i/ (si tornerà poi a /e/ nel Cinquecento a causa di una rilatinizzazione della lingua da parte degli umanisti): es. diliberò, disidera, divoto, gittata. Quanto al verbo, si ha ben salda all'imperfetto la desinenza etimologica della prima persona in -a (es. io aveva); si nota qualche resistenza di forme più antiche quali andaro, cominciaro, deliberaro, che ormai tendono a soccombere rispetto ai tipi con desinenza in -arono, -erono, -irono. Il condizionale in -ei è quasi assoluto. Queste caratteristiche linguistiche vanno anche attribuite al genere in cui si esercita l'autore, cioè la prosa, che ha leggi diverse dalla poesia. Quanto al lessico, Boccaccio ama usare inserti alloglotti; i campioni verbali che vengono prelevati da aree linguistiche diverse da quelle dell'autore possono intervenire per rievocare o parodisticamente o a scopo di realismo.

mimetico (per caratterizzare il personaggio). A Palermo una donna dichiara il suo amore in siciliano dicendo: “tu mai miso lo foco all’arma”; una donna fiorentina nella stessa situazione dice: “dello amor di lui mi s’accese un fuoco nell’anima”. Boccaccio guarda con divertimento e curiosità alla dimensione del parlato, dell’oralità, che riproduce anche nei suoi tratti settoriali e tecnicizzati (come quello mercantesco di molte novelle, in cui riproduce l’idioletto dei mercanti). Soprattutto notevole nel Decameron è perciò la perizia tecnica con cui sono maneggiati gli strumenti della resa dell’oralità. Proprio con questi tentativi precoci della registrazione del parlato nello scritto, Boccaccio crea a sua volta, come Dante e Petrarca in altri sensi, un codice: quello della prosa italiana. Evidenzia i ruoli rilevanti del discorso dislocandoli a destra e a sinistra: “e qual è la mia vita

Ecco il testo formattato con i tag HTML:

"Ella s'el vede", 27"quello che i maggiori medici del mondo non hanno potuto né saputo, una giovane femmina come il potrebbe sapere?".

Usa l'anacoluto: "il saladino il valore del quale fu tanto"

Dettagli
A.A. 2018-2019
45 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/12 Linguistica italiana

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher letteralMENTE30 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Cartago Scattaglia Gabriella.