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-PARAFRASI
-Dante riesce ad alleggerire la tensione con elementi che hanno messo in cristi vari letterari che
hanno avuto a che fare con un testo come questo
-in tutto il passo sono frequenti le forme dell’imperfetto in -ea, le quali a lungo rimarranno nella
lingua poetica
-cominciano i nomi dei diavoli, sono dei nomi grotteschi, coniati con morfemi in cui sono frequenti
le affricate dentali e gli accrescitivi. In alcuni casi questi nomi li prende dalla tradizione popolare a
lui nota (Alichino per Arlecchino: le maschere hanno origini nelle anime degli inferi. Arlecchino in
realtà è una maschera che già alla sua epoca era nota nell’Italia settentrionale: era il morto di fame
bergamasco e va a Venezia in cerca di lavoro e fortuna; è talmente povero che ha un vestito fatto
tutto di toppe). Farfarello era uno dei nomi con cui ancora oggi si indica il diavolo nei dialetti
meridionali.
“andare” a volte è sostituito da “gire”: è la continuazione toscana del latino “ire”
-“iscoglio”: per dire masso, roccia. Dante usa vari sinonimi per alludere al masso, alla roccia. Erano
usate nel parlato tutte le forme
-“dugento”: duecento, è una forma fiorentina usata ancora oggi, con la sincope di “e” e la
sonorizzazione della consonante in posizione intervocalica
-convivono in Dante sia forme palatalizzate (“boglienti”) sia forme dove c’è una laterale intensa non
palatale laddove invece noi useremmo una palatale (verso 119: “elli”). Dunque le forme con la
palatizzazione all’epoca convivevano con quelle senza; inoltre il linguaggio fiorentino a volte
poteva palatalizzare anche dove oggi noi non lo facciamo.
-“sovra” (verso 126): “sopra”, c’è una sonorizzazione seguita da una spirantizzazione. “sovra” la
possiamo osservare in parole ad oggi come “sovrabbondante”.
-verso 127 VEDI FOTOCOPIA: “veggio” per “vedo”. Verso 129: “cheggio” per “chiedo”. Sono forme
verbali in uso all’epoca. Il latino “video” è continuato proprio da “veggio”: “Video” infatti con una
pronuncia veloce diventa “vidio” e quindi si crea un nesso d dentale con iod (-dj-) (vedi fotocopia).
La forma “vedo” è unna forma analogica, rifatta ad esempio su verbi come “amo”, “canto” (si
prende la radice e si associa il morfema -o che è quello tipico della prima persona singolare).
Manzoni, laddove c’erano più varianti, ne sceglierà una sola e questa sua scelta ha avuto un
influsso visibile anche una lingua parlata (scelta fatta tra allotropi diversi).
“Cheggio” è una forma analogica rifatta proprio su “veggio”. La forma più usuale “chiedo” è la
forma etimologica. Il nesso labiovelare sordo originario si mantiene in fiorentino solo davanti ad “a”,
in questo caso c’è “e” e quindi non si mantiene ma si riduce a “k” (ch-iedo); “e” breve dittonga
secondo le regole del dittongamento toscano in sillaba libera. “chiedo” e non “chiero”: questo è un
fenomeno che ha a che fare con l’infinito; l’esito dissimilato si è esteso ad altre forme del
paradigma.
“vedo” è una forma analogica rispetto a “veggio”; “chiedo” è una forma etimologica, che continua
regolarmente il “quaero” latino.
-Verso 126: “dienno”: VEDI FOTOCOPIA
-Verso 130: “se’” per “sei”: questa forma, usata qui anche per ragioni metriche, è una forma che ci
fa vedere bene che cosa succedeva spesso in fiorentino a proposito dei dittonghi discendenti. I
dittonghi del dittongamento toscano sono ascendenti perché la semiconsonante è in prima
posizione. Il dittongo discendete è quando viene prima la vocale e poi la semiconsonante. Questi
dittonghi discendenti in fiorentino tendevano spesso a ridursi: la semiconsonante tendeva a cadere
e rimaneva solo la vocale; qualche volta questo fenomeno si trova raffigurato, come in questo
caso, con un apostrofo. VEDI FOTOCOPIA
-qui vediamo un Dante che ci sorprende per le sue scelte, per il modo con cui riesce a
sdrammatizzare ricorrendo ad esempio al turpiloquio
6 CANTO PARADISO:
-imperatore Giustiniano che racconta la parabola storica della città eterna di Roma, l’argomento si
prestava ad un uso della lingua che si avvicinava molto al latino, ci sono infatti molti latinismi che
poi sono entrati nella lingua italiana proprio perché usati da Dante
-Giustiniano è considerato da Dante al termine del glorioso cammino compiuto da Roma.
Giustiniano nel passo scelto ricorda le imprese di Giulio Cesare
-leggiamo dal verso 64
-PARAFRASI
-in questo passo troviamo tanti latinismi. Al verso 68: “cuba” è un verbo latino: pensiamo al termine
concubina (l’amante, colei che giace nello stesso letto con una persona) in italiano. Verso 73:
“baiulo”: da puro e semplice “portatore” diventa colui che porta l’aquila imperiale (il segno
dell’impero). Verso 74: “latra”: “abbaiare”. Verso 77: “colubro”: serpente, significato generico. Verso
79: “subitana e atra”: accenno a Virgilio: immediata e buia, scura, crudele”. Verso 79: “lito rubro”:
dal latino litus che poi per sonorizzazione della sorda ha dato “lido” in italiano. Verso 81: “delubro”:
sineddoche, è la vasca dove si facevano le immersioni rituali (vasca, elemento del tempio, per dire
tempio, la parte per il tutto: sineddoche). Verso 83: “fatturo”: qui si riconosce un tempo del latino
che parecchie lingue romanze non hanno continuato, ovvero il participio futuro (qualcosa che deve
ancora avvenire)
CONFRONTO TRA LE TRE CORONE:
-Dante non sempre sarà apprezzato, non ha avuto nel corso del tempo una fortuna stabile, ha
avuto anche momenti di “crisi” come durante il 17esimo secolo (600, barocco, il secolo meno
favorevole al sommo poeta). Tuttavia le caratteristiche di Dante e della sua lingua sono state tali
che non poteva non avere un forte influsso
-per certi versi Petrarca è l’opposto di Dante, non per il volgare usato ma per le scelte linguistiche
e stilistiche (Dante sperimentatore, lessico variato e diversificato; Petrarca è un attento selettore e
il suo lessico è piuttosto limitato). Con Petrarca siamo entrati in un’altra stagione storica e
culturale. Mentre Dante è noto in primis per essere autore della Commedia, Petrarca riteneva che
sarebbe stato ricordato per le sue opere latine, non per le poesie volgari. Il Canzoniere di Petrarca
(rerum vulgarum fragmenta) era solo un elegante divertimento, mentre le opere serie latine sono
quelle che per lui gli avrebbe dato davvero fama. In Petrarca il rapporto tra latino e volgare è
capovolto rispetto a Dante, capovolto anche in un senso concreto: a differenza di Dante, noi di
Petrarca abbiamo anche il codice degli abbozzi (e anche l’originale). Per Petrarca siamo in grado
di fare lo studio delle correzioni che lui stesso ha fatto (il cosiddetto “codice degli abbozzi”: lui
scriveva i suoi versi in volgare e le correzioni le scriveva in latino che era per lui la lingua scritta di
uso più naturale ed immediato). Lessico generico e limitato per Petrarca, con Dante siamo
parliamo di un lessico concreto. Petrarca non vuole scivolare in termini e frasi che possano
ricordare il linguaggio quotidiano troppo da vicino. Per Petrarca l’arte per essere tale deve
rimanere lontana dalla banalità della vita quotidiana e quindi i termini concreti non vanno usati. A
ragione di ciò allora Petrarca usa tanti IPERONIMI: termini generici, mentre al di sotto troviamo gli
IPONIMI che sono termini più generici. E anche oggi noi soprattutto parliamo per IPONIMI, con
quindi parole che evocano più che determinare qualcosa, Petrarca così svuota le parole della loro
natura più concreta.
Inoltre Dante soprattutto narra, in Petrarca invece spesso non si racconta nulla, lui più che altro
esprime stati d’animo. Il fiorentino di Petrarca è un po' diverso da quello di Dante: Contini ha
parlato non a caso di “fiorentinità trascendentale”: è una fiorentinità è più evocata che realmente
presente (questo lo si vede da tutta una serie di coppie di termini che appaiono con una duplice
veste fonetica: una più fiorentina e una più latineggiante. ESEMPIO: “tesauro” (più latino) e
“tesoro”) LEZIONE 14/03
PETRARCA E BOCCACCIO:
-Dante non sempre dà la precedenza alle forme che in fiorentino solo più comuni, ad esempio i
termini che usa per esprimere il concetto di sorella: egli usa “sorella” ma la variante più comune nel
fiorentino della sua epoca era “sirocchia”/”serocchia”, ovvero la continuazione del diminutivo latino
di “soror” (“soruculam”). Usa anche “fratello” (forma in origine diminutiva). Si diffondono queste
forme di sorella e fratello grazie alla fondazione degli ordini monastici; “frate” invece (radicata a
sud) inizia ad indicare il monaco.
-LESSICO PETRARCA: lessico più limitato, selezionato. Lui è un selezionatore laddove Dante era
uno sperimentatore. Lessico astratto (perché le parole concrete sono rare e vengono usate
svuotate della loro concretezza) e generico (Petrarca predilige gli IPERONIMI)
-Codice Vaticano Latino 3195 (codice dove troviamo l’originale del Canzoniere); 3196 (codice degli
abbozzi che ci consente di fare la critica degli scartafacci e quindi di commentare gli appunti con
tutte le correzioni, fatte tra l’altro in latino perché era la lingua dell’uso scritto a lui più familiare)
FOTOCOPIA N.1:
-titolo dato dal primo verso. La versione viene da una versione curata da Ugo Foscolo (1800), uno
dei grandi appassionati di Petrarca. Ci sono infatti molte forme latineggianti poi plasmate
successivamente in base all’uso moderno, non però in questa edizione
-Petrarca riflette su uno stato d’animo: l’amante che non è ricambiato
-struttura ben precisa, quasi circolare
-al centro troviamo l’adiunaton, ovvero l’impossibilità, qui negativo: si nega che un certo fatto possa
accadere perché, se così fosse, ci sarebbero conseguenze assurde
-dittologia sinonimica (verso 1,2): siamo di fronte a due sinonimi i quali servono per ragioni
metrico-ritmiche
-fiorentinità trascendentale: egli usa un fiorentino attenuato in certe sue caratteristiche che
vengono evocate solamente oppure addirittura sostituite da altre…