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Operette morali ).
La prassi correttoria dei Promessi Sposi
Nel 1825-27 uscì la prima edizione dell'opera di Manzoni alla quale seguì una lunga revisione,
dovuta anche al soggiorno a Firenze che permise all'autore di “risciacquare i panni in Arno”, cioè di
correggere il suo capolavoro. Infatti nel 1842 uscì l'edizione definitiva ( vi furono polemiche: alcuni
preferivano la ventisettana, altri invece apprezzarono la revisione sottolineando che egli aveva
voluto avvicinare lo scritto al parlato ).
Diversi sono i criteri con cui Manzoni corresse la sua opera:
Eliminazione abbastanza ampia delle forme lombardo – milanesi, che erano state accolte ( in
• forma libresca ) nella ventisettana. Ad esempio, egli elimina il regionalismo “marrone” per
“sproposito”: manifestare un marrone > palesare uno sproposito. Sebbene “marrone” sia
un'espressione nota alla cultura toscana, Manzoni optò per una soluzione più neutra.
Eliminazione di forme eleganti, preziosismi, forme auliche e arcaicizzanti. Vengono
• introdotte forme più comuni. Esempio: guatare > guardare, gramo > triste.
Assume forme tipicamente fiorentine, come per esempio il monottongamento di -uo-.
• Eliminazione di forme doppie: eguaglianza > uguaglianza, pel/col > per il/con il.
•
La sua prosa ha influenzato anche il nostro linguaggio: ad esempio quando usa lui/lei soggetto,
oppure ci ha permesso di evitare di usare pel/col, ha eliminato quasi completamente l'uso della “d”
eufonica. Dal punto di vista stilistico inoltre, egli fu più sciolto e più naturale.
Altri modelli di prosa
Un autore di stampo manzoniano è Carlo Collodi, molto popolare tra il pubblico giovanile, che
contribuì a diffondere la lingua toscana in tutt'Italia. Nella linea del mistilinguismo rientrano invece
autori come Giovanni Faldella, che si caratterizza per l'uso di forme linguistiche attinte a forme
diverse. Nel suo Zibaldone infatti annotava le parole interessanti che scovava nelle sue letture.
Tuttavia questi esperimenti, non conducono alla strada maestra del rinnovamento della lingua.
Giovanni Verga
Nei Malavoglia, Verga non usa il vero dialetto siciliano ma cerca di accostarlo all'italiano: adotta
parole siciliane ma note in tutta Italia, con tratti popolari usati anche nei soprannomi dei personaggi.
Tutto questo tende a simulare un'oralità viva, un nesso tra lo scritto ed il parlato.
Particolare è il discorso indiretto libero usato da Verga: è una via di mezzo tra il discorso diretto e
quello indiretto, con la differenza che è lo scrittore stesso a riferire le parole o i pensieri del suo
personaggio; la voce dello scrittore diventa così espressione della coralità popolare. Avviene il
completamento del cammino del parlato allo scritto, anche nell'italiano popolare e regionale.
La poesia
Almeno all'inizio del secolo, il linguaggio poetico rimane fedele alla tradizione aulica ed illustre
anche per l'affermarsi del Neoclassicismo ( Foscolo nei Sepolcri, o Monti, ad esempio ). Frequenti
sono gli iperbati e le inversioni: è molto differente a disposizione sintattica della poesia da quella
della prosa. Il lessico, allo stesso modo, non vuole cadere nel prosastico ( un po' come nel secolo
precedente accadde durante il periodo dell'Arcadia ) e si ascrive alla serie delle parole “nobili”:
cultismi e latinismi saranno tipici del linguaggio poetico fino alla svolta di Pascoli.
È proprio il linguaggio poetico che è immune da novità formali, dal momento che le parole
quotidiane e più concrete facevano molta fatica ad entrarvi ( se non nella poesia giocosa ). Il tono è
sempre “sublime”; la stessa necessità dei poeti classicisti a menzionare oggetti o viventi comuni
ricorrevano a delle perifrasi.
In questo secolo, infine, si sviluppò la letteratura dialettale: Porta ( milanese ) e Belli ( romano )
chiosarono le loro opere per farsi intendere meglio ( alcuni termini romaneschi entrarono poi nel
parlato ). Il classicista Pietro Giordani obiettava però che l'uso della letteratura dialettale fosse
nocivo alla nazione, da usare solamente ai livelli infimi della società sentendo invece la mancanza
di una lingua comune. Il dialetto, dunque, non era un modo per favorire il progresso della lingua: le
tesi di Giordani, tuttavia, esprimono l'auspicio di una lingua e di un sentimento nazionale unitari.
Romantici e classicisti, sul tema del dialetto, furono discordi: i primi erano favorevoli alla sua
diffusione, i secondi ovviamente erano più fedeli al tradizionalismo aulico della loro poesia.
Il Novecento
Il linguaggio classico
Carducci è probabilmente l'ultimo scrittore che incarna in maniera perfetta il ruolo del vate, e la
lingua delle sue poesie aderisce alle convenzioni che nobilitare la realtà toccata dai versi. Non è
infatti raro che una chiesa diventi un tempio, e che una piazza diventi foro, con un'analoga
nobilitazione del latinismo. I vocaboli arcaici vengono mantenuti, così come le forme del verbo.
Sono evitate invece le parole comuni e i modi quotidiani.
È vero tuttavia che anche la poesia di D'Annunzio non rinuncia alla nobilitazione: parole “troppo
moderne” sono tradotte con delle perifrasi ( il tram è chiamato “carro che non ha timone […] che
basso scivola immune tra la ferrea fune sospesa” ). Allo stesso modo, tratta con molto riguardo i
latinismi. Ma la poesia di D'Annunzio si presenta come innovativa, in quanto tende a sperimentare
molte forme diverse: è come se ricostruisca il linguaggio italiano, in quanto tutte le forme ( antiche
e moderne ) vengono usate nelle sue poesie, senza timore. Introduce quindi alcuni neologismi, come
velivolo per aeroplano, scende a patti con il suo tempo trattando della pubblicità e il cinema.
Crisi del linguaggio classico
La prima rottura con il linguaggio poetico tradizionale i ha con:
1. Giovanni Pascoli: con lui cade la distinzione tra parole poetiche e non, e tutte quindi entrano
a far parte dell'inventario di un poeta, fino ad includere addirittura un po' di italo-americano
( si pensi al poemetto Italy ). Anche Pascoli conosceva molto bene la lingua poetica che fino
ad allora si era usata: semplicemente la rivoluziona. Egli trasforma anche la metrica,
accorciando i versi, inserendo esclamazioni, domande e risposte: rispecchia una sorta di
“parlato”. Inoltre fa molta attenzione al linguaggio botanico ed ornitologico ( da notare
come Pascoli stesso abbia sottolineato l'incongruenza di Leopardi, che ha fatto fiorire rose e
viole nello stesso periodo ).
2. La poesia crepuscolare: rovescia il tono sublime e aulico in un tono ironico. Gozzano, ad
esempio, aveva una forte tendenza al prosastico ( basti leggere le prime strofe di La
signorina Felicita ovvero la felicità ).
3. Le avanguardie: il Futurismo fece una sorta di appello provocatorio ad un rinnovamento di
forma; parole miste ad immagini, largo uso di onomatopee ( si pensi a Zang Tumb Tumb di
Marinetti, 1914 ), uso di diversi caratteri tipografici per sottolineare un aspetto in
particolare. Il Futurismo fece suo il linguaggio tecnico, delle automobili, dei motori, della
guerra moderna. È ovvio che non poté sperare di andare molto lontano, ma va detto tuttavia
che ebbe dei risvolti molto importanti sulla nostra cultura.
Prosa poetica, lingua media e mistilinguismo
Senz'altro D'Annunzio è un personaggio molto importante anche in questo campo: la prosa del
Notturno si caratterizza per il periodare breve, per la sintassi nominale, per i frequenti a capo.
L'esempio in Marazzini pag. 419, mostra evidentemente come siamo molto distanti dal tradizionale
periodare italiano.
Un'altra figura importante è Luigi Pirandello, nelle cui opere abbiamo un riflesso del parlato.
Questo è verificabile ad esempio nelle riproduzioni di interiezioni,o connettivi particolari come è
vero, figurarsi, o bella!; insomma, lo stile di Pirandello è l'esatto di opposto di quello di
D'Annunzio: se quest'ultimo infatti non bada al suo lessico, ma si concede una smisurata libertà, in
Pirandello non si esce mai dai moduli di tutti i giorni; il suo è una sorta di uso medio della lingua.
L'altro grande scrittore del Novecento è Italo Svevo, famoso per il rapporto non facile con la lingua
italiana: fu spesso criticato di scrivere male. Ma ad un'attenta analisi notiamo come in realtà un
romanzo come La coscienza di Zeno non risponde ai canoni puristici: è anche vero che la novità del
suo genere lo porta a scrivere in un determinato modo.
Anche il dialetto diventa importante: è sempre più partecipe ( si noti come il fiorentino fosse
considerato come un dialetto ). Un uso del dialetto si ha in scrittori come Carlo Emilio Gadda, dove
il mistilinguismo è di casa. Ma non un solo dialetto, bensì molti ( romanesco, lombardo,
fiorentino ). Un esempio del genere può essere l'opera di Gadda Quer pasticciaccio brutto de via
Merulana.
Oratoria
Il fascino dei discorsi di questi tempi si rifà soprattutto a quelli di Mussolini, notevole per l'impatti
che avevano sul pubblico. Se però volessimo indicare un modello dovremmo rifarci ancora a
D'Annunzio, dove il periodare molto breve, la frase nominale, la prosa di gusto teatrale, piena di
metafore ( religiose, militari ) con l'aggiunta di tecnicismi romani ( si pensi a Duce ) e l'esaltazione
del numero. Tuttavia Mussolini fu il primo ad usare la retorica come strumento di persuasione di
massa: egli aveva un particolare dialogo con la folla: spesso ricorre alla violenza verbale, sfrutta
l'esagerazione. Questa impetuosità aveva risvolti anche sulla scuola: infatti, molte lettere vennero
scritti da giovani ragazzi al Duce, dove emerge una retorica dell'aggettivo. Diversa sembra invece la
retorica della sinistra: Antonio Gramsci la vedeva macchiata del difetto della vuota retorica, optando
per il discorso razionale, senza bisogno di usare particolari tecnicismi o metafore.
L'italiano della saggistica
In conseguenza allo sviluppo dell'Italia, nacque un'abbondante letteratura saggistica in tutti i campi
il cui obiettivo principale era quello di una lingua media, contro la prosa aulica dell'Ottocento ( si
pensi alle Notti romane di Verri ). Il rappresentante più importante è Benedetto Croce, che scrisso in
modo chiaro, limpido, senza però cadere nel colloquiale ( Contributo alla critica di me stesso ). In
altri casi invece, la prosa si dimostrava meno razionale, come nel caso di Giovanni Gentile.
Autarchia e Xenofobia
Politica linguistica del Fascismo, due punti fondamentali:
Repressione delle minoranze etniche: in molte regioni, l'imposizione dell