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GIOVANNI PASCOLI: LA SERVETTA DI MONTE
È uno dei vertici della poesia pascoliana mirabile per oggettivare uno stato psichico in una rappresentazione fatta solo di cose e sensazioni. La stesura avvenne nel 1903 poco prima della sua pubblicazione della prima edizione dei "canti di castelvecchio". La poesia è di tipo narrativo. L'io lirico infatti è assente, non è nemmeno come spettatore (no verbi in prima persona). L'intera scena è occupata da un personaggio terzo, la servetta che ha il punto di vista sulla realtà. C'è un chiaro sviluppo temporale quindi un prima e un dopo che permettono l'individuazione di due zone precise nel testo. Nella prima parte la servetta, arrivata da poco nella casa padronale e lasciata da sola, osserva intorno a sé l'ambiente che non conosce. Nella seconda, dopo il v.16, la ragazza forse assopita o forse sognando ad occhi aperti si abbandona a un'immaginazione che la riporta a...
casa, ovvero alla montagna da cui proviene. Il testo veicola un senso di regressione all'infanzia, il "dolce ritorno" del tema pascoliano. I commentatori hanno individuato alcuni antecedenti letterari: la tessera dantesca dove selvaggia sta per spaesata. Poi Pascoli sembra riprenda dalla Mariana del poeta inglese Tennyson le due immagini in successione della mosca che ronza contro i vetri e del topo che fa capolino. Però il tutto con un lessico del tutto originale orientato verso la nominazione precisa dei particolari domestici: rami "utensili di rame", staggia "asta", pannello "grembiule". Vi è una tendenza marcata del dialettismo come si avverte in certe aree dei poemetti. Lo sguardo del protagonista è invaso da presenze oggettuali ostili che si affacciano alla coscienza turbata. "Non c'è nulla ch'essa conosca...". Il senso di estraneità.Trova un altro corrispettivo sensoriale nel silenzio che grava sulla casa. Con l'eccezione del croccolio (frequentativo auditivo che è il verso della gallina quando vuol fare l'uova ma si dice anche del vino quando si versa dal fiasco senza tromba) (qui indica il rumore della pentola quando bolle su fuoco) della pentola e ronzio della mosca. E anche quando l'acqua inizia a fare qualche sonaglio ovvero si dice che passano i miccetti ossia gli asinelli. La sospensione dei puntini è proprio il campano di un muletto che la serve sente suonare. Questa formula fiabesca per indicare il luogo a cui si dirige la sua immaginazione (la casa sui monti = verso cui il muletto s'arrampica su su. È dunque avvenuto uno scambio tra il suono reale e quello immaginario con passaggio dalla coscienza alla visione forse al sonno. E qui si apre la seconda parte della poesia con il rumore del campanaccio. Il cui rumore diminuisce poco a poco perché sovrastato dai rumori della natura.
Quindi qui si contrappone il silenzio delle strofe precedenti e una situazione esistenziale opposta. Non più la chiusa immobile ma il movimento libero della natura. Ed è qui che lo stato di natura precede la coscienza razionale. È una condizione in cui la servetta è immersa personalmente tanto che sente il torrente scrosciare sui piedi. L'avvento delle voci inoltre avvia una ricerca di determinatezza lessicale che non si avvale del dialetto ma del sinonimo esatto. "usignolo, passero, cincia". Questa descrizione richiama una rete fitta di richiami fonici di natura onomatopeica "alliterazione della s si sente sonare un campano" s'arrampica su su su'. Questo introduce il tema dell'impressionismo pascoliano fatto principalmente di suoni ma capace di pennellate visive. C'è da sottolineare come disse Contini che più Pascoli è chiaro più è radicalmente irrazionale. Ovvero al ritorno a.Una visione fanciullesca del reale è compiuta sotto una spinta di un potente senso di mancanza che innesca l'immaginazione. Per quanto riguarda la metrica si affida a strofe di sei novenari con scheme ababcc. Il novenario è un verso molto amato da Pascoli. Per quanto riguarda la grammatica troviamo appartio, poetismo debole anche "anche" quindi non c'è molto. Morto, Pascoli. Myricae. 1897. Quarta edizione.
In questa poesia ritroviamo il Pascoli del tema del fanciullo, il tema dell'abbandono, della morte e della poesia del dolore. È una poesia che va tuttavia verso la prosa. La trama del testo è che c'è un io implicito che potrebbe essere l'autore stesso, la madre o anche noi che si rivolge indirettamente attraverso una sineddoche ad un bambino in culla. Vi è un totale primopiano sulla manina chiusa. La domanda da porsi è: cosa stringe quella manina chiusa? Un dono? Niente? Perché
è chiusa?Partiamo dalla lingua di questa poesia, è una poesia in cui la lingua poetica e la lingua comune sono fuse. Le scelte lessicali rientrano in un lessico quotidiano. Non ci sono apocopi. Il parlato è di quel tratto substandard - raso terra-. Soffermiamoci sul ''ci hai'' , il quale in linguistica è un ciattualizzante che è usato tipicamente nel parlato famigliare. Inizialmente il ci con dante ha un valore locativo, poi via via il ci viene desemantizzato e diviene un integratore deittico del parlato. Infatti il ci venne utilizzato sempre in una direzione, in tutti testi di generi aperti come il teatro, la commedia. Infatti lo ritroviamo spesso in Verga o Capuana, vengono utilizzati all'interno dei dialoghi, nelle situazioni in cui i personaggi parlano. Al verso 7 troviamo ''c'era'' che anch'esso è emblematico, in quanto se fosse una poesia di qualche decennio prima sarebbe stato meglio usare
'vi era'. Infatti in una correzione dei Promessi Sposi Manzoni ha cambiato tutti i 'vi era' in 'c'era'. Al verso 4. troviamo 'niuno, saprà mai' chiaramente vi è una motivazione metrica per far si che non si sfori l'endecasillabo. Ma non solo. Infatti 'niuno' è una forma meno marcata, e 'nessuno' era la forma più raccomandata, Dante usava 'nessuno'. Ad un certo punto nel XVI secolo le cose cambiano e 'nessuno' diviene la più usata dai prosatori fiorentini, per cui essendo la più usata anche la meno rara. Quindi 'niuno' diviene la forma specializzata per la poesia. (la lingua della poesia è deposito di ciò che è stato rimosso). Manina è un diminutivo che riflette il linguaggio dei bambini e riproduce l'affettività pietosa dell'io come quando una madre si rivolge ai suoi figli. Un'altra traccia di questa poetica patetica pascoliana laTroviamo al V.2-3 dove c'è la ripetizione delle domande, le quali sono molte perché non vi è una risposta. La ripetizione è un tratto fondamentale della poesia pascoliana, per sottolineare la psiche ossessiva. La dislocazione a destra nel V.5-6 dove viene ripetuto il tema del dono. Dove viene utilizzata la virgola per enfatizzare ed isolare il dono. In questa poesia quindi abbiamo una liberazione del codice linguistico tradizionale in modo parziale. In quanto vi è ancora una certa metrica chiusa. Tutti i versi sono endecasillabi. Infatti vi sono 8 endecasillabi divisi in due quartine. La prima ha uno schema alternato, la seconda ha due distici baciati. Metricamente Pascoli rispetta un'istanza tradizionale.
Pascoli. Poemi Conviviali. 1904.
Il Pascoli dei Poemi Conviviali è l'emblema di uno sprofondamento del moderno nell'antico. Vi è un iperclassicismo. Sottolineamo come la storia del linguaggio poetico tra 800-900 è
principalmente un'apertura del linguaggio e di un abbassamento della democrazia linguistica, ma questo processo non è lineare. Uno stesso autore può essere un pascoli dei poemi convivali e anche un pascoli di Myricae. Questo doppio binario lo troviamo anche in Ungaretti, vi è un ungaretti quotidiano e un Ungaretti che riscopre il lessico aristocratico. Ma anche lo stesso montale, o l'ermetismo. Infatti nel 900 i termini aulici diventano l'eccezione, diventano vintage che arricchiscono la poesia. Pascoli nei conviviali ha costruito un sistema integrato, un tutto che si tiene, dalla grafia al lessico. La grafia → la resa di parole greche-latine si ha con grafemi che pretendono di fare un effetto antico. Che si avrà o con suoni marginali come la y o con ph, th. Le grafie ellenizzanti riguardano di più i nomi propri, che i nomi generici. Se li uniamo alla grafia ellenizzante abbiamo un preziosismo alla seconda. Il lessico → l'abbondanza di latinismi.grecismi, ma non è solo il pedale linguistico che premepascoli per riprodurre l'antico. Ci possono essere latinismi-grecismi hard che non si trovano nella tradizione poetica italiana come Clatro=cancello. Ci fa capire che sono latinismi forti che i vocabolari dell'epoca non includano questi vocaboli. Solon, Pascoli, Poemi Conviali. Solon è il poema conviviale di apertura, durante la composizione siamo durante il grande trauma del tradimento della sorella ilda che abbandona il nido e si sposa. Quindi ciò che avviene è una fuga nel mondo greco-romano ma la materia autobiografica rimane. Vi sono soltanto due grecismi-latinismi pesanti: "Cratere" → coppa. "Auleta" → suonatore di flauto. Questi due termini non avevano sostituti quindi sono classificabili come prestiti, latinismi-grecismi connotativi. Perché nel nostro vocabolario non esiste un termine così definito. Infatti la determinatezza.la precisione nel lessicopascoliano è fondamentale. L'effetto classico di questo testo è trasmesso da una rete di latinismi che non spiccano. Per esempio:
- Attendere al cantore → non significa aspettare ma fare attenzione, ascoltare.
- Pani biondi e di fumanti carni → è un latinismo semantico dove biondi e fumanti sono epitetiformulari. Parte integrante dell'epica antica.
- Chi cavalli ha soldi'unghi → è un epiteto composto, è un ricalco dell'epiteto omerico.
- Giova → è un calco sintattico, rinforzato dalla posizione distante di ''te''.
Un altro meccanismo di riproduzione della scrittura antica è un ordine non lineare quindi non soggetto verbo complemento ma un ordine artificiale del periodo come ai V.13-14.
Gabriele D'annunzio.
Ciò che colpisce della scrittura poetica di d'annunzio è la ricchezza della sua pagina improntata ad un linguaggio eletto, aulico, prezioso.
a lingua italiana è un tesoro prezioso nel quale sembra confluire l'arco della tradizione italiana egreco-latina. Nel suo linguaggio opera una pancronia più che una stratificazione nel senso che vengono applicate tutte le caratteristiche dell'italiano.