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III.
La legge Tobler-Mussafia decade quasi del tutto in Boccaccio nella terza condizione di applicazione: dopo
Stato avanzato del
decadimento del III subordinata proclitica il clitico non subisce quasi mai enclisi nella lingua di Boccaccio.
caso Tobler Mus-
safia in Boccaccio Tanto in Dante quanto in Boccaccio la prima condizione di Tobler-Mussafia viene sempre rigorosamente ri-
Applicazione e spettata al 100/100. Già a partire dalla seconda condizione di Tobler-Mussafia troviamo in entrambi gli autori
decadimento della
T-M in Dante e eccezioni. I casi di eccezioni individuati in Dante erano sempre finalizzati alla produzione della rima nelle
Boccaccio terzine incatenate; Boccaccio è invece più libero da questo punto di vista e usa in modo arbitrario la possibilità
di non applicare la Tobler-Mussafia. 29
Storia della lingua italiana Modulo 1 Appunti di Alessandro A. Vercelli
Dubitative ed interrogative indirette costruite con l’infinito o con modi finiti
Franca Brambilla Ageno, trasmissione dei moduli sintattici e le loro modifiche nel tempo. Sistematicamente
confronta costrutti sintattici del latino classico, del latino tardo e dell’italiano antico contemplando poi anche
gli sviluppi in italiano moderno.
In latino classico l’interrogativa indiretta e la dubitativa indiretta (quella che chiede che cosa fare e non pre-
suppone solo riposa si/no), se dipendevano da scire/non scire, erano costruite allo stesso modo con il congiun-
tivo (per cui cita “nec quid agam scio” e “irae gaudio…ubi sim nescio” dove si trova in entrambi casi il con-
giuntivo agam e sim). In italiano si usa invece normalmente il modo finito. Ma in dipendenza al modo. Sapere
può usare anche l’infinito, per la dubitativa, per il dubbio sul da farsi. Dice che si possono essere incrociati i
sistemi del sapere e dell’avere. Cita Cicerone “Nihil habeo quod ad te scribam” e “de re publica nihil habeo
ad te scribere” per dimostrare come si possono essere incrociate le forme con l’infinitiva e quelle con l’inter-
rogativa indiretta (al congiuntivo). Cita poi il caso di “non habuit quid respondere” in cui il “quid” viene usato
come se fosse il “nihil” di Cicerone per cui viene seguito da infinito. “lo bello capo dove posare tu non avevi”;
“per non avere che (=che cosa) si mettere” sono gli esempi dal Decameron che la Ageno fa per l’italiano anti-
co.
Sincope degli avverbi in -mente da aggettivi piani e sdruccioli in -le in Dante
In Purg. XXX rimano “solamente” e “moralmente". Questo è il caso normale primario di sincope che avveni-
va regolarmente con aggettivi piani nella composizione avverbiale.
All’altezza cronologica di Dante, siccome la sincope negli aggettivi sdruccioli in -le non era ancora affermata
come regola fissa, troviamo in questi casi la convivenza delle forme sincopate e di quelle non sincopate.
Ci sono 5 occorrenze di similemente, tutte ad inizio di verso; Ci sono 2 occorrenze di similmente a fine verso
(rima). 5 occorrenze di umilmente non ad inizio verso, 2 di umilmente tutte quante a inizio verso.
A questa altezza cronologica il parlante percepisce ancora che “mente” non è un morfema ma è una parola
autonoma. Probabilmente poteva anche essere percepito già come suffisso, forse non come singola parola se-
parata. Non è però comunque percepito come desinenza ma come parola autonoma. Al verso 16 nel canto
XXIV del Paradiso (?) c’è un caso di separazione dell’avverbio dato dalla separazione tra l’aggettivo “diffe-
rente” e “mente” pur essendo con evidenza l’espressione un avverbio riferita a “danzando”.
L’uso in Boccaccio di forme provenienti da volgari italiani diversi dal fiorentino
Boccaccio prende in giro nelle sue novelle il dialetto senese, talvolta parodizza anche il fiorentino calcando
maggiormente particolarità tipiche di questo dialetto.
Boccaccio si serve di altri volgari per caratterizzare i personaggi che fa agire nelle sue novelle.
La novella che viene presa in considerazione è la VII della VIII giornata.
Nei dialoghi tra la donna anziana e lo scolare si trovano diverse desinenze di verbi di che, trasformatesi da m
Riduzione a -n e
mantenimento in n, presentano già lo sviluppo di una vocale d’appoggio tant’è che escono qui già in -no. La m si mantiene
della desinenza
verbale -m davanti alle labiali, per esempio. Davanti alle dentali però tende a ridursi ad -n. Con il tempo questa forma si
grammaticalizza e sviluppa una vocale d’appoggio. Pertanto si ha la desinenza grammaticalizzata -no. “le
dianci un poco”, par. 28 nov. VII giornata VIII. Si Trova poi nella stessa novella più avanti “le direm quel
che…”, qui la m si conserva di fronte ad una labiovelare.
Nella novella IV della giornata V, quella di Messer Lizio, si trova la forma “faren bene”. Secondo la Cella è
Imitazione del lin-
guaggio giovanile significativa questa forma siccome la seconda parola inizia per labiale. Di fronte alla labiale la desinenza in m
si sarebbe dovuta mantenere, invece qui si riduce ad n. Il fatto che la forma in n fosse stata usata da Boccaccio
per rendere il linguaggio popolare grezzo della vecchia nella novella precedentemente citata è significativo.
30
Storia della lingua italiana Modulo 1 Appunti di Alessandro A. Vercelli
Qui questa forma sarebbe stata usata da Boccaccio per far usare a Messer Lizio una forma simile al parlare
giovanile (come l’ehi raga’ di oggi) per rispondere alle parole di preoccupazione prima pronunciate da Ric-
ciardo che chiedeva a Caterina come avrebbero potuto fare per risolvere il problema. Qui non si vuole rendere
un particolare dialetto siccome l’ambientazione di questa novella sarebbe romagnola. Si vuole imitare il lin-
guaggio parlato giovanile con l’inserzione di questa forma.
In un’altra novella, giornata IV novella II, quella di Monna Lisetta e frate Alberto, vengono inseriti molti vo-
Imitazione della
parlata veneziana caboli in forme tipicamente settentrionali, ad imitare la parlata in uso nell’area veneziana. (es gastigato,
esempio della tipicamente settentrionale sonorizzazione delle sorde di castigato). Qui si trova esattamente ri-
prodotta la stessa forma che Dante aveva messo nel DVE nella frase di sintesi d’esempio del dialetto venezia-
no: per le plaghe di Dio. Il fatto che il pronome, nell’interrogazione che segue, al modo francese, viene po-
sposto ha fatto sì che la s della desinenza di seconda è stata preservata dalla posposizione del pronome sogget-
to (es tipicamente veneziano gastu sentiu). Sono inserite in tutta la novella molte espressioni che servono a
Ipotesi sulla for-
mazione di sé, ricreare tratti tipici della parlata veneziana. “che sé quel, che sé quel?” è tipica forma veneziana. (Cfr. Rholfs
verbo essere, in
veneziano per l’etimologia del sé come voce verbale di essere in veneziano). A proposito della nascita di questa voce
verbale “sé" alcuni pensano ad una trasformazione in contesto di fonetica di frase del tipo “es(t) élo” dove la s,
dopo la caduta di t, trovandosi in fonetica di frase in posizione intervocalica si sarebbe sonorizzata nella forma
(e)selo; in seguito la e di “élo” si sarebbe divisa in due parti, venendo percepita tanto come desinenza verbale
quanto inizio del dimostrativo “élo”, (e)se élo; ancora in seguito si sarebbero invertite le parole in “elo sé” con
s sonora e con successiva affermazione indipendente della voce verbale se.
È tipica l’avversione di Boccaccio per la città di Venezia ed i veneziani. Traspare fortemente questo disprezzo
in questa novella (IV, 2): i veneziani sono considerati tutti quanti degli stupidi, poco di buono, truffatori e bri-
ganti.
s+j > sc Si trova in Boccaccio la normale evoluzione in sc di s+iod, per esempio in tutte le forme basciare, derivanti
da basiare.
In altri casi il nesso s+j ha dato in toscano come esito una sibilante palatale sonora toscana (gi in fasianum>
fagiano, alla toscana) poi passata per affricazione ad affricata palatale sonora in italiano.
I codici Mannelli e Hamiltoniano 90 (autografo di Boccaccio) sono due codici che trasmettono il Decameron
Codice Mannelli,
Hamiltoniano e nella stessa versione; si cerca però di ricostruire la genealogia che lega i due codici per comprendere se possa-
Parigino no esser frutto della copia dello stesso antigrafo oppure se sia differente il legame che fa sì che siano presso-
ché uguali, errori di copiatura a parte.
Il codice Parigino invece trasmette un Decameron un po’ differente. Si pensa che potrebbe esser stato dettato
da Boccaccio ad un copista per produrre una versione bella della versione della metà del Trecento del Deca-
meron.
Mentre l’Hamiltoniano scrive “marido” (accentuazione dell’imitazione del dialetto veneziano), il Parigino
Esempi di muta-
menti in senso presenta “marito”. L’Ham presenta la forma dialettale veneziana “vedi vu’?”, il Parigino no. Essendo la ver-
espressionistico a
seguito della revi- sione dell’Hamiltoniano una versione Decameron più recente, stesa da Boccaccio in età più avanzata, rispetto
sione boccacciana alla versione del Parigino, si può dedurre che Boccaccio, nella continua revisione del suo Decameron, abbia
aggiunto questo dettaglio di maggior imitazione del dialetto veneziano in un secondo momento per caratteriz-
zare maggiormente la novella. Questo testimonia ancora una volta la continua revisione e la continua aggiunta
di dettagli operata da Boccaccio sul suo Decameron e soprattutto il fatto che Boccaccio rimanga sempre atten-
to al volgare che utilizza, smentendo coloro che volevano un rinnegamento di Boccaccio della sua produzione
in volgare. 31
Storia della lingua italiana Modulo 1 Appunti di Alessandro A. Vercelli
Il ruolo delle diverse edizioni del Decameron per la questione della lingua nel Cinquecento
Per Bembo il Decameron è l’opera in prosa che maggiormente permette di costruire una lingua unitaria per
tutta la penisola italiana nel 1500. Dante proponeva infatti troppe varianti e variabili linguistiche che rendeva-
no complessa l’uniformazione linguistica della lingua nazionale.
Cfr. Allegato del saggio di stussi PDF
La proibizione all’indice del Decameron avviene nel 1549, nel 1563, 14 anni dopo esce ad opera dei fiorentini
l’edizione purgata dell’opera, prodotta dai deputati incaricati della rassettatura dell'opera. Esistono dei docu-
menti in cui i deputati dichiarano e spiegano le loro scelte e le modifiche da loro apportate all’opera. Allora i
deputati non potevano sapere che l’hamiltoniano fosse la copia autogr