Storia della lingua italiana
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ESTRATTO DOCUMENTO
PULLUS>pollo (neonatopollo) Ruralizzazione
MACINA>macina (macchinamacina del mulino)
ECUUS>cavallus>cavallo (equinotutti i tipi di cavallo)
CAPTIVUS>cattivo (prigionierocattivo)
(Infatti da CAPTIVUS DIAVOLI>prigioniero del diavolo) Cristianesimo
TRADERE>tradire
(A causa della consegna di Gesù per mano di Giuda ai romani)
Inoltre le prime comunità cristiane parlavano il greco.
Alcuni termini della liturgia di derivazione greca sono: monaco, prete, vescovo, basilica,
chiesa, battesimo, cresima, epifania…
Tra i provenzalismi e francesismi troviamo termini derivati dalla letteratura in lingua d’OC
e d’OIL: caccia, astore, girifalco, sparviero…
Altri gallicismi sono: groppa, galoppo, giostrare, coraggio, cavaliere, arruolare, bigné, ragù,
giacobino, rivoluzione…
Dallo spagnolo e dal portoghese derivano nomi di cibi prima sconosciuti come: ananas,
bambù, cacao, mais, patata…
I germanismi si suddividono in tre gruppi in base al popolo invasore che ha contribuito
all’influenza linguistica:
breve
Goti (489) invasione per cui poca influenza = astio, melma, stecca,
strappare…
lunga
Longobardi (568) invasione per cui grande influenza = vanga, tasso, stinco,
schiena, anca, russare, graffiare, schernire, scherzare, arraffare, grigio, bruno, bianco,
spiedo, sguattero, stamberga,
BELLUM>*werra>guerra
*want>guanto
*wara>guardia
Franchi (VIII)portatori di elementi germanici e paleo-francesi; la spia con cui si
riconoscono termini da loro portati è proprio questa influenza francese nella loro
lingua germanica = schiera, tregua, dardo, feudo, feudo, barone, vassallo,
ORTUS>*gard>jard>giardino
SILVA>bosco
Gli arabi sono stati in Sicilia nel IX-XI secolo e grazie al commercio sono avvenuti dei
contatti culturali anche presso le repubbliche marinare. Inizialmente si insediarono in
Spagna, poi i termini di influenza araba dalla Spagna sono giunti in Italia e la spia che li
contraddistingue è il prefisso AL- algebra, albicocca, algoritmo, alambicco, almanacco,
alchimia… In ambito matematico le cifre arabo-indiane sostituirono quelle greco-romane e
inoltre avvenne così l’inserimento di una nuova cifra lo zero, prima inesistente: è stato
Leonardo Fibonacci nel “Liber Abaci” di inizio ‘200, scritto in latino e poi tradotto in
vogare, a parlare di questo nuovo sistema di numerazione molto vantaggioso per sveltire dei
calcoli ed utile soprattutto ai mercanti. Altri termini di derivazione araba sono: sciroppo,
darsena, arsenale, azzurro, turchese, zucchero, zafferano, carciofo, spinaci, melanzane.
N.B. = curioso il caso di “scarpa”, ritenuta parola di derivazione germanica da
*skarpa intesa come tasca di pelle in cui si infilava il piede; poi ritenuta parola di
derivazione greca da * καρπατινη cioè calzare fatto da un solo pezzo di cuoio da cui
carpattina>scarpattina creduto all’inizio diminutivo poi diventato scarpa; ma a
favore dell’etimo greco nel Decameron è attestato “scarpetta” per dire scarpa,
inoltre Castellani trovò libri di conti (XIII-XIV) in cui è attestata scarpetta per dire
scarpa.
Recentemente sono avvenuti molti prestiti di lessico, non adattati alla fono-morfologia
italiana, con l’inglese, soprattutto termini informatici: mouse, computer, chattare,
software…
Un tempo veniva considerato per lo studio della lingua solo il linguaggio letterario seguendo
il pensiero idealistico crociano, mentre oggi la linguistica presta attenzione al linguaggio
comune-popolare della comunicazione quotidiana perché è dal popolo che sono avvenute
trasformazioni per passaggio dal latino alle lingue romanze.
Pietro Bembo aveva un ideale letterario per cui non dava alcuna importanza alla parlata
popolare e quando prendeva in considerazione il popolo si riferiva strettamente a quello
toscano poiché più vicino alla lingua letteraria presa in considerazione, vale a dire quella
delle 3 corone. Sarà Alessandro Manzoni nell’ ‘800 ad adottare la lingua viva di Firenze
staccandosi dalla tradizione letteraria arcaizzante.
A fine ‘500 Lionardo Salviati ritiene si debba ricavare norme dalla lingua dell’uso solo
quando gli scrittori fanno difetto, ma afferma che gli scrittori del ‘300 rispecchiano la lingua
popolare che è più pura e perfetta del fiorentino contemporaneo.
Nel ‘600 Benedetto Buonamattei afferma che bisogna ricorrere prima alla lingua letteraria e
dopo a quella popolare.
L’interesse verso il popolo inteso come strato sociale di masse umili e di regioni dove i
dialetti sono diversi dal fiorentino avviene con le scienze folcloriche e la dialettologia e nel
periodo post-unitario poiché le persone di provenienza diversa entrano in contratto
attraverso: scuola dell’obbligo, servizio militare obbligatorio, emigrazione, grande guerra…
Alla fine il popolo italiano si ritrovò a utilizzare una lingua unitaria italiana ricca di elementi
dialettali ed errori.
FIGURA DEL NOTAIO E DEL MERCANTE
Notaio = è bilingue perché per istruzione giuridica sapeva e usava il altino ma spesso
doveva trascrivere testimonianze dette in volgare nei testi scritti in latino (es. giuramenti,
testamenti). Molti dei primi documenti in volgare scritti da notai: PLACITO CAPURANO o
i MEMORIALI BOLOGNESI nel 1265 a Bologna vige obbligo di registrare tutti i
contratti privati e nei registri spazi bianchi riempiti, per evitare aggiunte improprie, con
versi, preghiere e proverbi.
Mercante = non conosceva il latino o comunque poco, imparava a leggere, scrivere e far di
conto poi si dedicava alla sua attività pratica scrivendo in volgare libri di conti, libri del dare
e dell’avere, lettere, scritture pratiche, quaderni miscellai, vademecum, libri di famiglia…
Sono stati scritti molti testi mercantili in volgare ma pochi giunti a noi poiché spesso buttati
essendo utili al mercante che li aveva redatti solo per poco tempo e inoltre scritti su
materiale deteriorabile (mentre i notai utilizzavano la pergamena). Di testi antichi in volgare
famosi abbiamo il CONTO NAVALE PISANO e FRAMMENTI DI LIBRI DI CONTI
FIORENTINI del 1211.
Il latino rimase strumento per la lingua scientifica: teologia, filosofia, matematica,
astronomia, geometria, medicina… Nel ‘500 la scienza applicata utilizza il volgare:
architettura, ricette medico-alchemiche dei libri segreti… Ma la scienza a livello
universitario rimase in latino fino al ‘600 quando Galileo Galilei cominciò ad utilizzare a
livelli accademici il volgare.
PRIME GRAMMATICHE ITALIANE
1434-1454 = “GRAMMATICHETTA VATICANA” di Leon Battista Alberti: è la prima
grammatica italiana, il suo progetto era dare una grammatica al volgare.
1516 = “REGOLE GRAMMATICALI DELLA VOLGAR LINGUA” di Giovanni
Francesco Fortunio: è la prima grammatica a stampa dell’italiano.
1525 = “PROSE DELLA VOLGAR LINGUA” di Pietro Bembo: l’ultima parte è dedicata a
una grammatica dell’italiano esposta in forma dialogica.
Nel ‘500 i grammatici usavano come modello per le loro grammatiche opere di Dante,
Petrarca e Boccaccio. Dalla seconda metà del ‘500 fino a inizio ‘600 si affermano le opere
di grammatici toscani che davano importanza alla lingua fiorentina parlata considerando
anche la lingua scritta. La grammatica comincia a svolgere un’azione frenante alla libertà di
scrittura soprattutto dall’ ‘800 con purismo. Le grammatiche del ‘500 vengono consultate
solo da letterati, dal ‘700 cominciano ad essere usate per la pedagogia scolastica,
cominciano ad esistere vocabolari nella prima metà del ‘500, inizialmente di tipo letterario
basato sull’uso di vocaboli nella letteratura trecentesca di Dante, Petrarca e Boccaccio. I più
antichi vocabolari non sono toscani ma nel 1612 esce la prima edizione a Firenze di un
vocabolario molto più esteso e ricco dei precedenti: il Vocabolario degli Accademici della
Crusca che traeva i vocaboli dal corpus di testi eliminando Tasso e limitatamente a proposte
legate al modello linguistico fiorentino arcaizzante.
Manzoni progettò un suo vocabolario basato sul lessico del fiorentino vivo, ma morì prima
di compierlo e fu portato a termine dai due curatori Giorgini e Broglio.
In toscana c’è maggior accettazione del volgare probabilmente per omogeneità con la lingua
scritta letteraria: il potere politico promuove la lingua volgare presso la corte medicea prima
Lorenzo il Magnifico nel ‘400 poi Cosimo I nel ‘500.
Nel resto d’Italia il volgare comincia a fare la sua comparsa nelle cancellerie nel ‘400
(segreterie addette ad affari di stato): presso queste si forma la κοινη` lingua comune; i
cancellieri in genere sono notai, il volgare viene usato anche per corrispondenza ufficiale e
nelle procedure giuridiche, la motivazione principale è la possibilità di comprensione da
parte del popolo che ignorava il latino.
DALLA STAMPA AI MASS-MEDIA
Con la stampa diminuiscono i prezzi dei libri, c’è maggior numero di stampe e acquisti, per
cui avviene una diffusione della lingua. Gli stampatori in Italia all’inizio sono tedeschi poi
veneziani: nel ‘400 Venezia è la capitale della stampa italiana, seguita da Roma, Firenze,
Bologna e Milano. Tra i maggiori stampatori italiani troviamo Aldo Manuzio.
Tra il 1470-1471 vengono stampate le prime edizioni del Decameron e del Canzoniere, nel
1472 la prima edizione della Commedia.
Con la stampa si regolamentano la grafia e la punteggiatura (Aldo Manuzio inveta il
carattere corsivo, Pietro Bembo inventa l’apostrofo).
Coi mass-media come giornali, radio, tv, cinema si diffonde sempre di più la lingua: nel
‘700-‘800 i giornali sono finalizzati ad un pubblico colto (es. Il Caffè e la Biblioteca
Italiana), poi verranno rivolti ad un pubblico più vasto favorendo così l’alfabetizzazione
(assieme alla scuola). I mass-media vengono ritenuti determinanti come mezzi di
divulgazione linguistica da Tullio De Mauro in “Storia linguistica dell’Italia Unita”.
CAPITOLI 4-5: QUANDO NASCE UNA LINGUA: PROBLEMI DEI PRIMI
DOCUMENTI
Il passaggio dal latino alle lingue romanze è avvenuto a livello del parlato nella scrittura il
latino rimase stabile senza trasformazioni finché non cambiò per nuove abitudini o
ignoranza degli scriventi. Ci volle tempo prima che il volgare nato dal latino volgare venisse
usato per scrivere (nel latino medievale ci sono solo dei volgarismi). Il problema principale
era portare nella scrittura una lingua sempre e solo parlata, ad esempio era difficile rendere
in grafia certi suoni o fonemi.
I volgari italiani dal XIII secolo vengono usati da certi scrittori, ma per lo più sono usati in
documenti modesti come carte di uso pratico, atti notarili, graffiti murari, elenchi di conti…
In genere i documenti antichi volgari sono legati tra loro dalla casualità sia nella loro
composizione che nel loro ritrovamento.
Prima dal latino parlato si è passati a latino volgare tra I-V secolo d.C. poi dal V secolo si
parla di lingue romanze; fino al VIII secolo si continua a scrivere in latino.
Nel V secolo con la caduta dell’Impero Romano nei territori sotto l’impero avviene una
frattura tra lingua scritta, il latino, e lingua parlata che poi si evolverà nelle diverse lingue
romanze.
C’è differenza tra diglossia e bilinguismo:
Diglossia = due lingue in posizione gerarchica (lingua scritta sta al di sopra di quella
parlata)
Bilinguismo = due lingue in una comunità linguistica sono di pari livello e si
alternano.
L’anello di congiunzione nella scrittura tra testo latino e testo volgare viene definito:
LATINO CIRCA ROMANCIUM da d’Arco Silvio Avalle o SCRIPTA LATINA RUSTICA
da Francesco Sabatini.
I primi documenti in volgare si collocano tra VIII-IX secolo d.C.
Carlo Magno, re dei Franchi, riunì sotto il suo dominio l’Europa dall’area tedesca alla
Gallia compresa l’Italia: definito sacro romano impero plurilinguistico (comprendendo
lingua tedesca, neolatina di area Gallo-romanza, francese, provenzale e volgari italiani).
Carlo Magno attuò una riforma scolastica per arginare la scorrettezza del latino, soprattutto
nel francese dove il latino veniva detto merovingio. L’artefice fu Arquino di York per il
modello di correttezza del altino anglosassone, immune dalla contaminazione delle lingue
romanze. Roncaglia afferma che il risollevamento del latino attutato da Carlo Magno
distanzia dalla lingua parlata corrente. La distanza tra latino e parlato anglo-tedesco
necessita di una traduzione, cosa che fu attuata anche in Francia e in Italia.
Nella 17esima deliberazione del concilio di Tours nel 813 fatta da Carlo Magno secondo cui
i vescovi devono fare omelie traducendo dal latino in rustica romana lingua e tedesco, per
facilitarne la comprensione.
GIURAMENTI DI STRASBURGO
Il primo documento in lingua volgare francese risale all’ 842 riportato dalla “Historia”
scritta in latina di Nitardo: Ludovico il germanico e Carlo il calvo, nipoti di Carlo Magno, i
quali di fronte ai loro eserciti giurarono alleanza contro il fratello Lotario l’uno nella lingua
dell’altro di modo che i corrispettivi eserciti comprendessero Ludovico sovrano del
territorio in lingua tedesca giurò in lingua Gallo-romanza, Carlo sovrano del territorio in
lingua Gallo-romanza giurò in lingua tedesca; i giuramenti sono riportati da Nitardo in
antico francese e antico tedesco.
Anche i più antichi documenti provenzali sono dei giuramenti di fedeltà.
PRIMI DOCUMENTI VOLGARI ITALIANI
Placito Capuano: 960, detto anche “atto di nascita dell’italiano”, si tratta di un giuramento
che riguarda una controversia giudiziaria locale tra l’abate di Monteccasino e un privato di
Capua che rivendicava la proprietà su delle terre usate a suo dire abusivamente dal
monastero, mentre l’abate rivendicava il diritto all’usucapione secondo cui dopo 30 anni di
utilizzo le terre appartenevano al monastero. Il verbale del processo viene scritto in latino
(di norma anche se i testimoni parlavano in volgare il notaio verbalizzava traducendo tutto
in latino) e qui la frase ripetuta dal giudice e da 3 testimoni giurando sui vangeli è stata
riportata in volgare. Le parti in latino sono in latino sgrammaticato tipico dei notai. La netta
separazione nel teso tra parti in latino e parti in volgare fa presupporre la consapevolezza
dello scrivente di usare due lingue differenti attestando così il riconoscimento del volgare
come lingua scritta. Conservato all’Abbazia di Montecassino e studiato nel ‘900.
N.B.= Somiglianze con giuramenti di Strasburgo:
Volgare usato per comprensione dell’uditorio
Giuramenti di valore giuridico
Le formule in volgare spiccano all’interno di un testo latino
Differenze con giuramenti di Strasburgo:
“Historia” di Nitardo è una testimonianza in un testo posteriore di circa un secolo
all’evento mentre il verbale è una testimonianza diretta all’evento
Giuramenti di Strasburgo avvengono tra sovrani mentre il Placito Capuano e di
livello inferiore
Placiti Campani di Sessa e Teano: 963, sono simili tra loro nelle formule volgari e
nell’impostazione, per questo Silvio Pellegrini pensa si tratti di processi fittizi redatti con
verbali scritti per volontà fondiaria ecclesiastica al fine di consolidare il possesso di terre da
parte della Chiesa avendo delle dichiarazione giuridiche scritte
Indovinello Veronese: VIII-IX, è scritto da mano veronese su un codice liturgico sul retro
della terza carta per provare la penna. L’argomento è un parallelismo tra un agricoltore che
con un aratro solca la terra e uno scrittore che con la penna solca il foglio. Rinvenuto su
codice scritto in latino realizzato in Spagna e giunto a Verona, conservato presso la
biblioteca Capitolare, scoperto da Schiapparelli nel 1924, il quale lo ritiene un canto di
bifolchi, ma poi Vincenzo Bartholomaeis grazie ad un’allieva scopre trattarsi di un
indovinello simile al ritmo di Verona.
N.B. = non è considerato il primo documento volgare italiano pur essendo anteriore al
Placito Capuano perché resta incerta la coscienza o meno dello scrivente di usare una
lingua diversa tra volgare e latino si tratterebbe infatti di 2 mani veronesi differenti, una
che ha scritto la parte in latino e un’altra quella in volgare.
Graffito della catacomba di Commodilla: VI-VII o IX, la datazione è incerta per fattori
paleografici l’utilizzo di caratteri capitali romani e lettere onciali sono tratti tipici tra IV-IX,
per fattori contenutistici il fatto di “non dire le orazioni segrete a voce alta” sarebbe
un’usanza in voga dal VIII per via di riforma ecclesiastica, per fattori archeologici l’affresco
su cui è fatto il graffito risale al VI-VII (postquem) mentre la cappella è stata abbandonata
nel IX (antequem) e quindi il graffito deve essere stato fatto tra questi due periodi. Si trova a
Roma, è anonimo, situato su affresco murario presso cappella sotterranea della catacomba di
Commodilla in cui furono seppelliti due santi. Scoperta nel 1720, successivamente franata e
resa nuovamente accessibile consentendone lo studio da parte di Sabatini negli anni ’90 del
‘900.
Iscrizione della Basilica di S. Clemente: l’iscrizione rientra nel progetto di un affresco che
rappresenta un patrizio romano che ordina ai suoi servi di legare S. Clemente, ma questi si
ritrovano a dover trascinare una pesante colonna. Il dipinto è accompagnato da delle
didascalie in volgare riportanti le parole dei personaggi mentre in latino c’è commento di
giudizio morale che dice “per la durezza dei vostri cuori avete meritato di trascinare delle
pietre”. E’ certa la coscienza dello scrivente della differenza tra latino e volgare. Si trova a
Roma, la datazione è incerta il muro su cui è stato fatto l’affresco risale al restauro della
basilica nel 1084 consacrata sopra quella più antica nel 1128, per cui l’affresco e quindi
l’iscrizione deve risalire tra queste due date verso fine XI.
Glossario di Monza: X, elenco di circa 60 lemmi dove accanto a voce latino-romanza è
scritta quella greco-bizantina. Conservato nell’ultima carta di un codice presso la biblioteca
comunale di Monza.
Postilla Amiatina: 1087, due coniugi donarono i loro beni all’abbazia di S. Salvatore di
Montamiata. Il notaio scrisse l’atto in latino poi aggiunse la postilla in volgare. La
pergamena è conservata nell’archivio di stato di Siena.
Carta Osimana: 1151, documento notarile con cui il vescovo dona ad abate chiesa di S.
Maria in Selva presso Macerata. Il testo è in latino in cui affiora il volgare per slittamento di
codice di comunicazione da elevato a più spontaneo e familiare. Conservato a Roma
nell’archivio di stato.
Carta Fabrianese: 1186, documento dove un nobile si accorda con monastero di S. Vittore
delle Chiuse per la partizione di alcuni possedimenti. Il testo è latino in cui subentra il
volgare. La pergamena è conservata presso l’archivio comunale di Fabriano.
Carta Picena: 1193, documento di vendita di terre con parte in volgare dove si dice che la
terra ceduta era un pegno per garantire la restituzione di un prestito. Conservato a Roma nel
fondo dell’Abbazia di Chiaravalle di Fiastra.
Tesimonianze di Travale: 1158, il giudice raccoglie testimonianze di 6 uomini di Travale
circa l’appartenenza di alcuni casali e nella sintesi di ciò che hanno detto i testimoni affiora
il volgare con cui sono state riportate le parole del testimoni nel mezzo del testo latino. Sono
due pergamene conservate nell’archivio vescovile di Volterra.
Dichiarazione di Paxia: 1178-1182, la vedova Paxia dichiara la consistenza dei beni del
marito defunto e dei debiti da pagare, il testo inizia in latino poi è in volgare.conservato
nell’archivio di stato di Savona.
Carta del giudice Torchitorio: 1070-1080, conservato nell’archivio arcivescovile di
Cagliari. E’ documento sardo.
Privilegio emesso dal giudice di Torres: 1080-1085, a favore di mercanti pisani su
richiesta del vescovo di Pisa. Conservato nell’archivio di stato di Pisa. E’ documento sardo.
Formula di confessione umbra: 1037-1080, proveniente da Monastero di Sant’Eutizio
presso Norcia, il testo è una formula di confessione che il penitente doveva recitare o
leggere in volgare per la remissione dei peccati. Scoperta nel 1880 in un codice della
biblioteca vaticelliana di Roma.
Sermoni subalpini: raccolta di prediche in volgare piemontese, alcune parti sono in latino,
in totale sono 21 testi. Conservati in un codice pergamenaceo della biblioteca nazionale di
Torino.
Conto Navale Pisano: XI-XII, nel XII fu tagliato e parzialmente cancellato per riutilizzare
la pergamena nella rilegatura di un nuovo codice. Contiene elenco di spese navali o
riepilogo di spese sostenute per l’armamento di una squadra navale. Scoperto in America in
un codice di proprietà della Free Library di Philadelphia da Ignazio Baldelli.
Frammenti di libro di conti di banchieri fiorentini: 1211, è il più antico testo volgare
fiorentino. Conservato in un codice della biblioteca Laurenziana di Firenze.
PRIMI DOCUMENTI LETTERARI IN VOLGARE
I ritmi sono la più antica testimonianza di uso letterario del volgare. Provengono dalla
cultura giullaresca, poesia popolare con protagonista il giullare, composizioni autonome
tramandate oralmente dove al testo recitato si affiancava una rappresentazione scenica. E’
una fortuna averne documentazione scritta in codici religiosi o notarili per riempire gli spazi
bianchi.
Ritmo Laurenziano: XIII, è il ritmo più antico dove un giullare elogia il vescovo
Grimaldesco per farsi regalare un cavallo, essendo il nome del vescovo negli annali di quel
periodo ed essendo questo vescovo di Volterra è probabile che la provenienza del ritmo sia
Volterra. Conservato nella biblioteca Laurenziana di Firenze (anche se non è fiorentino).
Ritmo Cassinese: XII.
Ritmo su Sant’Alessio: XIII.
Ritmo Bellunese: 1193-1196.
LA SCUOLA POETICA SICILIANA
Nel XIII secolo si forma la scuola poetica siciliana presso la corte di Federico II, il quale
raduna intellettuali di diverse lingue, siciliani e toscani, come Pier de la Vigne, Giacomino
Pugliese, Giacomo da Lentini inventore del sonetto.
La scuola poetica siciliana nasce dall’esperienza poetica provenzale: infatti la scuola di
trovatori attiva nel XII è interrotta nel XIII dalla crociata contro gli Albigesi condotta dal
papa Innocenzo III. Con essa termina la vita di corte in Provenza, avviene la diaspora dei
trovatori provenzali che vengono accolti nelle corti e città dell’Italia settentrionale. Il
contatto diretto fa acquisire la lingua d’Oc che viene imitata e i motivi tematici dell’amor
cortese, della donna e dei cavalieri vengono ripresi (ad esempio Sordello da Goita e
Lanfranco Cigala sono italiani che scrivono in provenzale). Nell’Italia meridionale i motivi
provenzali dei trovatori vengono trasferiti nel volgare siciliano, ed è così che nasce la scuola
poetica siciliana.
Delle poesie siciliane non abbiamo autografi ma sono tramandate da delle copie di copisti
toscani che non appartengono al periodo in cui quelle poesie sono state scritte, ma sono
posteriori cronologicamente oltre che lontani geograficamente. Per cui le poesie sono state
contaminate linguisticamente in quanto trascritte da toscani che modificano il vocalismo
siciliano per rendere la lingua più vicina alla loro.
Ci sono 3 codici che trasmettono la lirica delle origini:
PALATINO 217 fine XIII. Questi codici trasmettono copie di
VATICANO ALTINO 3793 inizio XIV. poesie siciliane ma anche nuovi
LAURENZIANO REDIANO 9 fine XIII. componimenti dei siculo-toscani.
Codice Barbieri: il copista Barbiere resta fedele al testo originale, nel ‘500 viene copiata da
un libro siciliano la canzone di Stefano Protonotaro “Pir meu cori alligrari”.
Laurenziano rediano 9: il copista in questo caso ha modificato l’originale. La canzone è di
Stefano Protonotaro “Assai credetti celare”. Gli elementi toscani sono diversi e la spia è che
la rima in provenzale era perfetta mentre nelle poesie siciliane copiate dai toscani è
imperfetta all’inizio si pensava che la rima imperfetta fosse caratteristica siciliana ma poi
si è capito che i copisti toscani tendendo a modificare il vocalismo da siciliano a quello
toscano e quindi italiano rendevano la rima da perfetta ad imperfetta.
Carta ravennate notarile: su una facciata ha la canzone “Quando eu stava in le tu catene”
con versi sciolti isolati accompagnata da una notazione musicale (come la poesie provenzale
era accompagnata dalla musica). Questa ci mostra che anche nell’Italia settentrionale ci
sono stati tentativi di imitazione della poesia provenzale in lingua volgare. La veste
linguistica pare coerente all’antica lingua ravennate. Scoperta a Ravenna nel 2000 e lì
conservata. è stata studiata da Alfredo Stussi anche se la canzone era stata ritrovata già in
precedenza da Augusto Campana, poi morto dopo la guerra avendo prima parlato a
qualcuno della sua scoperta ma senza rivelarne il luogo. Stussi riuscì a ritrovare la canzone
tra le carte dell’archivio capitolare di Ravenna.
Giacomo da Lentini è stato l’inventore del sonetto, formato da due quartine e due terzine:
secondo lo studioso olandese Potter il sonetto non sarebbe altro che la trasposizione in
forma metrica dei problemi matematici circa la misurazione del cerchio (rapporto tra
circonferenza e raggio = π = 3,14…), poiché il sonetto è composta da endecasillabi (14 versi
ciascuno formato da 11 sillabe) ma nei manoscritti antichi per scarsità di materiale scrittorio
venivano scritti 2 versi per rigo, per cui 7 righi, 22 sillabe per rigo 22:7 = 3,14.
CAPITOLO 6-7: IL DUECENTO E IL TRECENTO
Morto Federico II di Svevia nel 1250 viene meno la scuola poetica siciliana, la cui eredità
passò in toscana e a Bologna con i poeti siculo-toscani e poi gli stilnovisti.
Un esempio di poesia religiosa è il “Cantico di frate Sole” di S. Francesco del 1223-1224,
scritto in volgare con tratti umbri. Altra forma di poesia religiosa sono le laudi religiose.
Nel XI-XII tra Pisa e Lucca si afferma la poesia siculo-toscana con Galiziani, Martelli,
Bonagiunta Orbicciani da Lucca, Inghilfredi, Guittone d’Arezzo… a Firenze tra 1260-1280
troviamo Chiaro Davanzati, Monte Andrea, Neri de Visdomini, Rustico Filippi… Lo stile
dei poeti siculo-toscani resta quello dei poeti siciliani, la metrica usata è il sonetto e sono
presenti sicilianismo che poi passeranno agli stilnovisti.
Dante Alighieri: nato nel 1265 a Firenze e morto nel 1321 a Ravenna per
approfondimenti studiare il libro “LA LINGUA DI DANTE” di Paola Manni.
N.B. = nel 1252 avviene la coniazione del primo fiorino d’oro.
Francesco Petrarca: nato nel 1304 ad Arezzo e morto ad Arquà nel 1374. La sua
caratteristica è il linguaggio poetico basato sulla selettività, la sua opera in volgare è ridotta
rispetto a quella in latino. Il Canzoniere anche detto “Rerum Vulgarium Fragmenta”
sottolinea la maggiore familiarità con il latino, lingua in cui scrive le postille alla sua opera
visibili nel codice Vaticano Latino 3196.
Giovanni Boccaccio: nato nel 1313 a Certalo e morto a Certaldo nel 1375. Scrive il
Decameron di cui abbiamo l’autografo nel codice Hamilton 90 a Berlino: le novelle hanno
narrazioni e contesti sociali vari, voci con elementi diversi dal fiorentino, vivacità del
dialogo con elementi popolari e il suo stile è caratterizzato dall’ipotassi.
Boccaccio è autore anche di “Epistola napoletana” del 1339: si tratta di uno dei testi più
antichi in volgare napoletano anche se per mano di un fiorentino. Esempio di letteratura
dialettale riflessa, c’è un uso volontario di un volgare diverso dal proprio in tono scherzoso
rivolto all’amico fiorentino Francesco de Bardi: la lingua napoletana viene marcata in senso
comico imitata a orecchio dal parlato vivo riportando tratti linguistici napoletani anche con
ipercorrettismi. CAPITOLO 8: IL QUATTROCENTO
Il ‘400 è il secolo dell’umanesimo il cui iniziatore è stato Petrarca che nello scrivere in latini
si ispira ad autori classici imitandoli; anche Boccaccio partecipa all’umanesimo soprattutto
nell’ambito dell’umanesimo fiorentino si rivolge al recupero del patrimonio della grecità:
nel 1360 istituisce la prima cattedra di insegnamento del greco a Firenze assegnandola a
Leonzio Pilato.
La svolta umanistica porta a privilegiare il altino con conseguente crisi del volgare, che
viene ignorato dai dotti e relegato all’uso pratico: Coluccio Salutati afferma che Dante
avrebbe dato più lustro alla Commedia se l’avesse scritta in latino, Niccolò Niccoli afferma
che Dante dovrebbe essere rimosso dalla schiera dei letterati mentre Leonardo Bruni
celebra Dante indipendentemente dalla lingua in cui scrive poiché ritiene che non ci sia
differenza tra lo scrivere in latino o in volgare, ciò che conta è la qualità.
Il latino viene infatti preferito dai dotti poiché è la lingua più nobile, quella della tradizione
e che garantisce l’immortalità letteraria.
Il volgare lo si continua a usare ma a livello basso e pratico, cosa non del tutto negativa
poiché lo lascia più libero di manifestarsi e di assestarsi nelle sue strutture, avvicinandosi
molto all’oralità e alle forme colloquiali. Assume caratteri nuovi rispetto al ‘300 soprattutto
nel ‘400 il volgare fiorentino e toscano che subisce forti modifiche, in particolare per motivi
storici: la peste di metà ‘300 che decimò la popolazione, i movimenti migratori dalla
campagna alla città (per cui il fiorentino assume caratteri rustici) e l’espansione territoriale
di Firenze avviata già nel ‘300.
Firenze ha una supremazia economica e vuole formare uno stato territoriale: conquista
Prato, Pistoia, S. Gimignano, nel corso del ‘400 Pisa (la cui decadenza comincia con la
sconfitta nella battaglia della Meloria del 1284) e Arezzo. L’espansione si concentra
maggiormente verso occidente per ottenere lo sbocco sul mare e questo spiega gli influssi
occidentali col Pisano, Lucchese, Pistoiese, Pratese nel Fiorentino.
Firenze arriva a conquistare tutta la regione nel ‘400 tranne Siena nel 1555 e Lucca mai
conquistata.
Pietro Bembo afferma che essere nati fiorentini non è un vantaggio perché ritenendo di
sapere la lingua non la studiano mentre dovrebbero avendo il fiorentino subito dei
mutamenti.
LEON BATTISTA ALBERTI
Ha piena fiducia nel volgare: già Dante lo aveva preceduto nel “De Vulgari Eloquentia”
trattato però ignoto nel ‘400. E’ un umanista, letterato, architetto, matematico, pittore, scrive
trattati come “De Pictura” sia in latino sia in volgare. Elabora un programma di promozione
del volgare in poesia e prosa. Riconosce che anche il volgare è una lingua degna come il
latino purché sia curata e utilizzata allo stesso modo. Si inserisce in discussioni riguardo
l’origine del volgare, in particolare vi erano due posizioni che si scontravano sulla domanda
“quale lingua parlavano gli antichi romani?”, quella di Leonardo Bruni e di Biondo Flavio.
Leon Battista Alberti attribuisce la causa di perdita della lingua latina ai barbari che
avrebbero introdotto barbarismi nel linguaggio corrompendolo. Lui utilizza con disinvoltura
il latino e il volgare imitando tratti della lingua toscana. Lui è nato a Genova ma poi tornato
a Firenze, città della famiglia. Inoltre per lui la prosa trecentesca non era un esempio da
imitare.
Ha scritto la “Grammatica della lingua toscana” o “Grammatichetta Vaticana”: realizza la
prima grammatica della lingua italiana tramandata dal codice apografo scritto per Pietro
Bembo conservato alla biblioteca vaticana. Nella premessa chiarisce il collegamento con
dispute umanistiche polemizzando contro quelli che ritenevano che la lingua altina fosse
adatta solo ai dotti: per lui il latino è una lingua comune a tutti i romani e così deve essere
anche il volgare a cui vuole dare una struttura grammaticale ordinata come esiste per il
altino. Purtroppo non ebbe successo. Non c’era scritto l’autore ma viene attribuita ad Alberti
da Grayson nel ‘900.
Realizza anche il “Certame Coronario”, 1441: gara poetica dove i concorrenti si affrontano
con componimenti in volgare, ma la giuria di umanisti non assegnò il premio facendo fallire
l’iniziativa. Alla giuria fu indirizzata una protesta attribuita ad Alberti dove si dice che gli
avversari del volgare ritenevano indegno che una lingua come l’italiano voleva gareggiare
con il latino.
UMANESIMO VOLGARE ALLA CORTE DI LORENZO IL MAGNIFICO
Lorenzo dei Medici realizza delle composizioni ed opere in volgare prospettando uno
sviluppo futuro del fiorentino avendo la concezione patriottica con cui affermare la potenza
dello stato mediceo. Nel 1477 invia a Federico, figlio del re di Napoli Ferdinando, una
raccolta di poesie della tradizione volgare letteraria, dai predanteschi, compresi gli
stilnovisti, fino a lui: “Raccolta Aragonese”.
Presso la sua corte a Firenze ci sono due umanisti aperti al volgare:
Cristoforo Landino = cultore della poesia di Dante e Petrarca introduce la lettura di
questi nella città universitaria, nega l’inferiorità del volgare rispetto al latino e invita
concittadini di Firenze a darsi da fare perché la città ottenga il principato della lingua.
Traduce in volgare il “Naturalis Historia” di Plinio, cosa difficile dato l’argomento
scientifico-enciclopedico dell’opera latina e traducendo diede spazio a voci toscane
popolari. Landino avvertiva la necessità che il fiorentino si arricchisse con l’apporto
del greco e del latino.
Poliziano = autore dell’epistola che accompagnava la “Raccolta Aragonese” dove è
presente un elogio della lingua volgare fiorentina e di quella letteratura elogiando
Dante e Petrarca.
LA LINGUA DI ΚΟΙΝΗ` E LE CANCELLERIE
La prosa doveva estendersi a settori extra-letterari: impiego privato e familiare,
cancelleresco, scientifico… si forma una varietà di lingue scritte attestate da documenti
dell’epoca. Nel ‘400 c’è la tendenza al conguaglio eliminando i tratti più vistosamente locali
verso una forma di lingua comune detta la lingua di κοινη΄, con un’eliminazione di parte dei
tratti locali, accogliendo latinismi e appoggiandosi al toscano.
Ciò fu rafforzato dall’uso del volgare presso le cancellerie al fine di comprendersi tra loro: i
cortigiani spesso si muovevano da una corte all’altra, venivano scritte lettere dei
rappresentanti diplomatici dei vari principati in cui si tentava l’utilizzo di un volgare
comune a tutti come strumento neutro usabile ovunque. Avviene l’uso della lingua di κοινη΄
nell’ambito tecnico-scientifico soprattutto nel ‘400-‘500.
Il volgare toscano acquista prestigio da metà ‘300 con un successo fuori dalla Toscana della
Commedia di Dante e del Canzoniere di Petrarca.
CAPITOLO 9: IL CINQUECENTO
E’ un secolo in cui c’è piena fiducia nel volgare. Pietro Bembo pubblica “Prose della
volgare lingua” nel 1525. E’ un veneziano ma ufficializza il primato del fiorentino su basi
teoriche incentrate sulla lingua trecentesca delle 3 corone, anche se predilige Petrarca per la
poesia e Boccaccio per la prosa (come nel latino emergono rispettivamente Virgilio e
Cicerone). Verso Dante ha delle riserve, lo ritiene troppo scurrile nel lessico soprattutto nella
cantica dell’Inferno della Commedia.
A metà ‘500 tramonta la scrittura di κοινη΄ e si stabilisce la supremazia del fiorentino come
lingua letteraria.
Il volgare viene usato per opere di divulgazione come nelle arti applicate, nella letteratura,
nella storiografia (Macchiavelli e Guicciardini), nella scienza (Galileo Galilei). I libri in
volgare vengono stampati soprattutto a Venezia poi a Firenze, mentre a Roma vige ancora
l’egemonia del latino nella produzione libraria, essendo la lingua della chiesa.
LA QUESTIONE DELLA LINGUA (‘500)
Ci sono tre posizioni diverse al riguardo della questione della lingua:
Pietro Bembo Tesi Arcaizzante = “Prose della volgar lingua”, 1525. Il
manoscritto è conservato alla biblioteca vaticana di Roma, la parte finale contiene
una grammatica dell’italiano in forma di un dialogo fittizio dove vengono esposte
norme e regole. Adotta il punto di vista di Biondo Flavio secondo cui il volgare è
nato dalla contaminazione del latino per mano delle invasioni barbariche e poi si
sarebbe formato l’italiano. La lingua volgare di cui Bembo parla è il fiorentino, ma
non quello parlato del ‘500, quello letterario trecentesco.
Baldassar Castiglione Tesi Cortigiana = “Cortegiano”, 1528. Nell’opera l’autore
afferma di preferire attingere all’uso vivo dell’ambiente della corte, ma c’era il
difetto della lingua non omogenea.
Giovan Giorgio Trissino Tesi Italiana = “Castellano”, 1529. Pubblicato lo stesso
anno in cui Trissino aveva scoperto il trattato dantesco “De Vulgari Eloquentia” e lo
dette alle stampe tradotto in volgare. Nella sua opera negava la superiorità del
fiorentino poiché Dante stesso nel trattato disprezza il fiorentino. Inoltre Trissino
proponeva una lingua popolare eclettica che attingesse ai vari volgari italiani. La tesi
era basata sul fatto che Trissino non rese mai pubblico il trattato in latino stampatoa
Parigi solo nel 1577.
Ma ci sono state delle reazioni alla tesi di Trissino:
Macchiavelli = scrive “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua” dove
immagina un dialogo fra lui e Dante in cui Dante ammette l’errore riguardo a ciò
che ha scritto nel trattato latino sui fiorentini ammettendo di aver lui stesso usato
il dialetto fiorentino nelle sue opere. Trissino diceva che Dante utilizzava più
dialetti, non solo il fiorentino, ma Macchiavelli afferma che quello che fa una
lingua sono “pronunzia e circustanze”, cioè l’aspetto fonologico e morfologico,
non il lessico.
Ludovico Martelli = scrive un intervento in cui dice che il “De Vulgari
Eloquentia” non è di Dante, facendo cadere la tesi di Trissino.
POLEMICA SULL’AUTENTICITA’ DEL “DE VULGARI ELOQUENTIA”
Ciò fu reso più avvalorato dal fatto che Trissino non rese pubblico il trattato latino nel suo
testo originale; inoltre i fiorentinisti come Martelli, Gelli, Varchi dubitano sia perché a loro
risultava scomodo che Dante avesse espresso un giudizio negativo sia perché c’erano delle
contraddizione tra le idee espresse da Dante nella Commedia, nel Convivio e nel De Vulgari
Eloquentia i fiorentinisti mirano a togliere a Dante la paternità del trattato latino.
Benedetto Varchi è autore dell’ “Hercolano”, 1570. Riuscì a introdurre la tesi bembiana
nella città che gli era più avversa, Firenze. Fece una rilettura di Bembo tradendo le
fondamenta della sua tesi basata sul fiorentino trecentesco, ma rimise in gioco il fiorentino
vivo, riscoprì il parlato. Per Varchi la pluralità dei linguaggi dovuta alla naturale tendenza
alla varietà della natura umana: lui classificava le lingue in base alla provenienza, al
patrimonio culturale e letterario, se sono vive o morte, alla comprensibilità.
N.B. = Varchi diede rilievo alla lingua parlata a Firenze, scrisse liste di espressioni
proverbiali per esaltarne la ricchezza.
STABILIZZAZIONE DELLA NORMA LINGUISTICA
1516 = “REGOLE GRAMMATICALI DELLA VOLGAR LINGUA” di Giovan Francesco
Fortunio la prima grammatica stampata della lingua italiana basata sui modelli degli
scrittori trecenteschi.
1550 = “OSSERVAZIONI NELLA VOLGAR LINGUA” di Ludovico Dolce.
1552 = “DE LA LINGUA CHE SI PARLA E CHE SI SCRIVE A FIRENZE” di Giambullari
con la prefazione di Gelli unica grammatica fiorentina.
1526 = “LE TRE FONTANE” di Niccolò Liburnio lessico tratta dalle opere delle 3
corone.
N.B. = si scrivono molti lessici dedicati a uno o più autori (sono gli antenati dei
vocabolari).
1548 = “LA FABRICA DEL MONDO” di Francesco Alunno di Ferrara vocabolario con
indice alfabetico.
N.B. = il sodalizio tra Pietro Bembo e Aldo Manuzio porta alla pubblicazione delle prime
edizioni del Canzoniere e della Commedia.
ACCADEMIA FIORENTINA
Fondata nel 1542, diventa l’organismo ufficiale grazie al duca di Toscana Cosimo I dei
Medici, ma non riuscì a realizzare una grammatica ufficiale Toscana. Dell’Accademia
facevano parte anche Varchi, Gelli e Giambullari.
ACCADEMIA DELLA CRUSCA
L’annodi fondazione viene considerato il 1582 con l’ingresso di Lionardo Salviati.
Formatasi come costola indipendente dall’Accademia fiorentina era costituita da accademici
che si riunivano per motivi conviviali, orazioni scherzose affiancate a discussioni letterarie:
i membri si facevano chiamare Crusconi.
Nel periodo della Controriforma il Decameron è un libro messo all’indice per il contenuto
scabroso, ma Boccaccio era ritenuto una delle autorità della lingua italiana per cui serviva
una edizione purgata dell’opera: Cosimo I incaricò dapprima Vincenzo Borghini poi
Salviati, che dopo ciò avendo studiato a fondo il Decameron decise di riunire tutto ciò che
aveva appreso nella sua opera “Avvenimenti della lingua sopra ’l Decameron”, con
osservazioni linguistiche e filologiche. Salviati sancì il punto di arrivo della questione della
lingua, stabilendo la supremazia del fiorentino del ‘300, come Bembo, ma includendo gli
autori minori. Fornì così il canone di testi su cui verrà fatto il Vocabolario degli Accademici
della Crusca del 1612, ma lui morirà nel 1589.
I membri dell’Accademia partecipavano alla polemica tra gli ammiratori di Tasso e di
Ariosto: Salviati polemizzava contro la Gerusalemme Liberata di Tasso, a favore invece
dell’Ariosto. Il motivo era che Tasso aveva preso le distanze dai dialetti con il primato della
lingua Toscana ma non riconosceva la supremazia del fiorentino.
Per i Cruscanti l’uso eccessivo di paratassi lo rendeva più difficile da comprendere rispetto
all’Ariosto, con troppi latinismi e parole lombarde. Salviati era contro Tasso perché non
sopportava che un tale genio riconosciuto nel mondo a livello letterario non fosse di Firenze
e non ne riconoscesse il primato: Tasso proponeva la distinzione tra fiorentino antico e
moderno, contestava che i fiorentini potessero essere in ambito letterario i migliori giudici
di altri e non riconosceva il naturale dominio del fiorentino; inoltre diceva che la lingua di
Dante fosse stata più fiorentina ma meno poetica e quella di Petrarca viceversa.
LINGUAGGIO SCIENTIFICO
Galileo Galilei scelse il volgare per contenuti teorici e tecnico-scientifici. Sapeva che il
volgare gli causava una limitazione della circolazione delle sue opere a livello
internazionale, soprattutto con gli altri scienziati europei.
LA CHIESA E IL VOLGARE
La lingua ufficiale della chiesa restò il latino, ma al Concilio di Trento si dibatté sulla
legittimità o meno delle traduzioni della Bibbia: alla fine vinse la contrarietà alla traduzione
in volgare perché c’era il rischio che il contatto diretto tra testo sacro e fedele senza il
sacerdote da intermediario causasse delle interpretazioni sbagliate, tali da sfociare in eresie.
Per quanto riguardava la lingua con cui celebrare la messa si discusse sul fatto che il altino
garantiva omogeneità internazionale nel messaggio della chiesa ma i sacerdoti dovevano
svolgere la predica in volgare durante la messa che per il resto continuava ad essere fatta in
latino. CAPITOLO 10: IL SEICENTO
VOCABOLARIO DEGLI ACCADEMICI DELLA CRUSCA
1°. 1612: per stampare la prima edizione gli accademici dovettero autofinanziarsi.
Nel 1610 il segretario Bastiano de' Rossi viene mandato a controllare la
stampa e a fare quindi le ultime correzioni su approvazione dell’Accademia;
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher MARGRO171097 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della lingua italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Firenze - Unifi o del prof Manni Paola.
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