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Sigieri di Bradante & Boezio di Dacia 1
Le dottrine di Alberto Magno diventano un punto di riferimento all’interno dell’Ordine
domenicano, ma anche nella facoltà delle Arti, dove diviene sempre più centrale il tema
della distinzione dei relativi ambiti tra filosofia e teologia. È sulla base di tale
distinzione che alcuni maestri cominciano a rivendiacare orgogliosamente il proprio ruola,
quello di essere dei “filosofi di professione”. Lo sviluppo di questa consapevolezza è
percepibile in un gruppo piuttosto ampio di maestri, che comprende Giacomo di Douai,
Giacomo da Pistoia, Alberico di Reims, e che potrebbe essere anche più numeroso. I
due rappresentanti più noti di questa tendenza sono Sigieri di Bradante e Boezio di
Dacia. Per Sigieri e Boezio la filosofia è un sapere autonomo, che non può essere
ritenuto funzionale a esigenze esterna ad essa e rimodellato sulla base di queste. Ciò che
distingue la filosofia dagli altri saperi è l’adozione di un procedimento razionale. Non si può
essere ritenuto funzionale a esigenze esterne ad essa e rimodellato sulla base di queste.
Ciò che distingue la filosofia dagli altri saperi è l’adozione di un procedimento razionale; non
si può pretendere dai filosofi che essi si limitino semplicemente a risolvere le loro questioni
nel senso indicativo dalla rivelazione. Può accadere che talvolta le sue conclusioni possano
essere o almeno apparire in contrasto con quelle della rivelazione. Uno di questi casi è dato
dal problema dell’unicità dell’intelletto. Nelle sue Questioni sull’anima Sigieri difende
la posizione averroista: ragionando in termini rigorosamente aristotelici, una molteplicità di
individui è infatti possibile solo dove c’è materia, e questo non è il caso dell’intelletto, che
non potrà che essere unico; se in effetti gli intelletti potenziali fossero molteplici, sarebbero
forme materiali, e dunque potenze corporee. Nelle più tarde Questioni sul Liber de causis
Sigieri sembra fare un passo indietro, e ammettere l’esistenza di intelletti individuali:
questo ripensamento potrebbe essere stato determinato dal due scontro con Tommaso
d’Aquino, ma anche dal fatto che Sigieri stesso sembra in generale ritenere che là dove la
ragione rimane nel dubbio, è preferibile affidarsi a ciò che insegna la fede. In altri
termini, il fatto che il filosofo debba procedere sempre secondo ragione non vuol dire che
sia sempre possibile trovare una spiegazione razionale di tutto. La fiducia dei maestri delle
Arti nella filosofia non cade mai in una forma di dogmatismo, anche perché la ricerca
razionale di fonda sul dubbio e si nustre di essa. Un caso più emblematico di possibile
conflitto tra le verità di fede e la filosofia è quello relativo all’eternità del mondo, perché
ad essere in gioco non è qui solo la posizione di Averroè, ma quella dello stesso Aristotele.
Boezio di Dacia dedica alla questione un importante opuscolo (Sull’eternità del mondo) in
cui sostiene che il filosofo è tenuto a dire che il mondo è eterno e non è stato creato nel
tempo, mentre per fede si deve tenere il contrario. Il filosofo non può in effetti che far
riferimento ai principi naturali, ma ciò non impedisce che si possa invece pervenire a
conclusioni diverse. Boezio e i maestri delle Arti vicini alle sue posizioni hanno sostenuto la
cosiddetta “dottrine della doppia verità”, hanno ammesso cioè che, introno a un medesimo
problema, una determinata conclusione possa essere vera secondo la filosofia, e un’altra
vera secondo la fede.
Ogni scienza muove da principi che sono propri soltanto i essa. Tutto ciò che si ricava da
determinati principi vale dunque in riferimento a quei principi. Ora, il filosofo deve attenersi
ai principi naturali che può cogliere con la sua ragione, e ha il diritto-dovere di non
sporgersi al di là di essi.
I principi da cui muove il filosofo proiettano un cono che
comprende tutte le conclusioni che si possono trarre da essi,
e il filofoso non potrà e non dovrà sporgersi al di là di queste
conslusioni, di questo cono. Ma immaginiamo che qualcuno
muova da un punto più alto: anche il cono delle conclusioni
che se ne potranno dedurre sarà più ampio, e tale da
includere quello filosofico, ma estendersi anche oltre. Il
filosofo deve dire che il mondo è eterno e che la creazione
dal nulla è impossibile. Non ci sono dunque due verità, ma due
distinti ambiti, di cui uno è senz’altro più ampio dell’altro, ma
non lo svuota affatto di dignità o senso. La fiducia
nell’autonomia della filosofia ha infine anche precise