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Giovanni Eriugena 1

Giovanni Scoto o Giovanni Eriugena deve i nomi con i quali è conosciuto alla propria

origine: sia “Scoto” che “Eriugena” rimandano all’Irlanda

La questione della predestinazione

Giovanni Scoto comincia a segnalarsi per un trattato sulla predestinazione intitolato De

divina praedestinatione. L’opera gli era stata sollecitata al fine di confutare la dottrina della

doppia predestinazione elaborata e difesa dal monaco benedettino Godescalco di Orbais.

Quest’ultimo aveva radicalizzato le posizioni agostiniane sulla grazia fino al punto di

sostenere che la predestinazione divina riguardasse non solo gli eletti ma anche i dannati.

Eriugena andò al di là di quel che gli era stato chiesto, assicurando un margine molto ampio

alla libertà del volere umano anche per quel che riguarda la salvezza. Giovanni Scoto

ridimensiona il concetto stesso di dannazione, negando qualsiasi consistenza

ontologica al male. In un Universo pensato sulla base dell’ottimismo metafisico del

neoplatonismo greco non ci può essere spazio né per il male né per le pene: la pena per

coloro che tentano di ribellarsi all’ordine del tutto non può che consistere nella loro stessa

impotenza, e nell’amara presa di coscienza del loro errore.

La divisione della natura

L’opera più importante di Giovanni Scoto è un trattato in cinque libri intitolato De divisione

naturae o Periphyseon, che rappresenta il prodotto più rilevante dell’intero Alto Medioevo

latino. L’opera è composta in forma di dialogo tra un maestro e un discepolo, e muove dal

presupposto neoplatonico del perfetto parallelismo tra ordine logico e ordine

ontologico, ovvero tra pensiero e realtà. Questo parallelismo può essere colto attraverso la

dialettica. Che non è soltanto la disciplina che esamina il modo di procedere del pensiero,

ma esprime le leggi di processione della stessa realtà, cioè il modo in cui essa si divide e si

dispiega. Si tratterà di trovare un termine primo che ci permette di cogliere insieme lo

sviluppo dell’Universo e quello della conoscenza. Questo termine è per Giovanni “natura”. Il

termine “natura” non può essere definito: ogni definizione presuppone infatti sempre

l’impiego di termini già acquisiti; esso tuttavia può essere diviso attraverso alcune

differenze, in modo da dar vita a quelle che sono le divisioni fondamentali dell’intera realtà.

Eriugena sceglie di incrociare il termine “natura” con il verbo “creare”, articolato secondo

le sue possibili forme grammaticali: l’azione espressa dal verbo può infatti essere affermata

e negata, e può essere attiva o passiva. Applicando queste quattro diverse possibilità a

natura, avremmo

1. La natura che non è creata e crea;

2. La natura che è creata e crea;

3. La natura che è creata e non crea;

4. La natura che non è creata e non crea.

Sono queste le divisioni in cui l’Universo si struttura e si dispiega, perché ciascuno di questi

livelli ontologici non è che un momento di sviluppo dell’unica vera realtà. Il secondo livello

coincide con il mondo platonico e neoplatonico delle forme, che ha ora un luogo ben

preciso: il Logos, il Verbo, il Figlio, ovvero la seconda persona della Trinità. Eriugena non

intende affermare che il Figlio è creato dal Padre, ma che Dio crea eternamente le forme

nella sua mente, cioè nel Verbo. Le forme sono creata, ma sono a loro volta creatrici, perché

è attraverso le forme che viene poi costituito il mondo sensibile. Arriviamo così al terzo

livello, quello delle cose che sono create, ma non creano a loro volta: tutte le realtà

sensibili. Potremmo così dire che ogni cosa creata è insieme eterna e temporale: eterna a

livello delle forme, temporale a livello degli effetti; la creazione visibile non è altro se non il

passaggio dalla semplicità delle cause alla molteplicità e mutabilità degli effetti. Il tempo, lo

spazio, perfino la stessa materia non sono che le modalità con cui la nostra mente riesce a

cogliere ciò che di per sé è invece immutabile, immateriale ed eterno. Ma grazie alla sua

stessa mente, l’uomo può disfarsi di questo involucro di apparenze, e cominciare a

riconoscere le cose per ciò che veramente sono:manifestazioni delle idee divine, e di

dio stesso. Grazie alle proprie capacità dialettiche, l’uomo può riconoscere la legge che

struttura l’Universo, e farsi promotore del ritorno di tutti gli effetti molteplici e sensibili alla

cause intellegibili. Il compimento di questo ritorno si ha nel quarto dei momenti prima

Dettagli
Publisher
A.A. 2013-2014
2 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/08 Storia della filosofia medievale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Cricetina93 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia della filosofia medievale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Sorge Valeria.